Ben
Folds/Nick Hornby
Lonely Avenue
(Nonesuch)
"E
adesso?"
Con queste
parole, giusto due anni fa, chiudevamo la nostra recensione del nuovo album
di Ben Folds, Way To Normal. Discretamente perplessi, ché il lavoro era
chiamato a dare piena conferma del nuovo grado di maturità raggiunto dall’artista
in quel Songs For Silverman che, tre anni prima, era parso formulare con
successo una nuova sintesi.
Va da sé
che la stessa cosa può risultare non gradita per motivi alquanto diversi.
E qui, mentre chi scrive aveva trovato nel suono stridulo e nella mancanza
di dinamica caratteristica della musica ipercompressa due ostacoli insormontabili
all’apprezzamento dell’album, la critica statunitense si era schierata
compatta nel giudicare il tono della narrazione immaturo e bilioso. Con
bel paradosso, Songs For Silverman era stato quasi unanimemente considerato
troppo serio e maturo, quasi un album della mezza età; ma la maggiore vivacità
di Way To Normal non era andata evidentemente nella direzione voluta. Da
parte nostra non avevamo potuto fare a meno di alzare il sopracciglio notando
come nessuna delle recensioni da noi lette (e che abbiamo ricontrollato
in questi giorni, tanto per essere sicuri) avesse dato il minimo peso al
fattore suono (e non certo per mancanza di spazio: si dice qui di una media
di 4.500 battute), preferendo sviscerare i testi.
Diciamo
subito che – fatte le debite differenze (e non sono poche) di cui si dirà
tra breve – questo nuovo album di Ben Folds si presenta per più versi come
il successore ideale di Songs For Silverman. Ma Lonely Avenue non pare
avere riscosso molta attenzione, a dispetto di un nuovo partner nella scrittura
(un nome celebre: Nick Hornby) e di una nuova casa discografica, che immaginiamo
sveglia. Un tempo avremmo definito l’album "un lavoro destinato a
crescere nel tempo", ma con la valanga di uscite e un’attenzione sempre
più puntiforme, ha oggi un lavoro il tempo necessario a "crescere" nell’apprezzamento
dell’ascoltatore?
A lato,
sia concessa una considerazione. Per più versi Lonely Avenue può essere
considerato (anche) come una rivisitazione di generi da una prospettiva
moderna (ma non post-moderna o "ironica"), e ciò per il tramite
di una "sapienza artigiana" che si esplicita in modi estremamente
concreti: composizione, arrangiamento, esecuzione, ripresa microfonica
del suono, registrazione, missaggio, masterizzazione e stampa; cioè a dire,
l’intera catena creativa. L’album è estremamente denso e stratificato (cosa
che non è affatto in contrasto con la sua piacevolissima accessibilità),
ricco di colori strumentali che l’ascoltatore attento si troverà a investigare
a lungo. Ma proprio la mancanza di attenzione per questo aspetto del lavoro
ci dimostra ancora una volta che l’attenzione riservata ai grandi nomi
del "pop classico" – i Beatles, i Beach Boys, Bacharach e via
citando – e alla loro influenza, vera o presunta che sia, su nomi odierni
è un’attenzione riservata esclusivamente ai nomi intesi come marchio, e
non alla loro musica. Ed è buffo accorgersi di aver letto un discreto numero
di recensioni e di non sapere assolutamente nulla sull’identità degli strumenti
usati sull’album.
"Ben
Folds Adds Music And Melody To Nick Hornby’s Words". Come da sottotitolo,
le parole di Hornby sono il punto di partenza. Qui è stato utile leggere
scambi transatlantici di messaggi che giudicavano la congruità linguistica
di questa o quell’espressione in bocca a un americano. Da parte nostra,
lo confessiamo, se non avessimo saputo che i testi non erano stati scritti
da Folds probabilmente non ce ne saremmo neanche accorti, tanta è la somiglianza
con la narrativa espressa con storie e vignette che è tipica del musicista.
E’ invece la struttura a essere diversa: più che "testi di canzoni" abbiamo
qui
"storie tascabili" poi messe in musica.
L’altro
nome noto è quello di Paul Buckmaster, che arrangia e dirige l’orchestra.
Qui il successo non era scontato, come ben dimostra Still, brano posto
a conclusione della raccolta di cose varie di Folds che va sotto il nome
di Supersunnyspeedgraphic, The LP: la canzone è mediocre, l’arrangiamento
pure. Lonely Avenue vede invece Buckmaster fare centro, con uso misurato
ed efficace della sezione archi (sono venti elementi, ai quali si aggiungono
in un brano sette fiati). Spunta di tanto in tanto la classica cifra: chi
altri avrebbe potuto comporre quel crescendo che appare (per due volte)
su Belinda o quegli incalzanti frammenti eseguiti all’unisono che sono
parte integrante di Levi Johnston’s Blues?
Abbondante
e varia la strumentazione: riconfermati il basso di Jared Reynolds e la
batteria di Sam Smith, si aggiungono Chad Chaplin, soprattutto alle percussioni,
e Andrew Hughley, in primis a tastiere varie. Molto ben costruite le parti
vocali, chiamate ad arricchire l’insieme. Sorpresa ulteriore, durante l’ascolto
ci siamo ritrovati a notare che in più di un brano tutti gli strumenti
erano suonati da Folds.
