Lo stato
dell’industria musicale
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di Beppe Colli
Feb. 5, 2021
In una delle tante interviste
recentemente rilasciate in occasione dell’uscita del suo ultimo album, The
Future Bites – se non andiamo errati, si tratta di un’intervista in video fatta
da un’emittente radiofonica canadese – Steven Wilson rifletteva sulle
straordinarie circostanze che hanno fatto sì che un album la cui pubblicazione
era prevista per il mese di giugno dello scorso anno facesse la sua comparsa,
dopo una lunghissima campagna pubblicitaria fatta di anticipazioni e strizzate
d’occhio, solo agli inizi dell’anno nuovo.
Wilson ricordava le conversazioni avute, e come l’idea di spostare l’uscita dell’album da giugno al
gennaio successivo fosse sembrata ottimale. "Chi avrebbe potuto
pensare, lo scorso anno, che saremmo stati ancora a questo punto, dopo tanto
tempo?"
Quella di Wilson ci è sembrata una ben strana argomentazione.
Pubblicare o non pubblicare, questo è il dilemma. Ancor più quando "il
tema" dell’album – una dimensione dance-edonistica nel caso dell’ultimo
lavoro di Dua Lipa, uno sguardo auto-riflessivo sul consumismo portato alle
estreme conseguenze edonistiche-identitarie per quanto riguarda il nuovo album
di Steven Wilson – appare con tutta evidenza "dissonante" nei
confronti di quella che oggi è la vera "nota dominante": panico,
incertezza, isolamento, sospensione anche di quelle banali attività quotidiane
che in tempi normali non percepiamo neppure più come "attivamente
svolte" tanto fanno parte del "tessuto" del nostro essere.
Sappiamo tutti che l’idea di un vaccino pronto in tempi
brevi sembrava un’eventualità con poche possibilità di realizzarsi. E sappiamo che
il solo atto "fisico" della vaccinazione richiede tempo, tempo che è
necessario anche per fabbricare quanto di "fisico" – il vaccino,
certo, ma anche i contenitori delle dosi, le siringhe, i frigoriferi speciali e
tutto il resto – ci è indispensabile allo scopo.
Solo l’idea che "l’estate spazzerà via tutto con il suo
caldo benefico" avrebbe potuto giustificare un atteggiamento tanto
fiducioso. Ma è normale che essa venga adottata da una persona (che immaginiamo
essere) colta e razionale quale Steven Wilson?
La memoria ci porge il verso "The future’s uncertain/The end is
always near". Ricordi a parte, il momento in cui tutto ritornerà
normale si sposta ogni giorno sempre più in là.
In piena estate, mentre il tono più diffuso indicava nel
mitico "Natale" il momento della trionfale riapertura dei cinema, un
nostro amico professionalmente coinvolto ci diceva che non era vero niente, e
che le case produttrici avevano già fissato per "estate 2021" il
momento della ripartenza. (E’ un po’ che non lo incontriamo, altro non sapremmo
dire.)
In parallelo, Glastonbury, Coachella, Primavera e tutti i
festival leader nel campo delle manifestazioni musicali estive avevano via via
cancellato i programmi, pur obtorto collo. Lo stesso vediamo avvenire
quest’anno.
Prevedere il futuro è ovviamente impossibile. Ma è possibile
dare un’occhiata alla parte di futuro che è già passata, e vedere come essa si
situa all’interno di quelle "linee di tendenza" visibili già da
tempo.
L’isolamento ha favorito l’espandersi dell’offerta
cinematografica di quei canali – da Netflix a Disney+ e via dicendo – che il
lettore ben conosce.
Torneranno gli spettatori ad affollare le sale? Saranno le
sale tanto bisognose di costose manutenzioni da non essere più un investimento
che è possibile sostenere in modo profittevole?
Nel frattempo, la vita
continua.
La prima sorpresa del 2021 è il brano della cantante
statunitense Olivia Rodrigo intitolato drivers license (è scritto proprio così)
uscito l’otto gennaio. Se il giudizio estetico è cosa che riguarda ognuno di
noi, per quanto concerne i numeri la verità è una sola: il brano ha battuto
ogni tipo di record in tutto il mondo (anche in Italia? sì, e a una settimana
dall’uscita abbiamo anche fatto un controllo di persona sulla possibilità di
una diffusione tanto istantanea).
Tra i record, quello di essere il brano più richiesto in un
giorno da Alexa, e quello di più alto numero di stream in una settimana nel
mondo per un artista di sesso femminile, con più di 130 milioni (così superando
il precedente record detenuto da Mariah Carey con il brano All I Want For
Christmas Is You).
Olivia Rodrigo – così abbiamo appreso – ha una parte
protagonista nella serie Disney+ intitolata
High School Musical: The Musical: The Series. In questo senso, il nome della
cantante va ad aggiungersi a quelli di Britney Spears, Justin Timberlake,
Christina Aguileira, Miley Cyrus e Selena Gomez. Ma pur nel solco di exploit
ben noti – andando all’indietro: Billie Eilish, Lorde, Taylor Swift – il caso
di Olivia Rodrigo è reso possibile da innovazioni tecnologiche quali TikTok,
che hanno reso la sua ascesa fulminea in un modo prima non possibile. Leggiamo su Wikipedia: "The TikTok hashtag "#driverslicense"
amassed over 888.5 million views in one week".
