The Doors
Feast Of Friends (DVD-V)
(Eagle Vision)
E’ la
primavera del ’68, e quello dei Doors è uno dei gruppi più celebri degli Stati
Uniti: concerti che richiamano folle oceaniche, ottimi piazzamenti in
classifica di singoli e album, e un seguito che vede miracolosamente insieme il
pubblico "underground" e quello delle ragazzine innamorate di Light
My Fire che appendono sul muro della loro stanza il poster di Jim Morrison,
cantante e "poet in residence" della formazione il cui sex-appeal è
in grado di muovere somme significative di denaro a più di quarant’anni dalla
morte.
E l’estate
di quell’anno darà al gruppo altre soddisfazioni, con il primo posto in
classifica dell’album Waiting For The Sun (il loro unico #1) e del singolo
Hello, I Love You (l’unico #1 della formazione dopo Light My Fire).
Logico a
questo punto che a qualcuno venga l’idea di fare un film, un documentario
"on the road". E’ un’idea che sentita oggi non brilla certo per
originalità – il progresso tecnico intervenuto nel frattempo consentendo a
chiunque di filmare per strada cose di qualità più che discreta – ma che ai
tempi aveva ancora una certa aura di "cinema vérité". A chi sia
venuta l’idea non è dato sapere, i ricordi e le testimonianze in merito
variando grandemente con il passare degli anni (e non è il solo caso: non
basterebbe un libro per raccogliere le contrastanti dichiarazioni su come e
perché vennero aggiunti archi e fiati su The Soft Parade – dichiarazioni spesso
provenienti dalla stessa persona!).
Il
materiale, sulla carta, c’era. Jim Morrison e Ray Manzarek, il tastierista del
gruppo, avevano studiato cinematografia all’UCLA di Los Angeles, così come Paul
Ferrara – compagno di corso di Morrison e Manzarek a quel tempo fotografo
ufficiale del gruppo – e Frank Lisciandro. Si decise così: Ferrara avrebbe
filmato il tutto, con l’amico Babe Hill a occuparsi del sonoro; giunto in
aiuto, Lisciandro si occupò del montaggio finale, che comprendeva anche la
sincronizzazione del sonoro (l’unico concerto a essere ripreso
professionalmente fu quello dell’Hollywood Bowl).
Nella sua
forma definitiva, il documentario – una quarantina di minuti scelti nelle circa
ventitré ore a disposizione – mostra materiale girato dall’aprile al settembre
del ’68. Se il film fosse veramente finito è cosa da sempre soggetta a disputa.
Quel che è certo è che Bill Siddons – il manager della formazione – e il gruppo
diedero un’occhiata ai costi e staccarono la spina (il successivo diradarsi dei
concerti dovuto ai fatti di Miami non fu d’aiuto). Il debutto in pubblico di
Feast Of Friends avviene nel maggio del ’69, con qualche rara proiezione qui e
là (chi scrive ricorda distintamente voci che lo volevano in predicato per la
Mostra del cinema di Venezia di quell’anno).
Fin qui i
fatti.
Com’era
da aspettarsi, Feast Of Friends è una cocente delusione. Ma è il materiale
aggiunto a rendere a nostro avviso questo DVD-V un acquisto indispensabile anche
per chi non è uno sfegatato fan del gruppo, come proveremo ad argomentare.
Feast Of
Friends mostra le molte facce del gruppo "on the road": spostamenti,
scene girate in camerino, perfino una gita in barca. Atmosfera che potremmo
dire professionale e rilassata, in stridente contrasto con gli spezzoni dei
concerti: una bolgia, con il pubblico a rumoreggiare e a tentare di saltare sul
palco (particolarmente impressionanti le scene girate durante il concerto
tenuto al Singer Bowl), con i poliziotti a fare il loro mestiere.
Il
difetto principale di Feast Of Friend è un difetto "incolpevole":
quello di arrivare con quasi mezzo secolo di ritardo. Per quanto sfilacciato e
non particolarmente rivelatore, il film avrebbe infatti consentito a uno
spettatore quale quello europeo di esaminare "de visu" una realtà di
cui, tra mille imprecisioni, si sapeva quasi soltanto per sentito dire. (Ci
rendiamo conto che questo è un punto di ardua comprensibilità per un pubblico
"globalmente interconnesso" quale quello di oggi.) E certo non aiuta
il fatto di ritrovarsi a vedere scene decisamente familiari in un film mai
visto prima, circostanza da attribuire all’usanza di cannibalizzare le scene
migliori del documentario per rimpolpare altre uscite.
