Crosby, Stills, Nash & Young
CSNY 1974
(CD + DVD-V)
(Rhino)

Se l’obiettivo è quello di consentire una comprensione minimamente adeguata della musica contenuta in questo cofanetto, allora sarà solo logico fornire un abbozzo di retroterra culturale, ché altrimenti – e ciò a dispetto della sua gradevole accessibilità – questa musica si troverebbe oggi ad avere la stessa leggibilità di un’emissione radio proveniente dall’iperspazio, tanto è il tempo trascorso da quell’estate del 1974. E che un abbozzo culturale possa, e debba, includere anche alcune svelte nozioni di natura tecnica su strumenti e voci è cosa che non potrà certo sorprendere, dato che è di musica che stiamo parlando.

Al momento in cui questa musica veniva suonata su palchi giganteschi davanti a folle oceaniche il quartetto la cui sigla porta i nomi dei componenti godeva di una popolarità con ben pochi termini di paragone nel mondo del rock. Chi avrebbe potuto riempire quegli spazi?, i rivali diretti essendo artisti quali Led Zeppelin, Rolling Stones ed Elton John. Già le vendite di Crosby, Stills & Nash (1969) e Déjà Vu, con Young, (1970) avevano fatto del gruppo un diretto antagonista dei celeberrimi Beatles. La fama era cresciuta a valanga con il doppio dal vivo Four Way Street (1971), successivo a quello scioglimento di fatto che era parso voler negare per sempre ai ritardatari ogni possibilità di recuperare il tempo perduto: le personalità altamente volatili dei quattro sembravano infatti aver avuto larga parte in quella separazione, e quelle furibonde liti nei camerini – ne parlò divertito il Frank Zappa dell’album Fillmore East, June 1971 – parevano testimoniare l’impossibilità di una ricostituzione.

Gli anni ’71-’73 vedono il gruppo dominare le classifiche per mezzo dei lavori solisti dei suoi componenti, e se oggi è quasi solo del botto commerciale di Harvest (’72) di Neil Young che ci si ricorda, un veloce sguardo a una qualunque enciclopedia dirà ben diversamente dei lavori di Stephen Stills – da solo, e poi con i Manassas – e di Crosby & Nash, tutti Top 5. Un’eventuale ricostituzione avrebbe quindi consentito di portare sui palchi anche quella parte del repertorio appartenuta discograficamente ai singoli (che, lo diciamo per gli estremamente frettolosi, è esattamente quanto è accaduto in questo cofanetto), oltre a permettere ai quattro di rodare quegli inediti che si immaginavano essere numerosi e di ottima qualità.

Il quadro appena tracciato ha però l’inconveniente di peccare di nettezza, spingendo sotto il tappeto la scomoda questione concernente la troppa popolarità. E’ una questione oggi invisibile, stante l’odierna considerazione della popolarità come qualcosa di "neutro" che procede per semplice via additiva. Ma a quel tempo il lavoro dei quattro portava con sé il "valore aggiunto" di una dimensione "controculturale" "in opposition", questione ineludibile per un gruppo che aveva fatto una bandiera di brani quali Ohio, Chicago e Long Time Gone (e successivamente di canzoni quali Immigration Man e Prison Song), mentre brani come Almost Cut My Hair e Teach Your Children ("You who are on the road/Must have a code that you can live by") mostravano quanto "politico" potesse essere il privato. L’estate del ’74 è anche quella dello scandalo Watergate, il cui apice sono le dimissioni del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon (le pagg. 56-7 del ricco libretto fotografico che è parte del cofanetto mostrano Graham Nash che guarda in tv il discorso in cui Nixon annuncia le sue dimissioni: è l’otto agosto).

