Thomas Dimuzio
Slew
(Gench/RéR)
Siamo
pronti ad ammetterlo: ci capita sempre più spesso, ascoltando
un disco, di ritrovarci con lo sguardo fisso nel vuoto e la mente che
va a briglia sciolta, intenti a porci la fatidica domanda: "chi
potrebbe essere l’ascoltatore-tipo di questo disco?" (la consapevolezza
dei tempi che cambiano ci impedisce ormai di chiederci chi potrebbe
esserne l’acquirente-tipo; "ascoltatore" è già
un risultato). E se le occasioni in cui questo avviene sono numerose,
il dilemma è al suo massimo grado di problematicità qualora
si tratti di "musica elettronica". Da un lato, infatti, i
cultori del "genere" non sono certo in piccolo numero. Però
le tendenze che diremmo oggi dominanti da un punto di vista numerico
– un accentuato legame di parentela nei confronti del dancefloor; e,
complici laptop dalle crescenti prestazioni tecniche, una sempre più
diffusa accoppiata suono-immagine – sembrano fatte apposta per negare
la centralità della ricerca musicale: l’elemento che per mezzi
(potenzialmente) innovativi quali quelli elettronici dovrebbe costituire
l’ovvia "promessa da mantenere". Il tutto in un scenario dove
l’abbondante produzione discografica non è certo frutto di eccessiva
vivacità da parte della domanda!
Decisamente
meno di "cultori esclusivi", senz’altro più di "frequentatori
occasionali", ci siamo ritrovati a gradire questa recente raccolta
del musicista statunitense Thomas Dimuzio. Un musicista che avevamo
già avuto modo di conoscere, ma che abbiamo veramente apprezzato
solo in occasione di Quake (1999) e Dust (2002), i due album incisi
in compagnia del batterista elettrificato Chris Cutler. Qui Dimuzio
aveva modo di dimostrare non comuni capacità dialogiche – nonché
buona prontezza di riflessi – in una conversazione che lo vedeva sintetizzare,
campionare e trattare con un buon senso della direzione.
Sottotitolato
A Compilation Of Compilation Tracks 1990-2004, Slew assembla brani che
Dimuzio ha realizzato per lavori collettivi. Nonostante il notevole
lasso di tempo intercorrente tra le prime e le ultime cose qui presenti
– nonché la sostanziale occasionalità dei contributi –
non è certo arduo scorgere una cifra stilistica unitaria. Dimuzio
ha campionato e processato materiali molto diversi, tutti elencati in
copertina. Bella l’apertura di Never Steven, che processa ed elabora
i frammenti dei Doctor Nerve per il (diremmo) già noto Transforms:
44 Nerve Events Project; e bello anche il successivo Radiotraces, aperto
dal riconoscibilissimo violoncello del compianto Tom Cora: il brano
ci giunge infatti dall’album-omaggio Hallelujah Anyways.
Per
sintetizzare, diremmo Dimuzio massimamente a proprio agio nel creare
situazioni che accentuano il "drone" o che esplorano nel dettaglio
una situazione "elementare" in divenire. Il tutto con un procedere
abbastanza ampio, sì da lasciare all’ascoltatore un buon margine
di libertà interpretativa ma non tale da attribuirgli l’intera
responsabilità di trovare un senso nella musica. Per un verso
esemplari i brani più vecchi: Lightswitch (1990), con raro impiego
della voce, e Zosz (’91). Molto convincenti Usher Substart e 4 Poles,
brano dove un’elaborazione di pianoforte ci presenta un curioso fantasma
ragtime. Senz’altro belli i drone di Hinge Map Ridge e Zero Tolerance,
forse l’apice dell’album. Poco convincenti per chi scrive i brevi momenti
ritmati posti in chiusura.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net | Oct. 19, 2004