Donald
Fagen
Sunken Condos
(Reprise)
Mentre
attendevamo l’uscita di Sunken Condos ci siamo ritrovati a riflettere sul
seguente fatto: che sempre più, con il passare del tempo, gli album solo
di Donald Fagen – e anche quelli pubblicati a nome Steely Dan – ci sembrano
somigliare ai film di Woody Allen. Intendiamo dire di prodotti ben fatti
e non privi di una loro luce poetica, ma ai quali non ci sogneremmo di
chiedere innovazioni o qualche elemento inatteso – non più di quelle "variazioni
sulla formula" che sono in grado di rendere un prodotto
"diverso" da un altro. C’è ovviamente una differenza importante:
che Woody Allen fa, come ben sappiamo, un film l’anno, da cui il famoso corollario
che recita "se il mio ultimo film non ti è piaciuto, pazienza, l’anno
prossimo ce ne sarà un altro"; mentre Donald Fagen e gli Steely Dan
sono proverbialmente lenti (anche se qui meno che in altre circostanze, Sunken
Condos venendo appena sei anni dopo Morph The Cat).
E con
il passare del tempo è facile notare un’altra caratteristica che tende
ad avvicinare la narrativa di Fagen a quella di Allen: l’immutabilità delle
dinamiche interpersonali, laddove i bozzetti e i quadretti narrativi sono
per così dire sempre "in costume" – la scena di The New Breed,
con contorno di computer e aggiornamenti, non è tanto diversa da quella
di Good Stuff, che diremmo ambientata ai tempi del Proibizionismo (anche
se ovviamente sono possibili eccezioni, come quando la narrativa è maggiormente
dettata dagli eventi del giorno – si vedano i collegamenti narrativi di
Morph The Cat con il dopo Undici Settembre). Confezione curata, arrangiamenti
calibrati al millimetro, assolo misurati ma ricchi… prevedibilmente,
c’è tutto. Ma cosa c’è di diverso?
Diamo
un’occhiata ai musicisti. Ritroviamo qui collaboratori abituali degli Steely
Dan, tra i quali ci piace citare Jon Herington (alla chitarra), Walt Weiskopf
(all’alto, tenore e clarinetto) e Jim Pugh (al trombone); non possono ovviamente
mancare coriste quali Carolyn Leonhart, Cindy Mizelle e Catherine Russell.
C’è anche – come vedremo, in una parte di primo piano – il trombettista
(e qui multistrumentista) Michael Leonhart.
Il lettore
avrà già notato che mancano all’appello due indiscussi protagonisti di
Morph The Cat, e degli Steely Dan: il batterista Keith Carlock e il bassista
Freddie Washington (quest’ultimo a dire il vero presente sul nuovo album
nella cover di un brano di Isaac Hayes dei tardi anni settanta, Out Of
The Ghetto). Ma chi è questo Earl Cooke, Jr. che suona la batteria in tutti
i pezzi?
La prima
caratteristica che salta all’orecchio ascoltando l’album è che il suono
è più "magro" che in passato, con il basso presente e nitido
ma non debordante e la batteria "piccola" ma nitida, forse timbricamente
un po’ povera al primo ascolto, ma in realtà dettagliata. (Ricordiamo che
The Nightfly, ascoltato oggi, "sotto" non ha niente, è davvero
bass-light.) Si nota anche una semplificazione melodica, che potremmo addebitare
a una voce ovviamente non più fresca che era stata molto impegnata dal
punto di vista melodico sull’album precedente e che si trova maggiormente
a suo agio con le arie blues/r&b di Sunken Condos. Una parte potrebbe
averla anche giocata l’esperienza The Dukes Of September, il trio dove
Donald Fagen, in compagnia di Michael McDonald e Boz Scaggs, esegue hits
e standard di R&B.
Qualunque
il motivo, Fagen e Leonhart – qui co-produttore e co-arrangiatore – hanno
deciso di puntare su un groove più asciutto, più "r&b"
che "fusion", per così dire. E pare che quello di Al Jackson dei
Booker T. & The M.G.’s – che da parte nostra ricordiamo un po’ più
"assertivo" – sia stato un drumming tenuto presente nella configurazione
di Sunken Condos. La batteria è stata suonata dallo stesso Leonhart con lo
pseudonimo di cui si è detto, con un groove semplice e fresco che non richiama
l’attenzione su di sé ma che a un primo ascolto può dare l’impressione di
una cosa alla buona e un po’ tirata via. Da parte nostra, anticipando le
conclusioni, diremmo l’album molto al di sopra delle nostre aspettative (cosa
che può voler dire tutto e niente), e lavoro destinato proverbialmente a
crescere con gli ascolti.
L’iniziale
Slinky Thing è mid-tempo con Clavinet, con voce un po’ Marvin Gaye, vibrafono
(Michael Leonhart), basso acustico (Joe Martin) e un assolo di chitarra
di Jon Herington vestito dai fiati. Bella coda strumentale
"cool" su cui si inseriscono le voci.
I’m Not
The Same Without You ha un groove più svelto, un bel basso di spinta (Harlan
Post), chitarra ritmica nervosa sul canale sinistro, bel solo di armonica
(William Galison), e una bella chiusa ritmata dei fiati sulla parte bassa
della gamma – come altrove sull’album, Charlie Pillow a tenore e clarinetto
e il bel sax baritono di Roger Rosenberg si uniscono a Weiskopf e Pugh.
Memorabilia
è mid-tempo, con base funky (batteria, basso, chitarra, tromba sordinata,
alto e tenore), organo, e bel solo di tromba sordinata.
Weather
In My Head – che nello "sforzato" è quasi una via di mezzo tra
Otis Redding e Randy Newman – è un blues con assolo di chitarra (è Jon
Herington, sulla base della ritmica di Larry Campbell), con fiati in contrappunto,
dove dalla miscela esce bene il sax baritono.
The New
Breed ha strofe poco facili da cantare, basso (Harlan Post), un gran lavoro
di fiati in sezione, assolo di armonica (William Galison), organo.
Out Of
The Ghetto è di Isaac Hayes, al basso c’è Freddie Washington, poi organo
e Clavinet, chitarra a strappo che "spinge" il tempo. Bella strumentazione,
con i clarinetti (Charlie Pillow) e in coda il violino frenetico di Antoine
Silverman.
Miss Marlene
è proprio come I.G.Y., con groove "meccanico", una bella sezione
fiati (dove Rosenberg è al clarinetto basso e Aaron Heick al flauto basso),
e piccolo assolo di chitarra. Belle voci femminili. Trascinante!
Good Stuff
ha le strofe monotone e una sezione "B" ariosa, con la voci femminili.
Funky moderato, pianoforte in sottofondo (lo strumento su quest’album si
avverte poco), spinta di basso e batteria, tromba, la melodica (di Donald
Fagen) anche in assolo e la chitarra con wha-wha.
Ruolo
ridotto dei fiati in chiusura, Planet D’Rhonda si basa su Clavinet, percussioni,
chitarra ritmica, un bel groove di basso (è Lincoln Schleifer) e un assolo
di chitarra – il più jazzato dell’album – affidato a Kurt Rosenwinkel.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net
| Oct. 25, 2012