Quella dell’eccessiva popolarità – e del "tipo" di popolarità – era una questione che non poteva neppure lontanamente sfiorare i rivali Led Zeppelin, Rolling Stones ed Elton John, con i primi intenti a fornire innanzitutto un intrattenimento di lusso, i secondi frequentatori assidui di quell’ambiguità che vede il suo più celebre rappresentante in Ponzio Pilato e il terzo ad abitare una dimensione "pop" senza problemi schiettamente da "entertainer". (Ma va detto che nel corso di una chilometrica, celeberrima intervista fatta da Robert Greenfield per Rolling Stone, al momento in cui si era trovato di fronte l’argomento "protesta in musica" nella fattispecie di una Chicago firmata da Graham Nash Keith Richard era sembrato alquanto sulla difensiva.)

Era l’abbraccio del dollaro facile implicito nell’accettazione della pessima acustica e del rapporto alienante tra musicisti e pubblico che consegue di necessità al suonare in spazi giganteschi il segnale indubitabile che i "campioni della controcultura" si erano venduti al nemico?

La questione era ulteriormente complicata da una faccenda che crediamo risulti oggi oscura se non incomprensibile alla maggior parte dei lettori: la separazione di carattere culturale esistente fra diversi "tipi" di droghe, in particolare la cocaina (l’idea che il rifiuto di un musicista che nella cornice culturale di quel tempo cantava un pezzo come Heroin possa essere prevalentemente attribuito a motivi meramente musicali non sembra essere molto sensata). Ricordiamo di passata che la pancia di birra e l’eloquio annebbiato e strascicato del Jim Morrison post-Waiting For The Sun danneggiarono i Doors molto più degli archi e dei fiati dei brani di The Soft Parade, l’alcol essendo allora "la droga dei genitori" per antonomasia. (Il lettore potrà riflettere sul tentativo di attribuire l’alcolismo di questo musicista alle sue radici irlandesi e alla sua natura di poeta, quindi alcolista di elezione.) Chi poi volesse studiare seriamente la questione si accorgerà che l’uso della cocaina da parte dei musicisti viene gradualmente retrodatato con il passare degli anni.

E questa non è cosa di poco conto negli anni in cui si cantano canzoni intitolate Speed Kills ed esiste un preciso tabellario culturale della farmacopea "illecita". (Per fornire un corrispondente italiano, in quegli stessi anni l’uso della cocaina riportava alla mente la figura del classico "cumenda" alla ricerca di compagnia in night-club quali il Santa Tecla.) Per sovrappiù, il costo della cocaina introduceva nella discussione uno sgradevole elemento di classe, cosa che – al di là delle ovvie e sempre possibili ripercussioni – consigliava di mettere la sordina a certi aspetti ricreativi della vita dei musicisti.

Il tour del 1974 di cui questo cofanetto è un resoconto "idealizzato" è a suo modo una risposta alla domanda conseguente all’arrivo di una gigantesca celebrità. E non è una risposta priva di precedenti all’interno di quella cornice (al di fuori di essa c’è il classico volume di Robert Greenfield di quarant’anni fa dedicato al tour dei Rolling Stones del 1972 apparso con titoli quali STP – Stones Touring Party e A Journey Through America With The Rolling Stones), il precedente più ovvio essendo il tour solista di Neil Young successivo al botto di Harvest e documentato da quel lavoro all’epoca assai controverso, proprio come il tour da cui è tratto, che porta il nome di Time Fades Away (si osservi la foto scelta da Young per la copertina). E se la risposta di Young fu per certi versi commercialmente suicida, pure è possibile dire che il musicista seppe trarre da quella vicenda un’appropriata lezione, che unitamente a uno scatto compositivo invidiabile e a una sistemazione cosciente di uno stile chitarristico contraddistinto da quella che potremmo definire una "sofisticata naïveté" gli diede la possibilità di lasciare indietro i suoi ex compagni.

(Ma ovviamente questa è tutta logica del senno di poi: un’overdose accidentale, e lo sguardo rivolto indietro vedrebbe oggi cose del tutto diverse. Che è in fondo quello che Young disse a Cameron Crowe in quella "intervista del ritorno" dell’estate del ’75 in cui promuoveva un "ritorno alla normalità" mentre porgeva l’album Tonight’s the Night. "Just keep one thing in mind" (…) "I may remember it all differently tomorrow."

