Jack
Casady
Dream
Factor
(Eagle)
La notizia dell’imminente pubblicazione dell’esordio solista di Jack
Casady dopo quasi quarant’anni di onorata carriera ("Solo album
from the founder member of Jefferson Airplane and Hot Tuna", ricorda
saggiamente lo sticker posto in copertina) non ha potuto che farci piacere:
pur se mai molto citato quale influenza imprescindibile (e tra i grandi
forse solamente da Anthony Jackson), Casady è stato figura decisiva
per lo sviluppo del basso elettrico, strumento al quale ha fornito un
suono inimitabile – gommoso e metallico – e sul quale ha sviluppato
uno stile armonicamente complesso e altamente drammatico. (Com’è
ovvio, la perenne sottovalutazione dei Jefferson da parte delle penne
"trendiste" non ha certo contribuito a rendere il suo nome
più familiare ai giovinetti.)
Il nostro entusiasmo è stato però immediatamente temperato
da una semplice quanto ovvia considerazione: Casady non è mai
stato un autore, il suo compito (e la sua grandezza) essendo stato quello
di arricchire i brani altamente eterogenei composti da Grace Slick,
Paul Kantner e Jorma Kaukonen (un immaginario "Best Of" contenente
solo i brani dei Jefferson firmati dalla Slick potrebbe aiutare a ribaltare
certi luoghi comuni su "grandezze e miserie" di quell’epoca
ormai lontana). La domanda cruciale era quindi: chi avrebbe composto
i brani del nuovo album? E chi avrebbe fornito il decisivo apporto strumentale?
Spiace non poco constatare che le cose sono andate nel peggiore dei
modi – e non ci aspettavamo certo un altro Crown Of Creation o un altro
Burgers! Casady ha firmato tutte le musiche (si stenda un velo pietoso
sui testi, frutto di penne differenti), e il risultato – una miscela
generica di country, rock e blues – a tratti non è molto distante
da certi mediocri gruppi di "southern rock" di metà
anni settanta. La rivista Bass Player ha dato al disco uno spazio di
tutto rispetto – e con ragione: a dispetto della portata non certo innovativa
delle canzoni le linee di basso non sono mai "generiche",
il rilascio delle note è superbo, l’unico brano strumentale –
Outside – dimostra che i vecchi orizzonti sarebbero lì a portata
di mano. Ma anche i musicisti sembrano distratti: Paul Barrere non è
mai stato un genio, ma al confronto anche il simil "manolenta"
di Doyle Bramhall II fa buona figura; competenti ma senza alcuna verve
le batterie di Steve Gorman e del Gov’t Mule Matt Abts; mentre su Weight
Of Sin Casady rispolvera (bene) la Bass Balalaika di Phosphorescent
Rat.
Certo, qui il problema principale è la musica, non certo la
mancanza di verve. Ma in tempi recenti il progetto collettivo dei due
volumi di The Deep End dei Gov’t Mule e Clone, il brillante duo inciso
da Leo Kottke e da Mike Gordon, bassista dei Phish – un duo che per
certi versi sembrava aggiornare proprio la lezione degli Hot Tuna acustici
– dimostrano che pur all’interno di un linguaggio sostanzialmente ormai
statico esistono ancora margini per produzioni in grado di ingenerare
gioia se non incontenibile entusiasmo. Allora?
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net | Aug. 26, 2003