The
Jack Bruce Band
Live
’75
(Polydor)
La
recente ristampa dei primi album solisti di Jack Bruce ha costituito
un non piccolo motivo di felicità per i numerosi fan del musicista
scozzese, adesso finalmente in grado di fornire concretissime prove
a quelli del "Jack Chi?". Cosa più importante, è
stato colmato un vuoto nella storia del rock che conta. E’ infatti di
per sé evidente che Songs For A Tailor (l’esordio del 1969) e
Harmony Row (del 1971), con il terzo Out Of The Storm del 1974 a situarsi
solo qualche gradino più in basso, sono raccolte coraggiose e
riuscitissime di canzoni dalla durata compatta ma dai confini sterminati,
laddove l’originalità compositiva ha ben sfruttato le possibilità
insite nel linguaggio melodico, armonico e ritmico grazie a un amplissimo
retroterra stilistico e a possibilità tecniche prodigiose, innanzitutto
al basso elettrico (strumento che più di chiunque altro Bruce
ha contribuito a inventare, e al quale ha fornito una voce assolutamente
personale), ma anche al piano, all’organo, all’armonica, al violoncello;
per tacere di quella inconfondibile vocalità. Le ristampe in
questione si articolano in una serie organica e decisamente ben curata,
contraddistinta da una rimasterizzazione digitale estremamente rispettosa,
dal suono né tagliente né ipercompresso (un fatto oggi
decisamente non comune), da libretti con foto inedite o rare e da note
di copertina esaustive e attendibili.
Il
neofita darà inizio all’esplorazione partendo dagli album di
studio già citati. Live ’75 è invece destinato a suscitare
interesse e curiosità soprattutto in chi è già
un frequentatore attento dell’opera di Bruce. Il motivo è presto
detto: il disco – contenente un concerto inedito di due ore registrato
alla Free Trade Hall di Manchester il 1° giugno del 1975 – è
l’unica testimonianza ufficiale del quintetto con Mick Taylor e Carla
Bley, formazione che all’epoca dei fatti pareva destinata a raggiungere
vette entusiasmanti ma che invece si sciolse quasi immediatamente senza
produrre alcunché. Una documentazione parziale era stata offerta
dalla prima parte di Live On The Old Grey Whistle Test (’98), CD contenente
registrazioni radiofoniche; ma un suono decisamente non ottimale e un
repertorio sbilanciato in favore dei brani più brevi lo rendevano
testimonianza tutt’altro che definitiva. Va detto a onor del vero che
anche il suono di questo Live ’75 – sbrigativamente missato dal multitraccia
nell’agosto successivo al concerto e riversato in digitale lo scorso
anno – è tutt’altro che perfetto, ma qualità e varietà
del materiale rendono il fatto decisamente sopportabile.
La
formazione suona compatta e ben affiatata, già in condizione
di navigare con sicurezza le acque perigliose delle composizioni del
leader. Bruce Gary è batterista solido e versatile, perfettamente
in grado di riprodurre con scioltezza quelle parti che in studio erano
state suonate da musicisti stilisticamente molto diversi tra loro. Ronnie
Leahy è soprattutto il pianista acustico ed elettrico (l’immancabile
Fender) destinato a fornire le coordinate del suono, compito che assolve
con pertinenza ed eleganza. Mick Taylor – che da non molto aveva abbandonato
i Rolling Stones – è il "chitarrista rock": senz’altro
efficace nei momenti più "stomper" (Keep It Down) o
blues (la sezione di Post War che in origine vedeva Bruce all’armonica,
dove Taylor fa saggiamente ricorso al sapiente bottleneck), forse un
po’ a disagio quando la cornice richiederebbe una diversa consapevolezza
armonica – vedi il bellissimo finale dilatato di Smiles And Grins, dove
il Mellotron di Carla Bley crea un’aria non poco crimsoniana. La Bley
è impegnata soprattutto all’organo Hammond, strumento dove produce
quel suo timbro inconfondibile (riusciamo a immaginarlo su Sunshine
Of Your Love, qui offerta come bis?), e al Mellotron; sempre di gusto
– e sempre estremamente appropriate – le parti che riproducono essenzialmente
quanto lo stesso Bruce aveva suonato in studio, belle le innovazioni
– vedi il Mellotron "cosmico" che fa capolino ogni tanto e
l’Hammond di Tickets To Waterfalls, dove (a partire da 10′) sembra proprio
di ascoltare una diretta anticipazione di Dinner Music.
Forti
del senno di poi, non è difficile indovinare cosa non avrebbe
funzionato. Ma proprio per qualche ingenuità – e per alcuni momenti
dove forse si procede un po’ a tentoni – quest’album è una testimonianza
forte di una dimensione concertistica che diremmo oggi quasi totalmente
scomparsa, laddove la ricerca di sintesi e di soddisfazione (artistica,
non monetaria!) che aveva luogo sul palco non si situava al triste livello
del minimo comun denominatore, comunque camuffato.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| June 10, 2003