C’era stata una falsa partenza l’anno prima, quando le session nate all’insegna della speranza non erano riuscite a produrre il nuovo album Human Highway (il lettore ne troverà la copertina nella foto dei quattro scattata da Graham Nash che compare a pag. 13 del libretto). E dato che Young doveva essere ben cosciente dell’amore per la spontaneità dei suoi colleghi – una qualità che di fronte a 70.000 persone sarebbe stata solamente suicida – ecco la sorpresa di un palco fatto costruire nel suo ranch e di prove che per l’intero mese di giugno tennero impegnato il gruppo per cinque o sei ore al giorno, sei giorni la settimana, con amplificazione, musicisti aggiunti e quant’altro (anche qui il corredo fotografico del libretto è decisamente esaustivo).

Va da sé che quanto detto finora presuppone implicitamente che di questa musica valga la pena di parlare. Da parte nostra crediamo che non pochi tra quanti ascoltano oggi "musica rock dal retroterra cantautorale" (no, neppure noi sapremmo dire che cos’è, ma la definizione ci sembra ben sintetizzare una dimensione nebulosa) potrebbero trovare qui molto di loro gradimento. Il che sembrerebbe dire per implicazione che il resto è "nostàlgia". Fatto estremamente curioso, nella prima settimana di quest’anno – quando ancora nulla era trapelato dell’esistenza di questo cofanetto, per non parlare della sua data d’uscita – abbiamo ricevuto un messaggio di auguri da un amico di New York, il quale tra l’altro ci diceva:

"Per la prima volta dopo tanti anni mi sono trovato a pensare a CSN&Y dopo aver ascoltato l’intervista che Terry Gross ha fatto a Graham Nash nel programma Fresh Air. (…) Quello che mi ha lasciato stupefatto è stato ascoltare di nuovo quella musica, che non avevo sentito in tempi recenti. L’intervista tornava spesso sull’argomento delle armonie vocali (…), e ha fatto sì che risentissi quelle armonie con orecchie nuove (dopo aver ascoltato quella musica soprattutto ai tempi del liceo). A ogni modo la musica era eccellente, dovrò risentirla non appena avrò un po’ di tempo libero. Tanti ricordi, ovviamente, ma anche il fatto di risentirla con orecchie adulte… cosa che è sempre interessante."

Popolarità "numerica" a parte, quella che va necessariamente ricordata al lettore anagraficamente più giovane è l’enorme influenza esercitata da album come quelli di cui si sta adesso dicendo quando si tratta della dimensione chitarristica. In tal senso la portata dell’album acustico di Four Way Street, con i suoi brani inediti e le versioni "nude" di canzoni fino allora ascoltate in una dimensione di gruppo, ha ben pochi precedenti. E diremmo che – fatte salve le "accordature aperte" di Crosby – sono soprattutto alcuni brani di Stills a costituire un prezioso anello di congiunzione tra il country-blues e il raga-rock acustico da una parte e il rock statunitense come si andava allora configurando dall’altra (pensiamo qui soprattutto a cose quali Word Game e Black Queen, logicamente incluse nel cofanetto). Con precisione certosina il libretto elenca ogni modello di chitarra usato in ciascun pezzo – bello trovarsi a riflettere sui timbri della Firebird e della SG di Stills, e notare il modo classico in cui Young "palms" la leva del vibrato (una massiccia e canonica Bigsby) della sua Les Paul (gli otto brani contenuti nel DVD-V offrono molti momenti emozionanti in tal senso). Nitida separazione dei canali, e il divertimento è assicurato.

(Buffo riflettere sul fatto che non era raro, un tempo, trovare in una recensione la frase "un album che non mancherà di interessare i chitarristi", che poteva ben essere una comoda via d’uscita quando non si aveva niente di meglio da dire, ma che testimoniava con chiarezza di come la dimensione strumentale della musica non fosse estranea a un giornale "per tutti".)

