Ani
DiFranco
Evolve
(Righteous
Babe)
Se
è vero che quando si tratta di valutare le motivazioni di un
artista (quantunque esse possano apparirci misteriose) occorre sempre
procedere con una certa cautela, dobbiamo ammettere di essere rimasti
alquanto perplessi – e non poco delusi – nell’apprendere che il nuovo
CD di Ani DiFranco sarebbe stato l’ultimo della lunga e fruttuosa collaborazione
tra la musicista e il suo gruppo. E adesso che il CD è stato
pubblicato – e dopo aver avuto il tempo di assimilarlo – dobbiamo dire
di essere davvero spiacenti. Intitolato Evolve, l’album rappresenta
la fine di un cammino – e l’inizio di un altro.
Chi
scrive ha cominciato ad apprezzare Ani DiFranco ai tempi del suo Out
Of Range (1994). Ma è stata una fase successiva a entusiasmarci:
quella che potremmo (elasticamente) dire abbia inizio con i pregevoli
Up Up Up Up Up Up e To The Teeth (ambedue del 1999) per poi produrre
i risultati migliori con il doppio Revelling/Reckoning (2001) e ricevere
documentazione adeguata nella sua veste dal vivo con il CD So Much Shouting,
So Much Laughter (anch’esso doppio) e il DVD intitolato Render, ottimi
surrogati per chi non abbia mai avuto occasione di vedere la formazione
in concerto.
La
crescita di quegli anni ha pagato dividendi notevolissimi: le canzoni
sono diventate stilisticamente più varie, il lavoro di chitarra
della DiFranco più agile e versatile, la sua espressione vocale
più ricca di sfumature, la narrativa delle canzoni più
profonda. Evolve rappresenta il culmine di un processo e una possibile
anticipazione della nuova direzione in solo intrapresa dalla musicista.
Se verrà senz’altro accolto con gioia dai fan di più stretta
osservanza, grazie alla sua ora scarsa di durata l’album non dovrebbe
però mancare di convincere anche chi ha considerato il doppio
Revelling/Reckoning "troppo di una buona cosa". Il neofita
potrebbe rimanerne conquistato – per poi magari chiedersi come mai il
disco non sia su tutte le copertine (ma questa è un’altra storia,
giusto?).
Come
d’abitudine, il gruppo suona splendidamente. Menzione speciale per il
batterista Daren Hahn, il cui versatile lavoro in tutto l’album crea
le fondamenta su cui poggiano gli arrangiamenti; ascoltiamo il suo approccio
preciso, mai rigido, sulla funky In The Way e sull’aria cubana/mariachi
di Here For Now (dove gli strumenti incorniciano la voce senza mai toglierle
spazio). Davvero non comuni gli arrangiamenti dei fiati, attualmente
i più sofisticati eccezion fatta per gli Steely Dan – ascoltiamo
il lavoro dei clarinetti su Icarus e l’apporto subliminale di clarinetti,
tromba e flauto (e quand’è stata l’ultima volta in cui abbiamo
avuto modo di ascoltare su un disco un clarinetto basso?) su Phase;
per non parlare di quelle tessiture leggere che regalano sfumature (e
mai peso eccessivo) a Second Intermission, canzone la cui miscela di
accessibilità e raffinatezza non è certo lontana dalla
Joni Mitchell di metà anni settanta.
O
ascoltiamo Slide, il brano di più immediata godibilità,
che fa buon uso di una costruzione a "tensione & rilascio",
dei fiati, dei cori e di un’interpretazione vocale decisamente espressiva
da parte della DiFranco (ascoltiamo la spinta che fornisce alle parole
"tractor pull") – e attenzione a non mancare le maracas sul
finale.
O
My My è stata per chi scrive la più grossa sorpresa, con
quella qualità angolare del riff di piano posto in apertura che
arriva dritto dal songbook di Monk (è la stessa DiFranco al piano);
e ascoltiamo il modo in cui il sax alto doppia quelle note alte ripetute,
che più Monk non si potrebbe. Mentre sul finale il brano fa ritorno
a New Orleans, con clarinetto e tromba sordinata.
Ritroviamo
due canzoni già apparse sul live So Much Shouting, So Much Laughter:
Shrug e Welcome To. E se la seconda fornisce al disco un appropriato senso
di chiusura, è soprattutto l’arrangiamento della prima a ben
impressionare, con una bella introduzione al sax alto (Hans Teuber,
che è davvero un fantastico clarinettista) dove possiamo sentire
il soffiare nell’ancia e il battere delle chiavi proprio nella nostra
stanza.
(Abbiamo
già detto che il missaggio è opera della stessa DiFranco?
Non è certo nostra intenzione dare qui inizio a una guerra di
religione, ma è davvero bello poter ascoltare un disco – e una
batteria! – dal suono così naturale. Registrato dal vivo in studio
con qualche sovraincisione, è la dinamica dei musicisti che conta
e che viene fuori, senza alcun appiattimento in sede tecnica.)
La
DiFranco è al suo buon solito alle chitarre acustiche ed elettriche:
non certo uno strimpellare di sottofondo, ma parte integrale del tutto
(notiamo che alcuni passaggi dei fiati sono strettamente derivati da
parti chitarristiche); senz’altro da apprezzare il suo lavoro slide
all’acustica di Icarus e gli strappi funky di In The Way (d’accordo,
non è Steve Cropper – ma chi lo è?).
Tutta
l’abilità strumentale sarebbe comunque poca cosa senza le canzoni,
tutte molto buone – ma attenzione: è un disco che cresce con
gli ascolti. E se canzoni quali Evolve, Phase, Second Intermission e
Serpentine sono un’indicazione di quanto accadrà in futuro le
belle sorprese non dovrebbero mancare.
In
conclusione piace notare che i libretti dei CD di Ani DiFranco sono
ancora quelli più piacevoli all’olfatto di tutto il mercato.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| March 23, 2003