A Working
Day è un buon punto di partenza: breve, scanzonato, articolato in diverse
sezioni, il brano ci è parso fungere da ponte ideale con Way To Normal.
Batteria esuberante, piatti effettati.
Con Picture
Window si entra nel vivo della narrazione: ballad pianistica dall’interessante
sviluppo melodico ben cantata da Folds, con gli archi ad avvalersi dell’apporto
aggiuntivo di due contrabbassi.
Un piano
elettrico Wurlitzer e il tipico "vento" del Moog (crediamo si
tratti proprio di un MiniMoog) introducono Levi Johnston’s Blues, con ingresso
immediato di pianoforte, basso elettrico, batteria e percussioni. Un brano
denso dall’arrangiamento complesso. Bella la contrapposizione narrativa
tra il
"desiderato" del ritornello e la prosaica realtà narrata dalle
strofe. Strepitosa l’orchestra.
Doc Pomus
trova la sua ispirazione nella vita e nella musica dello scomparso musicista
(elementi che hanno anche fornito il titolo dell’album). La composizione,
di ottima fattura, è perfettamente servita da un arrangiamento multiforme,
mix pertinente di epoche e stili. Notevole l’impasto vocale (da non perdere
"il suono delle pallottole"), riuscitissimo l’inciso.
"Un
testo di Randy Newman su una musica dei Jethro Tull, periodo Thick As A
Brick" potrebbe forse essere una buona definizione per Your Dogs.
Practical
Amanda è una degna conclusione di facciata: voce, piano e quartetto d’archi.
La seconda
facciata si apre con un brano non poco beatlesiano (si ascolti il basso
elettrico): Claire’s Ninth ha anche un bel ritornello a molte voci e un
efficace intermezzo "minimalista" del pianoforte.
Password
è un perfetto R&B lento in ¾ con archi sull’asse Detroit-Philadelphia.
Si ascolti la coppia rullante/cassa.
From Above
vede la voce di Kate Miller-Heidke unirsi a quella di Folds (che qui suona
tutti gli strumenti). E’ un brano fresco e frizzante dall’atmosfera contagiosa,
un singolo perfetto.
Diremmo
Saskia Hamilton "una giga con inserti punk", varia e non poco
bizzarra. Funge da perfetto contrasto con il brano seguente.
Arrangiamento
multicolore per la conclusiva Belinda, la cui musica va ascoltata alla
luce del testo, pena fraintendimento. Da parte nostra vorremmo sottolineare
quei momenti con gli archi e i fiati, la chitarra acustica, i passaggi
dei tom nello stereo, il basso secco suonato con il plettro, i fischi del
sintetizzatore… sì, per un momento siamo davvero nei gloriosi studi Trident
con Robin Cable al banco.
L’album
in vinile si conclude qui. Invece il CD, dopo una breve pausa, ci offre
un frammento di una "diversa versione possibile" di Belinda in
stile
"Paul McCartney che imita Little Richard".
La copertina
non lo dice, ma l’album – prodotto dallo stesso Folds – è stato registrato
nel suo studio di Nashville (diremmo in analogico: l’ascoltatore è invitato
ad ascoltare i primi due o tre secondi di Levi Johnston’s Blues alzando
di parecchio – con cautela! – la manopola del volume: quello pare proprio
il suono di un nastro). Album registrato e missato dal fido Joe Costa.
Masterizzazione curata da un nome leggendario quale Robert C. Ludwig nel
suo studio denominato Gateway Mastering & DVD di Portland, ME.
Il suono
è a dir poco spettacolare. Chi ancora ascolta musica (che è cosa ben diversa
dal fare finta di ascoltare musica mentre la mente vaga beata) è invitato
ad ascoltare il CD alzando il volume senza paura.
E poi
c’è l’album in vinile. Folds ha (giustamente) immaginato il formato LP
quale luogo ideale per queste storie e queste musiche. Ma non sempre le
cose vanno come sperato, da cui un processo lungo e dispendioso che ha
visto infine approdare il tutto ai parimenti leggendari Bernie Grundman
Mastering Studios, dove il cutting è stato realizzato da Chris Bellman
(si vedano le piccole CB che appaiono nel "deadwax", lo spazio
vuoto che si trova tra l’etichetta e i solchi). La stampa, in 180 grammi,
è stata effettuata dalla statunitense RTI, uno dei migliori stabilimenti
rimasti in attività. Il nostro giudizio è di necessità articolato. Il cutting
è eccellente, il suono ricco e privo di sbavature, le voci realistiche
e tridimensionali. Pur ottimo, lo stampaggio a nostro avviso avrebbe potuto
essere migliore: qualche scricchiolio, un foro centrale non perfetto, degli
acuti a tratti leggermente "sibilanti", soprattutto sul primo
brano della facciata due, hanno indotto chi scrive a scagliare qualche
maledizione (ma il lettore tenga conto del fatto che chi scrive possiede
una testina estremamente sensibile al riguardo).
Beppe Colli
© Beppe Colli 2010
CloudsandClocks.net
| Oct. 28, 2010