Al lettore che si starà chiedendo dove porta questo discorso
chiediamo solo di avere un po’ di pazienza.
Chi non ha appreso la
notizia della clamorosa vendita fatta da Bob Dylan dei diritti d’autore delle
sue canzoni?
"Bob Dylan Sells His Songwriting Catalog In Blockbuster
Deal", era il titolo dell’articolo di Ben Sisario apparso sul New York
Times in data Dec. 7, 2020.
Seicento canzoni, per un prezzo (non confermato) di
"$300 million".
Ma il caso, pur clamoroso, si inserisce in una tendenza già
da tempo visibile che ha quali precedenti Stevie Nicks, Blondie, Rick James,
Barry Manilow, Chrissie Hynde dei Pretenders e tanti altri (si parla di decine
di migliaia di canzoni) e che vede tra i casi più recenti quelli di Neil Young
e del catalogo della celeberrima Sun Records e dei suoi successi (Elvis Presley
escluso).
In un mondo che sta sempre più adottando il modello dello
streaming, la possibilità di trarre profitto dal "catalogo" diventa
decisiva. Accanto, ovviamente, all’uso per scopi pubblicitari e all’utilizzo
all’interno di tutti quei film e serie che l’incremento dell’offerta "on
demand" rende sempre più una fonte di profitto destinata a un forte
incremento.
Parlando per una volta
in prima persona, nel corso dell’ultimo anno abbiamo avuto modo di vedere come
il controllo sul copyright da parte dei detentori legali si sia fatto più
stringente, in parallelo con il trasferirsi della fonte dei profitti dal
"fisico" a "l’immateriale".
Capita sempre più spesso che una bella cover di un brano
celeberrimo fatta da un artista "minore" nel corso di un’esibizione
dal vivo, e poi postata su YouTube, venga fatta sparire. Cosa della quale,
com’è ovvio, non contestiamo il diritto, ma che soggettivamente ci pare
impoverire il panorama. Diciamo che dobbiamo ancora farci l’abitudine.
C’è poi il caso della riproduzione dei testi delle canzoni,
per leggere alcuni dei quali abbiamo atteso più di quarant’anni. Intendiamo
dire che non c’erano modi legali alternativi.
Diverso è ovviamente il caso dei siti che riproducono testi
di canzoni di successo quale "esca" per contatti e pubblicità, cioè a
dire per scopo di lucro.
Ma esisteva una realtà quale lyrics.wikia dove per un paio
di decenni abbiamo cercato una mano per scoprire cosa dicesse quella canzone
degli Spirit o degli Amon Düül II. Recentemente un nostro collega ci faceva
notare che il sito non era una fonte che diremmo "sicuramente
affidabile", e capiamo bene che trovare testi nel corso dei quali si
incontravano cose quali "(?)" o "(…)", a segnalare passi
dubbi, non è normale. Ma essendo spesso testi colti "a orecchio" per
chi non è di madrelingua inglese era meglio di niente. Purtroppo dopo un anno
in cui la sigla lyrics.wikia è stata sostituita da quella lyrics.fandom, il
sito ha chiuso.
La tendenza è ovviamente quella dello sfruttamento del
copyright "a futura memoria". A chi scrive resta l’amaro in bocca per
tutte quelle canzoni i cui testi oggi non è possibile trovare
"novunque".
Da tempo, in tanti ci
chiediamo come faranno i musicisti a sopravvivere in un mondo dove il gioco
parrebbe truccato.
Un evento di cui si è molto parlato – ne deduciamo che sia
un caso poco comune – è la circostanza che ha visto lo show "on
demand" di Dua Lipa intitolato Studio 2054 totalizzare cinque milioni di
spettatori, molti dei quali – non abbiamo cifre ufficiali – hanno pagato $10
per vederlo in streaming.
Potrebbe, si sono chiesti in molti, essere questo un modo
per fare sopravvivere i concerti, e gli artisti? Si apre qui il lungo capitolo
delle simulazioni: che tipo di teatri, che tipo di artisti, che tipo di prezzi,
condito dell’immancabile domanda: "Ma tu andresti a vedere…?",
eccetera.
Accanto, il perenne dibattito su quanto guadagnano gli
artisti con Spotify, e come è possibile per gli artisti vivere con così poco, e
così via.
Qui ci corre l’obbligo di avvertire il lettore che queste
sono questioni non molto facili da capire senza una certa applicazione, ma una
cosa ci sentiamo di dirla:
che non risponde a verità quello schemino (che diremmo
intuitivo, e la cui applicazione nella realtà molti, chi scrive incluso,
vorrebbero vedere implementata ma che a oggi non lo è) secondo il quale il
fatto che nel caso x al momento y un milione di stream su Spotify comportino un
incasso di $3.000 implichi una calcolabilità "in senso generale" che
faccia astrazione dal tempo e dalla geografia (o, come dicono in molti, un
meccanismo che prevede "a flat value per play").