Il tour estivo del 1974 di CSN&Y era rimasto nella memoria collettiva soprattutto in virtù dell’enorme quantità di dollari che aveva mobilitato – oltre, ovviamente, all’enorme quantità di cocaina consumata dai protagonisti. I bootleg avevano narrato una storia di necessità parziale ma certamente mediocre, dove frequenti stonature si accompagnavano alla scarsa pazienza di una parte del pubblico al momento del set acustico. Per tutta una serie di motivi, i quattro erano sembrati ansiosi di lasciarsi alle spalle l’intera vicenda, con il film del concerto di Wembley – data conclusiva del tour, vedeva quali ospiti The Band e Joni Mitchell accompagnata dalla L.A. Express – lasciato a raccogliere polvere.

Logica la domanda: da quando un tour mediocre è in grado di produrre un cofanetto-capolavoro? La questione all’origine di questo box può essere velocemente sintetizzata nel modo che segue.

Coadiuvati dal tecnico Stanley Tajima Johnston, Graham Nash e Joel Bernstein hanno lavorato ai nastri multitraccia di tutti i concerti disponibili. Le lamentele immediatamente sorte in Rete a proposito della mancanza di questo o quel brano leggendario o rarissimo hanno quindi dovuto tenere conto di questa circostanza: che non tutti i concerti erano stati registrati in multitraccia. Partendo da questi nastri si sono quindi create delle versioni "ideali" dei brani eseguiti, lavorando in digitale con il sistema di "fly-in" che vede note o frammenti "intonati e a tempo" prendere il posto di cose poco esatte. Logico il terrore diffusosi in Rete quando si è appalesata la possibilità di versioni "Frankenstein" "curate" con l’Auto-Tune. Cosa che, a sentire la musica di questo cofanetto, non pare essere successa, anche se è ovvio che un certo lavoro di "riparazione" è avvertibile.

Quanto? Qui, come usa dire, dipende. Chi è solito "fare altro" mentre ascolta musica dopo un po’ non saprà più neppure cosa sta ascoltando. Vogliamo fare un esempio concreto? Vediamo allora la foto di copertina: in origine era in bianco e nero, ma per motivi di appeal commerciale è stata colorizzata al computer. Conoscenza dell’originale a parte, c’è stato chi ha fatto osservare che la posizione del sole non può andare d’accordo sia con il colore del cielo che con la lunghezza, la direzione e l’inclinazione delle ombre sul palco. Stirando l’analogia, lo stesso vale per certi aspetti della parte audio. Chi considera troppo analitiche queste osservazioni può tranquillamente procedere all’acquisto senza leggere oltre, ché tanto sarebbero discorsi inutili.

Il cofanetto è stato pubblicato in numerose versioni: quella contenente tre CD e un DVD-V, quella con tre Blu-ray "pure audio" (indica che non sono Blu-ray video) e un DVD-V, e quella "lusso" di (crediamo) mille copie, che aggiunge al tutto sei LP in vinile. C’è anche un sampler di un solo CD, "tanto per prendere confidenza con il materiale". (Nota gustosa – si consideri che il volume di 188 pagine che nell’edizione "Sparta" è a grandezza CD nella versione "lusso" è in formato gigante – la custodia dell’edizione limitata è in vero legno, cosa che aggiunge circa $500 in spese di spedizione ai $500 del "cofanone".)

La versione da noi ascoltata è quella "Sparta". Diremmo avvertibile il montaggio di certe sezioni dei brani del primo CD, ma niente di drammatico. Le uniche differenze un po’ troppo avvertibili le abbiamo notate in alcuni brani del secondo CD, quello che ospita il set "acustico". Sul brano Guinevere tutto suona diverso dal resto del lavoro, voci, chitarra ed effetti sulle voci, e non dovrebbe essere un caso: testimonianze in Rete vogliono il brano tratto da un successivo concerto dei soli Crosby & Nash. La stessa "opulenza" nell’ambiente (a nostro avviso un effetto digitale aggiunto) è chiaramente percepibile in brani quali Time After Time, Prison Song, Myth Of Sisyphus e la ripresa della beatlesiana Blackbird – ma non in brani che vedono protagonista Neil Young, cosa che a chi scrive sembra frutto di una precisa richiesta.