Quaranta
minuti di durata, Feast Of Friends viene integrato da una mezz’ora intitolata
Feast Of Friends: Encore. Il risultato non cambia, e anzi la decisione di
inserire quale sonoro brani che all’epoca del girato erano di là da venire
rende il tutto ancora più incongruo. C’è però una bella sequenza che mostra
gruppo, produttore, tecnico del suono e bassista aggiunto in studio, intenti a
lavorare a Wild Child (non sono le stesse scene contenute in When You’re
Strange), sequenza impagabile per chi è appassionato di queste cose.
Chiude il
DVD-V una versione di The End registrata per la televisione canadese: bella
esecuzione, bel colore, già vista altrove.
Il piatto
forte del DVD-V è la riproposizione integrale in forma corretta di un film
leggendario: The Doors Are Open, conosciuto colloquialmente (anche su bootleg
audio in vinile dei tempi andati) come Live At The Roundhouse, dal teatro
londinese in cui vennero effettuate le riprese. Era il sette settembre del
1968.
L’arrivo
dei Doors in Europa – erano previste anche date sul Continente – fu a quel
tempo un avvenimento non da poco, e la Granada TV decise di immortalare uno dei
concerti londinesi. Fonti degne di fiducia ci dicono che The Doors Are Open fu
il primo film di questo tipo interamente dedicato a un solo gruppo visto alla televisione
inglese.
Il film –
in bianco e nero, cinquantadue minuti circa – mostra l’esibizione del gruppo,
interviste realizzate in momenti diversi e scene quali l’arrivo dei quattro in
aeroporto inframmezzate a dichiarazioni di politici statunitensi, scene di
disordini, e la guerra del Vietnam ad aleggiare sullo sfondo. E’ una decisione
– quella di leggere i Doors in chiave Jefferson Airplane – a un tempo logica e
bizzarra: i Doors non erano certo un gruppo "politico", ma è
perfettamente comprensibile che sul suolo inglese la carica
"controculturale" della formazione sia stata letta in chiave "in
opposition".
Ci
chiediamo piuttosto se lo spettatore odierno sarà in grado di attribuire
un’identità alle facce. Chi scrive ha riconosciuto senza difficoltà l’allora
Presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson, il di lì a poco Presidente Richard
Nixon, l’allora Governatore della California (e futuro Presidente) Ronald
Reagan, il sindaco di Chicago Daley (quello dei famosi disordini, e della
canzone di Graham Nash), e un generale al quale i telegiornali visti da
ragazzini ci inducono ad attribuire il nome di Westmoreland (con o senza la
"e"). Altre figure ci risultano ignote.
Una breve
nota tecnica. Bianco e nero restaurato, sonoro di prim’ordine, questa copia
scorre alla velocità corretta, edizioni precedenti e spezzoni contenuti su The
Doors: Live In Europe e When You’re Strange essendo sensibilmente più lenti (ci
dicono del 4,27%) a causa di un erroneo trasferimento dal formato PAL a quello
NTSC.
Il
materiale eseguito: When The Music’s Over, Five To One, Spanish Caravan, Hello,
I Love You (è un soundcheck senza Morrison, con Manzarek alla voce e il tecnico
del gruppo Vince Treanor a reggere un microfono a mano), Back Door Man (con
parti di Crawling King Snake), Wake Up (una porzione di The Celebration Of The
Lizard), Light My Fire e The Unknown Soldier. Bootleg del concerto ci dicono
che nell’occasione vennero anche eseguite Break On Through, Alabama Song e Love
Me Two Times, qui assenti.
Cosa
rende questo concerto diverso, e migliore? Esecuzioni formalmente perfette dove
grinta e musicalità non vanno l’una a discapito dell’altra. Forse la
circostanza di trovarsi di fronte a un pubblico – simpatetico ma culturalmente
"diverso" – con il quale non aveva confidenza consentì al gruppo di
ritrovare quell’intesa "da teatro" che possedeva ai tempi dei
concerti del Matrix, prima del botto commerciale di Light My Fire.
Due
aggettivi ci sembrano descrivere a perfezione la musica dei Doors di quel
periodo: "tesa" e "sinistra", ed è una dimensione resa
perfettamente qui. Due aggettivi diremmo perfetti per descrivere i Doors sul
palco: "concentrati" e "in perfetta sintonia", e qui basta
vedere i primi piani del batterista John Densmore per capire cosa intendiamo.
Tutti
fanno un figurone, con Morrison al suo meglio, Manzarek vero uomo-orchestra,
Robby Krieger che passa con estrema naturalezza da uno stile – e da un ruolo –
all’altro e John Densmore a giustificare la qualifica professionale dichiarata
alle telecamere all’arrivo sul suolo inglese: "percussionist".
Nell’attesa
che un lavoro di restauro parimenti simpatetico ci restituisca un altro
tassello mancante: lo speciale televisivo del 1969 della PBS intitolato
Critique, con materiale da The Soft Parade raramente eseguito in concerto.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| Nov. 17, 2014