Ornette Coleman
Sound Grammar
(Sound Grammar)
Si avvicinava
la fine dell’anno, e sentivamo che a poco a poco cominciavamo a sviluppare
una vera familiarità con il nuovo album di Ornette Coleman, finalmente
in nostro possesso (i particolari a breve), quando un titolo di grandi
dimensioni – Harmolodic Convergence – apparso
sullo schermo del nostro computer unitamente
alla foto di un musicista dal volto decisamente familiare ci disse che
era stato proprio Sound Grammar a vincere il titolo di album jazz dell’anno
nel nuovo, ed enormemente ridimensionato, Poll del Village Voice. La nostra
soddisfazione nell’apprendere il fatto è presto spiegata: lungi dal costituire
un premio
"alla carriera" per il settantaseienne musicista in occasione del
suo primo CD in dieci anni, il "critical consensus" dei critici
interpellati dal Voice riconosceva tutto il valore di un album che era sì
comunicativo, ma anche altamente sofisticato e di tutt’altro che immediata
fruibilità e che prometteva di essere in grado di rivelare nuovi particolari
nel tempo.
Ovviamente chi decide di acquistare un album in un negozio fisico
piuttosto che in Rete (potendo! ma "è distribuito in Italia, quindi
non c’è problema") allo scopo di contribuire per la sua piccola parte
a mantenere in vita i negozi ed evitare che facciano la fine di Tower Records
non ha poi il diritto di lamentarsi per il fatto di venirne in possesso
con un certo ritardo. Ma qui le circostanze sono davvero buffe: il disappunto
per non trovare in negozio il nuovo CD di Coleman era stato bilanciato
dalla soddisfazione derivante dal fatto che l’album in questione risultava
essere già esaurito! Occorreva quindi effettuare un riordino. Dato che
una familiarità di lunga data con il proprietario del negozio ci consentiva
di fare simili domande gli abbiamo chiesto quante copie ne avesse vendute. "Una".
A questo punto non ci restava che meditare sulla (ancora crescente?) divaricazione
tra il
"critical consensus" e la realtà.
E certo c’erano stati tempi in cui non solo la realtà del mercato,
ma neppure il "critical consensus" era stato favorevole a Coleman
(la migliore introduzione alla sua biografia e alla sua musica resta ancora
il bel libro di John Litweiler intitolato Ornette Coleman – The Harmolodic
Life, pubblicato nel ’92 ma che diremmo per nulla invecchiato). L’ascolto
di Sound Grammar – album che presenta un originalissimo quartetto con due
contrabbassi – ci ha spinto a riascolti serrati di alcuni tra i nostri
titoli preferiti della discografia colemaniana, dal freschissimo classico
Change Of The Century (con Charlie Haden al contrabbasso) al Volume 1 di
At The Golden Circle, Stockholm (dove lo strumento è suonato da David Izenzon)
passando per Crisis (sarà stato ristampato?) per giungere infine alla "partecipazione
straordinaria"
alla colonna sonora di Howard Shore per The Naked Lunch.
Ricordando che parliamo di jazz, diremmo quello di Coleman un nome
decisamente conosciuto. Discusso innovatore in un periodo in cui un’innovazione
musicale era ancora qualcosa su cui si poteva litigare, entrato per meriti
di età a far parte di quella schiera di "classici" cui un quotidiano
si suppone dedichi un pezzo sol che se ne presenti la giusta occasione.
Non diremmo che la sua musica sia però "compresa" (e la definizione
di
"Harmolodic", pur coniata dallo stesso Coleman, ha finito per costituire
un paravento dietro il quale nascondere in tutta fretta la mancanza di analisi).
Ma, come è stato autorevolmente affermato, quella operata da Coleman è una "permanent
revolution", una rivoluzione permanente che mai diventerà parte del
mainstream. Del tutto accademico, quindi, discutere dell’influenza del Coleman
compositore e sassofonista su quelli della
"scuola di Chicago", o notare come il suo originalissimo stile
da autodidatta al violino, criticatissimo ai tempi, abbia finito per costituire
un precedente di rilievo. Mentre i giornali trendy, in omaggio al principio
secondo il quale il nome che vende di più è sempre quello più oscuro hanno
snobbato Coleman in favore di Ayler.