Le discussioni in Rete hanno messo in evidenza l’inclusione di ben cinque inediti di Neil Young (detto tra parentesi, la circostanza che vede oggi il lavoro del gruppo essere poco più di un’appendice di quello di Young trova conferma nel fatto che il lavoro di quest’ultimo risulta qui largamente sovrarappresentato), ma l’entusiasmo va temperato: non è per questi brani che ricorderemo il musicista, anche se Pushed It Over The End è un bel pezzo (ma è possibile che nessuno di quanti lo hanno acclamato quale "capolavoro dimenticato" ne abbia notato la forte somiglianza con il brano di Young intitolato Fontainebleau?).

L’appeal maggiore del cofanetto sta a nostro avviso nelle versioni eseguite dal gruppo di brani in origine incisi dai singoli componenti. Gran lavoro chitarristico, con alcuni momenti davvero entusiasmanti. Buone le parti vocali: bene Crosby, tale e quale ai dischi Young, un po’ stirato Nash, spesso "rauco" Stills. Però quasi nulla è in "pilota automatico", e posto che l’esecuzione di alcuni brani storici è meno frizzante delle versioni presenti su Four Way Street, il lavoro regge la durata (a proposito: un’ora circa cadauno per il primo e terzo set, un’ora e venti circa per il secondo, quaranta minuti per il DVD-V). Da gustare il lavoro dei titolari alle tastiere, con le parti di accompagnamento a rivelare una versatilità a tratti insospettata.

Due parole sui musicisti aggiunti. Proveniente dai Manassas, Joe Lala lavora di colore alle percussioni, tenuto un po’ basso. Buona la batteria di Russ(el) Kunkel, una Pearl con due timpani e quattro tom. C’è stato chi ha trovato a tratti esagerate e invadenti le rullate destra-sinistra (prospettiva spettatore), ma siamo negli stadi. Bello il basso di Tim Drummond, un Precision dalle corde di scalatura generosa.

L’apertura del primo CD è affidata alla (un tempo) celebre Love The One You’re With di Stills, con toni vocali gospel e Young all’Hammond. Segue una felice esecuzione della (un tempo) celebre Wooden Ships, con ottime parti vocali, Stills efficace all’elettrica e Young all’Hammond. Fa seguito la Immigration Man di Nash ben sostenuta dalle chitarre di Stills e Young.

Come prevedibile, la Helpless di Young è qui in una buona esecuzione. Brano allora inedito di Crosby, Carry Me si fa ascoltare con piacere. Elegante, la Johnny’s Garden di Stills giunge dal repertorio dei Manassas. Inedito di Young, Traces sembra quasi uno scampolo da Harvest, con armonica. Briosa, la Grave Concern di Nash giunge da Wild Tales.

Si va sullo spettacolare con una versione di On The Beach – l’album fu pubblicato proprio nel corso del tour – a due chitarre soliste, con i momenti bluesy di Stills a opporsi alla catatonia della chitarra di Young. Una versione elettrica di Black Queen mostra il grosso debito di Stills nei confronti del maestro Hendrix. Ottima la Almost Cut My Hair di Crosby, con due soliste.

Intermezzo "acustico" sul secondo CD. Apre bene la Change Partners di Stills, con ritmica. Segue la The Lee Shore di Crosby, ottima, con ritmica, un’aria latina, e Stills all’elettrica. Non può sfigurare la Only Love Can Break Your Heart di Young, con ottime voci e Stills al piano.

Segue un momento Nash con una buona versione di Our House – piano e voci – e l’allora inedita Fieldworker, buona.

