Bob
Drake
13
Songs And A Thing
(ReR)
Bob
Drake continua imperterrito sul suo personale cammino, giungendo con
13 Songs And A Thing al suo quarto album solista. Un album che fa seguito
a Little Black Train (1998), Medallion
Animal Carpet (1999) e The Skull Mailbox And
Other Horrors (2001): tutti album di una certa validità,
ognuno dei quali offre una dose individuale di pregi, il cui ascolto
è senz’altro consigliabile. Il gradimento risulterà proporzionale
a quanto le categorie dell’ascoltatore coincidano con quelle di Drake,
musicista statunitense dalla lunga carriera attualmente impegnato soprattutto
come tecnico e produttore in uno studio del sud della Francia.
Drake
è senza dubbio ascoltatore onnivoro: una frequentazione pur superficiale
di 13 Songs And A Thing sarà in grado di individuare senza difficoltà
tracce di progressive, elementi del Fred Frith "balcanico"
e di quello "punk" (diciamo quello degli Skeleton Crew o di
certi album solo), più di una traccia di country/blues, qualche
reminescenza di Henry Kaiser, un’asprezza timbrica (e un rifiuto a stabilizzarsi
per più di qualche momento in un groove "quadrato")
a tratti non poco beefheartiana. Il che è solo logico se ricordiamo
che Drake ha fatto parte della formazione "progressive/Rock In
Opposition" statunitense dei Thinking Plague e degli Hail, il duo
derivato da quel gruppo; nonché la sua collaborazione con un
altro gruppo "prog/RIO" statunitense: quello dei 5uu’s. Che
le sue influenze risultino evidenti non è di per sé un
male – l’ignoranza non è quasi mai una virtù. Composizione
ed esecuzione (Drake è provetto multistrumentista) sono però
solo una parte della storia: il trattamento timbrico degli strumenti
(si ascolti la batteria) e la loro spazializzazione ci dicono di un
lavoro lungo e meticoloso, certamente competente (ricordiamo anche il
suo apporto a …A Mere Coincidence, l’album dello Science Group del
1999).
"13
canzoni e una cosa". La cosa – il lunghissimo pezzo #12 (quasi
tredici minuti) – è un apparente marasma di suoni (percussioni,
voci, chitarre e quant’altro) di perfetta organizzazione; rimane però
il dubbio di quante volte, dopo un entusiasmo iniziale, lo sentiremo
ancora. Molto meglio le "13 canzoni", che più varie
non si potrebbe. Drake apre con il paraprogressive di Chase (composta
da Dominic Frontiere), riprende e arrangia Pechan And Willy, una pagina
di Stevan Tickmayer, e con perfetta percezione dei "pesi e bilanciamenti"
fa seguire la mostruosità di Building With Bones (quei tredici
minuti) da una lieve e breve And The Sun, improvvisazione di pianoforte
più vetri, nastri e altri rumori risalente ai primi anni ottanta.
Tutto
a posto, quindi? In realtà l’impressione netta che ricaviamo
da tutti i dischi di Drake in solo – e questo non fa certo eccezione
– è quella di ascoltare non "un’estetica" ma "un
punto di vista" sui materiali. E’ banalmente ovvio che un’estetica
incorpori un punto di vista. Ma Drake ci fa spesso sorgere il dubbio
che il suo punto di vista non riesca a tradursi in un’estetica autonoma.
Siamo poco postmoderni? In ogni caso (e mai come stavolta) la parola
passa al lettore.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| March 15, 2003