Registrato
dal vivo in Germania nell’ottobre del 2005, Sound Grammar presenta il recente
quartetto con due contrabbassi. "Haden più Izenzon", ha suggerito
qualcuno, e c’è un pizzico di vero, ma la realtà è più complessa. Dei due
contrabbassisti il più noto è senza dubbio Greg Cohen: tecnica formidabile,
Cohen è qui impegnato a un pizzicato velocissimo e pieno di swing, a volte
esplicito. Meno noto Tony Falanga, il cui contrabbasso suonato con l’arco
è qui la vera rivelazione: ora contrappunto, ora linea indipendente, sovente
ricco di pathos. E se il primo sfoggia un suono profondo e rotondo, il
secondo privilegia un suono più secco, quasi da violoncello. Impegnato
al sax alto e, brevemente, anche alla tromba e al violino, il leader si
conferma solista scattante e creativo il cui respiro strumentale è (prodigiosamente)
dettato più dalla logica musicale che dall’età. Funzionale alla musica
la batteria di Denardo Coleman, che nella sua propulsione asciutta ai piatti
e al rullante (che diremmo dal fusto metallico) secco e dal rilascio immediato
("tà!") fornisce quella semplificazione necessaria a rendere
maggiormente intelligibile il quadro d’insieme. Il CD è registrato molto
bene, ma abbiamo notato che aggiungere un po’ di volume e qualcosa sugli
acuti ci rendeva più agevole godere del lavoro dei due contrabbassi.
L’iniziale
Jordan potrebbe benissimo venire da Change Of The Century, tanto è tipicamente
colemaniana nel suo tema scattante in stile "start and stop" dal
procedere zigzagante. Bel solo di sassofono, Cohen swingante, Falanga in
contrappunto, linee melodiche in(ter)dipendenti, assolo di Cohen e Falanga,
uscita del leader alla tromba (spiazzante, sulle prime pare Don Cherry!)
introdotta da un bel lancio di rullante, tema e chiusa.
E’ stato
Francis Davis a notare come le note di contrabbasso che aprono la successiva
Sleep Talking e che ritornano quale parte del tema citino la parte di fagotto
dell’introduzione della Sagra della Primavera di Stravinsky. La chiusa
del tema – una figura melodica discendente – vede Falanga, Coleman e Cohen
insieme per qualcosa che ci ha riportato alla mente atmosfere mitchelliane.
(E qui il gioco di citazioni e rimandi potrebbe davvero non avere fine,
dalla ripresa del tema di Monteverdi fatta dall’Art Ensemble Of Chicago
su Les Stances à Sophie al brano che quarant’anni fa apriva Sound, l’album
di esordio di Roscoe Mitchell, e che si intitolava Ornette.) Forse la vetta
dell’album, il brano ha un andamento solenne e concentrato. Bello e lirico
il lavoro dei contrabbassi, con Falanga a ripetere la linea melodica sotto
l’assolo di Cohen. Curiosamente, l’atmosfera venutasi a creare al momento
dell’ingresso di Coleman ci ha riportato alla mente un altro grande texano
di Forth Worth, lo scomparso Julius Hemphill.
Senza
minimamente dimostrare la sua età, Turnaround ci riporta all’album del
’59 Tomorrow Is The Question: è un blues dal tema deliziosamente "cool"
laddove il solo è perfettamente sostenuto e arricchito dal gruppo. Matador
ha un tema comunicativo e giocoso dagli evidenti echi latini (gustoso il
contrappunto dei contrabbassi). Bello il solo "triplo", e belli
gli echi di flamenco che è agevole cogliere qua e là.
Waiting
For You ha un’introduzione lirica di Falanga, un tema malinconico/acidulo
di Coleman (che ci ha riportato alla mente Henry Threadgill) e uno svolgimento
malinconico ma non rassegnato. Curioso il finale, dove nel decidere il
momento di riproporre il tema il leader sembra cogliere di sorpresa gli
altri musicisti. Call To Duty vive di swing spigliato, con i contrabbassi
a velocità forsennata, il ritorno della tromba, poi il sax.
Once
Only è per chi scrive l’altra vetta dell’album: tema lirico per Falanga,
Cohen in appoggio, entra Coleman, che in seguito introduce un secondo tema,
più mosso e dal sapore quasi latino. Si fa poi ritorno al tema lirico,
con Denardo a mutare di segno l’atmosfera e un denso dialogo tra i contrabbassi.
Song
X è probabilmente il tema di Coleman maggiormente conosciuto ai più grazie
alla versione fattane con Pat Metheny. Qui l’assolo è un vero treno, con
veloce accelerazione, e con l’ingresso del violino (che a partire da circa
7′ si muove con curiose movenze da fiddle country) l’effetto di insieme
è davvero entusiasmante. Solo di batteria e chiusa.
Beppe
Colli
© Beppe
Colli 2007
CloudsandClocks.net | Jan.
7, 2007