Ani DiFranco
Red Letter Year
(Righteous Babe)
Un silenzio
discografico lungo due anni è certamente un fatto insolito per un’artista
come Ani DiFranco. In verità il silenzio non era stato completo: il doppio
CD Canon (2007), "raccolta del meglio", era sembrato voler tentare
un bilancio; mentre il recente DVD-V concertistico intitolato Live In Babeville
aveva presentato un nuovo gruppo; ma era il materiale inedito a mancare.
Erano
stati altri i fatti nuovi di grande importanza nella vita della musicista.
Innanzitutto un nuovo partner: Mike Napolitano, il cui apporto tecnico
si era rivelato essenziale per la buona riuscita dell’album precedente
(e che ha coprodotto, registrato e missato Red Letter Year). Poi, la nascita
di una figlia.
Va da
sé che pochi recensori statunitensi hanno resistito alla tentazione di
leggere il nuovo lavoro in chiave biografica, non mancando di collegare
i testi delle canzoni, una certa vocalità più rilassata e un "mood" complessivo
meno teso e decisamente più "comunicativo", con punte che non
sarebbe esagerato definire "commerciali", alla nuova condizione
della DiFranco.
Pur senza
voler negare l’evidente, ci permettiamo di indicare quale elemento decisivo
per il nuovo album la sindrome del tunnel carpale da cui la musicista ha
annunciato di essere affetta tre anni fa. Anche se ormai le questioni musicali
sembrano non interessare più molto chi si occupa di musica, e massimamente
quando una figura di musicista è riducibile allo stereotipo di "ragazza
con chitarra", la DiFranco è stata innegabilmente una chitarrista.
E una chitarrista dalle cui pause e accenti hanno preso il via gli strumentisti
che con lei hanno suonato.
Facile
pensare, quale esempio ben noto a tutti, alla chitarra di Keith Richards,
seguita dalla batteria di Charlie Watts e da tutto il gruppo. Oppure, in
un senso diverso eppure simile, alla sezione ritmica degli Who che suona
"attorno" alla chitarra di Pete Townshend. A questo aspetto va
affiancato l’altro punto decisivo: il rapporto inscindibile che (come in
Curtis Mayfield, Jimi Hendrix e tantissimi bluesman e folk singer) esiste
tra cantare e accompagnarsi allo strumento, con tutto un sistema di "chiamata
e risposta" specifico a ciascun individuo.
Ed è
questo aspetto a costituire l’elemento comune a lavori tanto diversi come Evolve (2003, ultimo album con il vecchio gruppo), il solitario
(ma sovrainciso) Educated Guess (2004), il quasi "cow punk"
e "alt. country" con gruppo e produttore Knuckle Down (2005), e
Reprieve (2006), quasi un duo con l’ottimo contrabbassista Todd Sickafoose.
Mentre su Red Letter Year la chitarra ha un ruolo sì essenziale, ma di più
lineare accompagnamento, e a tratti di sola coloritura, quando non è addirittura
assente.
Il che
ci porta subito alla questione di chi dia "l’attacco" (il famoso
"1" o, se si preferisce, "one"). Cosa che vede la DiFranco
cambiare non poco il suo approccio vocale e il suo fraseggio, ora spesso
più
"normale" e "commerciale" (nel senso di
"accessibile") che in passato. Sempre riconoscibile, ma diversa.
In questo senso diremmo che per molti fan della DiFranco l’ascolto di Red
Letter Year potrebbe essere un’esperienza non poco spiazzante. E’ certo che
con quest’album l’artista ha operato un rinnovamento per certi versi radicale.
Se in meglio o in peggio, se questo sia un album di transizione o una strada
senza uscita, è altra faccenda.
Ovviamente
confermati i protagonisti dell’album precedente. Se di Napolitano e della
DiFranco si è già detto, stupisce sulle prime che l’ottimo contrabbassista
Sickafoose sia qui tanto spesso impegnato al basso elettrico, tra l’altro
non sempre nitidamente reso; quest’ultima si rivela però una precisa scelta
di produzione (quanto azzeccata è cosa che ognuno dovrà decidere da sé),
laddove basso e batteria costituiscono spesso una "presenza".