Si è parlato del fatto che per un milione di stream del suo
hit Cars, Gary Numan abbia ricevuto intorno ai $300 (il lettore conosce
senz’altro molti più casi, ma per adesso accontentiamoci).
L’occasione ha però dato il modo di fornire alcune cifre
utili a dare uno sfondo al caso singolo:
i Top Hit su Spotify fanno 40 milioni di stream a settimana;
l’album di Ed Sheeran Divide ha su Spotify 10 miliardi di
stream;
nel corso del 2020 Blinding Lights di The Weeknd ha fatto 1
miliardo e 600 milioni di stream.
La conclusione del discorso è sostanzialmente sempre la
stessa:
"Se attiri un pubblico enorme, puoi fare un sacco di
soldi. Altrimenti, non te la passerai bene".
Nel panorama odierno, la sopravvivenza per un musicista che
"muove" piccoli numeri è poco sostenibile, e meglio affidata a
meccanismi quali sovvenzioni pubbliche e simili, o quali il sovvenzionamento
diretto da parte dei fan con meccanismi come Patreon e così via.
Possiamo oggi vedere
pienamente dispiegato il sistema che ha preso il posto di quello caratterizzato
dal predominio delle case discografiche: un sistema, quest’ultimo, da noi
pubblicamente difeso proprio in virtù del timore che quello che ne avrebbe
preso il posto sarebbe stato di gran lunga peggiore.
E ricordiamo ancora quegli individui che – su giornali ad
alta e infima tiratura – spargevano veleno su un sistema contro il quale
invitavano gli artisti a ribellarsi, in un inquietante parallelo con coloro i
quali sparano a zero contro i sindacati e le norme collettive visti quali
"un ostacolo alla libertà dell’individuo". E non c’è bisogno di un
film di Ken Loach per capire come andrà a finire.
Oggi ogni artista è libero, e solo. E mai come oggi è vero
quel detto che ci avverte che "il massimo della libertà coincide con il
massimo dell’irrilevanza".
Chiudiamo con due
fatti dei quali non abbiamo potuto dare notizia dato che il nostro sito era
"non operativo".
Due fatti che non ci pare abbiano ricevuto la risonanza che
meritano, per motivi che diremmo intuibili. Due fatti avvenuti a circa un
decennio di distanza accomunati da un solo elemento: il fuoco.
Un incendio di grande visibilità – il denso fumo sembrava
dire di sostanze chimiche altamente infiammabili – è scoppiato in data 6
febbraio dello scorso anno nella località californiana di Banning, nella
Riverside County. Edificio distrutto, contenuto incluso.
La ditta – Apollo Trasco Mastering – fabbricava circa il 90%
degli "acetati"-"lacche" utilizzati nel mondo intero per
fare i "master" dai quali vengono poi prodotti i dischi in vinile (il
restante 10% ca. essendo prodotto da una piccola azienda giapponese la cui
capacità produttiva non è espandibile).
Va detto immediatamente che l’Europa – e parte degli Stati
Uniti – utilizzano principalmente un metodo alternativo, il DMM (Direct Metal
Mastering), che prescinde da lacche e master.
Sono argomenti di una certa complessità. Qui diciamo solo
che tanto più la fonte del vinile è digitale tanto meno il processo
"lacca-master" è importante. E inversamente, tanto più il master è un
nastro analogico e la "firma" del masterizzatore una caratteristica
sinonimo di qualità e cura, tanto più questa è una cattiva notizia. E dato che
solitamente gli studi non tengono in deposito più di una cinquantina di
esemplari "blank" (si tratta di cose soggette a deterioramento)…
Il secondo fatto, di portata
immensamente superiore (ciò nonostante non abbiamo visto più di qualche
trafiletto in proposito), è l’immenso rogo californiano che nel 2008 ha
devastato un deposito della Universal che conteneva interi cataloghi e intere
discografie di artisti importanti sia da punto di vista culturale che di
mercato.
La "bomba" esce sul New York Times, in data June
11, 2019, con un articolo di enorme lunghezza a firma Jody Rosen intitolato The
Day The Music Burned.
Viene rivelato che un enorme incendio ha distrutto imponenti
discografie senza che molti degli artisti coinvolti – o i legali rappresentanti
– fossero a conoscenza dell’accaduto. E non sono stati in pochi gli artisti
che, avendo letto l’articolo in questione, hanno ricevuto un’amara risposta al
quesito del perché la loro etichetta non riuscisse a trovare i nastri originali
di quel loro album, o quegli inediti che avrebbero potuto arricchire e rendere
più appetibile quel loro cofanetto.
Un secondo articolo, sempre a firma Jody Rosen, pubblicato
in data June 25, 2019 con il titolo Here Are Hundreds More Artists Whose Tapes
Were Destroyed In The UMG Fire aggiunge altri 700 (!) artisti ai circa 100
citati nella prima puntata.
© Beppe Colli 2021
CloudsandClocks.net | Feb. 5,
2021