Ottima la Guinevere di Crosby, cui fa seguito l’allora inedita Time After Time. Ottima anche la versione di Prison Song, da Wild Tales (un brano il cui testo non ha purtroppo perso d’attualità).

Gran bella sorpresa, un’esecuzione in duo dell’allora inedita Long May You Run di Young, che un paio d’anni più tardi sarà la title-track dell’unico album dell’effimera Stills-Young Band.

Momento Young: Goodbye Dick è poco più di uno scherzo con banjo-guitar, mentre la buona Mellow My Mind andrà su Tonight’s The Night. Buona versione per Old Man, con Nash al canto.

Arpeggi intricati, Stills in solitudine per Word Game – dal country-blues al raga acustico – mentre l’allora inedita Myth Of Sisyphus lo vede impegnato in una ballad pianistica. Chiude il momento la Blackbird già Beatles, prevedibilmente buona.

Love Art Blues di Young è un inedito con ritmica, non male. Simpatico l’altro inedito, intitolato Hawaiian Sunrise.

Si chiude con due classici: Teach Your Children, buona, con ritmica; e Suite: Judy Blue Eyes, brano obbligatorio per il gruppo.

Il terzo CD si apre con una buona versione di Déjà Vu: armonici, Crosby alla voce, Stills alla chitarra bluesy. La My Angel di Stills, allora inedita, è l’unico brano davvero inutile, un groove alla ricerca di una canzone. La Pre-Road Downs di Nash non è male, anche se suona un po’ caricata.

La Don’t Be Denied da Time Fades Away riceve un’ottima esecuzione, chiara e limpida. Ottima la Revolution Blues da On The Beach, con Young alla voce e due chitarre.

La Military Madness di Nash da Songs For Beginners è buona, così come la Long Time Gone di Crosby che vede Young all’elettrica e Stills alle tastiere.

Pushed It Over The End è un altro inedito di Young, qui ben sorretto dalla dodici corde di Crosby, con un curioso Stills alle tastiere: piano elettrico Wurlitzer e Hohner Clavinet con wha-wha.

Si chiude con due classici: Chicago e Ohio, buoni ma che chi scrive preferisce senz’altro nelle più agili versioni contenute su Four Way Street.

Prezioso il DVD-V, per tutta una serie di motivi che lasceremo all’esplorazione del lettore.

Only Love Can Break Your Heart è classica e malinconica, con bei cori e belle interpolazioni di Stills al piano. Prevedibilmente grintosa Almost Cut My Hair, briosa Grave Concern, con Young al piano e Stills ottimo all’elettrica (è una versione migliore di quella contenuta sul CD, anche se la seconda strofe ci è parsa "importata" vocalmente). Old Man è buona, ma avremmo preferito fosse inserita la versione di Wembley, anche se forse la visione di Young pronto al decollo ha fatto decidere altrimenti.

Siamo a Wembley. Johnny’s Garden è elegante, un bel momento mentre il sole tramonta. Molto buona la versione di Our House, con piano e voci d’appoggio eccellenti. A pezzo concluso, boato della folla, Nash scoppia a piangere – forse la presenza di Joni Mitchell ha riportato alla mente ricordi troppo vivi. Nash cerca di nascondere l’imbarazzo, Crosby lo abbraccia, per poi offrirlo all’omaggio del pubblico.

Segue un’ottima Déjà Vu, con gli armonici sulla dodici corde, Stills ispirato all’elettrica, Young sorprendente al pianoforte jazzato, con l’aria di chi pensa "scommetto che non vi aspettavate che un bifolco come me conoscesse questi accordi…".

Chiude la grintosissima Pushed It Over The End, e qui sono in tanti a sembrare in un’altra dimensione, da Young intento nella narrazione di un brano che con tutta evidenza sente ancora nuovo a Stills alle tastiere. A fine esecuzione, Stills va da Young e gli dice… (Che bel pezzo che hai scritto? Scusa se ho sbagliato quell’entrata di tastiere?)

Beppe Colli


© Beppe Colli 2014

CloudsandClocks.net | Aug. 18, 2014