Confermati gli altri membri del nuovo trio, la batterista Allison Miller
e il percussionista (marimba, vibrafono, campane tubolari) Mike Dillon.
Ci sono anche degli ospiti, tra i quali segnaliamo CC Adcock alla chitarra
elettrica, Richard Comeaux alla pedal steel e Animal Prufrock al pianoforte.
La presenza per certi versi più inusuale è però quella di un quartetto
d’archi (Jenny Scheinman, violino; Megan Gould, violino; Jessica Troy,
viola; Marika Hughes, violoncello), presente in molti brani, il cui lavoro
(arrangiato da Sickafoose e registrato da Tony Maimone), pur percepibile
senza difficoltà, si presenta in missaggio più come colore e tessitura
che quale coprotagonista.
Red Letter
Year introduce l’album come se nulla fosse cambiato: chitarra acustica
sul canale destro ad aprire, i fiati della Rebirth Brass Band su quello
sinistro, una ballata tipica. In realtà il basso elettrico e la batteria
"pompati", la voce con echi inusuali, il pianoforte (suonato da
Sickafoose) ad arpeggiare come in passato avrebbe fatto l’acustica, la marimba,
il quartetto d’archi arioso, parlano chiaro. Bello l’inciso (il
"bridge") con funzione di "inserto" ("splice"),
con i fiati e una registrazione "sgranata".
Aperto
dalla chitarra elettrica, Alla This è il primo brano dal suono davvero
"nuovo". Come altrove sull’album, qui la voce non è in realtà a
volume alto, l’effetto evidenza essendo frutto di un lavoro di equalizzazione.
La ritmica ha un suono "moderno", gli stacchi con gli archi hanno
un sapore "epico" quasi "filmico".
Present/Infant
è una bella ballata con chitarra acustica e vibrafono, si uniscono poi
la ritmica, l’elettrica e la pedal steel. Bella l’interpretazione vocale
della DiFranco.
Smiling
Underneath è una "commercial ballad" che potrebbe diventare un
successo (e uno di quei classici pezzi che poi vengono suonati ai matrimoni)
qualora cantata da una voce più convenzionalmente gradevole come quella
di Sheryl Crow o di Jewel. Accoppiata che diremmo "moderno Nashville"
tra l’incedere classico e i suoni, che non sarebbero fuori posto su un album
di Fiona Apple o di Sarah McLachlan.
Way Tight
è una ballata "jazzata" vecchio stile, con chitarra acustica,
contrabbasso, pedal steel e vibrafono, decisamente ben riuscita.
Gran
dispendio di forze (percussioni, voci, archi "sinfonici") per
Emancipated Minor, che ricorda non poco Prince. Il pezzo è ben fatto, ma
l’insieme suona un po’ stanco: sono climi che la DiFranco ha indagato con
maggiore freschezza in passato.
Di nuovo
una ballad per Good Luck, con un arrangiamento cangiante che ne sottolinea
la (eccessiva?) frammentarietà. Chitarra-synth, ritmica, quartetto d’archi
in pizzicato, vibrafono, percussioni e un elegante rimshot.
Quello
che su altri album sarebbe stato un pezzo parlato, The Atom gode qui di
un arrangiamento a tratti "raga rock", con contrabbasso con l’arco
a fare gli armonici, vibrafono, quartetto d’archi, timpani e voce (ovviamente)
in primo piano.
Contrabbasso,
batteria e tastiere (piano elettrico Wurlitzer e synth, tutto suonato dalla
DiFranco) per Round A Pole, brano jazzato tanto "fuori posto" come
lo fu Blue Motel Room su Hejira. Curiosa la voce, su tonalità altissima.
Landing
Gear è una quasi bossa cui l’ukelele fornisce un sapore folk
"campfire". Basso, batteria, pedal steel, sintetizzatore e bella
interpretazione vocale misurata.
Quasi
una In A Silent Way in miniatura, Star Matter vede la tromba di Jon Hassell
affiancarsi al contrabbasso, alla chitarra e alla voce.
Chiude
l’album una briosa jam in stile New Orleans per i fiati della Rebirth Brass
Band, con tuba e rullante, di contagiosa allegria.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | Oct. 23, 2008