Cafoni d’Italia
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di Beppe Colli
May 31, 2017
E’ la mattina del 31
maggio, sono le 7:00 e ci accorgiamo che dopo il pandemonio lungo alcuni mesi
che ha preceduto la pubblicazione della versione de luxe del cinquantennale di
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e le dotte discussioni
avvenute a partire da giorno 26 nei forum specializzati a proposito di inediti
e variazioni di missaggio avevamo quasi dimenticato che il vero anniversario
della pubblicazione dell’album cade domani, 1° giugno.
Ce lo ricorda il New York Times, che pubblica un pezzo
prevedibilmente pregevole a firma Jon Pareles: cinque cartelle nitide che
riescono senza sforzo nell’impresa apparentemente impossibile di ricordare quanto
c’è da sapere anche a chi non ne ha mai sentito parlare.
(Il pezzo di Pareles appare online con la data del 30 maggio
e il titolo The Beatles’ Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band at 50: Still
Full of Joy and Whimsy. La versione cartacea porta la data del 31 maggio e ha
per titolo 50 Years in the Life of Sgt. Pepper.)
Ore 7:30, scendiamo a
prendere i quotidiani in edicola. Notiamo che la Repubblica ha a pag. 34 un
pezzo di Gino Castaldo intitolato Sgt. Pepper 50.
Ci aspettiamo il solito pezzo tirato via di qualcuno molto
indaffarato. Ricordiamo i rialzi pressori successivi alla lettura di pezzi
apparsi sullo stesso quotidiano in occasione della scomparsa di Bob Moog e di
Ray Manzarek, cosa che ci induce alla prudenza. Ma la Repubblica è da decenni il
nostro giornale, e anche se osservare troppo da vicino le agonie è qualcosa di
penoso (come spiegare quell’attenzione ossessiva per tutto ciò che ha forma di
libro? – una cosa che ci ricorda il cowboy lasciato a morire nel deserto sotto
un sole cocente, legato a un cadavere che ne rappresenta il futuro) decidiamo
di procedere con la lettura.
Il pezzo è esattamente
quello che ci aspettavamo, e la discussione potrebbe anche finire qui.
Finché non si arriva alla sequenza di aggettivi che
dovrebbero funzionare da descrizione delle canzoni. Lasciando da parte altre
possibili considerazioni, e senza scomodare un paragone impossibile con il
pezzo di Pareles (qui appare in tutto il suo nitore l’Italia che non si è mai
confrontata con il Riassunto, ma solo con il Tema, nelle versione alla Altan di
"Mi dica quello che vuole"), giungiamo all’attributo usato per
descrivere She’s Leaving Home: "sognante".
Chi potrebbe mai usare "sognante" per descrivere
un pezzo come quello? Qualcuno che ha sentito la canzone con mezzo orecchio,
senza conoscere il testo, senza badare al titolo, senza la sensibilità
necessaria a cogliere le sfumature dell’interpretazione vocale e strumentale.
Il che, per un brano di punta di un album che ha fatto la storia e di cui si
celebra il cinquantennale su "Italy’s leading newspaper", è
semplicemente impossibile. Forse l’aggettivo migliore che è venuto in mente nel
tempo stringato che si è potuto dedicare alla stesura del pezzo?
Volendosi cimentare,
da "commovente" a "triste" a "tragico" a
"doloroso" la scelta dell’aggettivo più appropriato offre una non
piccola gamma.
A quei tempi era definito "generation gap", e la
distanza affettiva che culmina nell’abbandono della casa familiare da parte
della figlia "after living alone for so many years" è risolta con il
tono – dolente ma non accusatorio – tipico dell’autore principale.
L’interpretazione vocale è asciutta, pur nella malinconia.
Come è spesso accaduto – pensiamo alle tante splendide interpretazioni di brani
dei Beatles da parte di artisti afroamericani, da Ray Charles a Aretha Franklin
– il pathos implicito nell’esecuzione originale viene fuori nei toni dolenti di
Richie Havens nel pregevole album di poco successivo intitolato Richard P.
Havens, 1983.
Ci sono le belle parole scritte da Ian MacDonald nel
celeberrimo Revolution In The Head: The Beatles’ Records and the Sixties.
Apriamo il volume alle pagg. 194-5, dedicate a She’s Leaving Home.
"Indeed, for some, this is the single most moving song in The Beatles’
catalogue".
Sappiamo bene che da
tempo la reazione più diffusa nei confronti di quasi tutto è un’indifferenza
annoiata, un fare le spallucce, un considerare quanto avviene all’insegna del
"che ci puoi fare"?
Epperò per ogni cosa arriva il momento in cui si dice basta,
e questo vale sia per chi legge che per chi scrive, e non tutto può essere
liquidato facendo spallucce, e definire "sognante" il tono di She’s
Leaving Home è qualcosa di moralmente ripugnante che non può passare sotto
silenzio.
Per pura coincidenza,
lo stesso giorno, in prima pagina, compariva un editoriale del direttore, Mario
Calabresi, che augurava un finale "decoroso" per questa legislatura.
Un augurio che avrebbe più forza se il giornale su cui
appare fosse "decoroso" in ogni sua pagina.
© Beppe Colli 2017
CloudsandClocks.net | May 31, 2017