Jack Bruce
Spirit
(Polydor)
Sottotitolato
Live At The BBC 1971-1978, Spirit (dal nome di una composizione di Tony
Williams qui presente in due esecuzioni alquanto diverse) è uno svelto
minibox che – salvo errori od omissioni – dovrebbe contenere tutto quello
che Jack Bruce si trovò a registrare per l’emittente radiofonica britannica
nel corso di quel decennio. Quasi due terzi del materiale che conta davvero
(ma ci sono anche delle curiose aggiunte di natura esplicitamente jazzistica,
né inutili né imprescindibili, di cui si dirà più avanti) era già stato
pubblicato una decina d’anni fa su due diversi CD, ed è estremamente verosimile
che il fan più accanito di Bruce ne sia già in possesso; da parte nostra
diremmo la nuova masterizzazione (qui decisamente più nitida, anche se
certamente non in grado di operare miracoli sul suono d’origine), le esaustive
note di copertina, il lungo brano in più della formazione con Taylor e
la Bley e il concerto del gruppo con Hymas e Phillips elementi tutti potenzialmente
in grado far pendere la bilancia in direzione di un (ri)acquisto.
Che destinatario
primo di questo materiale sia chi conosce già a menadito il procedere della
storia, e il suo senso, lo diremmo scontato. Non che la musica qui contenuta
sia priva di una sua autonoma dignità, e non in grado di ben figurare come
esperienza sonora a sé stante; riteniamo però che per coglierne pienamente
il senso – le differenze e le somiglianze, e come il materiale si sia adattato
alle diverse personalità strumentali mentre ne condizionava a sua volta
l’operare – una stretta confidenza con gli album di studio originali sia
fattore imprescindibile.
Ma giunti
a questo punto, cosa dire a chi non abbia mai ascoltato nulla di Jack Bruce
(e ci limitiamo qui di proposito alla sua produzione solista, escludendo
quindi dall’elenco gruppi, collaborazioni e partecipazioni straordinarie)?
In teoria non c’è nulla di più semplice: è sufficiente procurarsi Songs
For A Tailor (1969), Harmony Row (1971) e Out Of The Storm (1974), con
un eventuale pensierino per How’s Tricks (1977). Tutti album ristampati
da pochi anni, tra l’altro: con note di copertina, foto, testi, brani in
più e suono digitale rispettoso degli originali. In pratica le cose non
sono più così semplici, per tutta una serie di fattori che man mano che
passa il tempo contribuiscono a rendere lavori come quelli di Bruce (ma
è evidente che qui potremmo fare tutta una serie di nomi) di sempre più
opaca leggibilità.
Una volta
mezzo principale per superare orizzonti ristretti, dopo essere stato a
lungo rifiutato per ragioni che erano spesso oscure anche a chi le sosteneva,
il virtuosismo strumentale è oggi un’entità misteriosa; né ha molto senso
oggi indicare l’innovazione nel quadro della norma, dato che oggi è la
norma stessa a essere non più percepita; per non dire della sostanziale
incomprensibilità odierna di un fattore un tempo autoevidente: il desiderio
di mutamento come entità sufficiente a spiegare se stessa.
Un romanticismo
aspro, quello di Bruce; e un sincretismo musicale frutto di un amplissimo
retroterra; aggiungiamo un polistrumentismo spinto e un virtuosismo al
basso elettrico con pochi eguali nella storia del rock; e una voce personalissima
e versatile. (Un patrimonio che ci pare John Greaves abbia tenuto presente
al momento di intraprendere la carriera solista post-Henry Cow.)
Il piccolo
box contiene tre CD, ciascuno dei quali comprende la registrazione di un
concerto di circa un’ora più una dozzina di minuti di materiale jazzistico
eseguito in trio proveniente da diversa fonte. Una piccola stranezza concerne
la veste grafica: laddove i concerti contenuti nei CD 1, 2 e 3 risalgono
rispettivamente agli anni 1971, 1975 e 1977, le foto delle singole copertine
corrispondenti mostrano invece un Bruce del 1974, uno (con barba) del 1970
e uno del 1971. Mah!
Il primo
CD ospita un concerto della formazione che Bruce scelse con l’intento (principale
ma non esclusivo) di eseguire dal vivo il materiale contenuto sull’allora
recente Harmony Row. Com’è logico, furono confermati i due musicisti il
cui apporto discreto ma essenziale aveva avuto tanta parte nella buona
riuscita del disco: il chitarrista Chris Spedding e il batterista John
Marshall; il primo ripropone qui quella sua "astuta semplicità" che
ai tempi lo rese il beniamino di molti; il secondo è elastico ed essenziale
come quando al suo meglio. All’organo Hammond, pianoforte e sax alto, Graham
Bond riproduce con gusto quelle parti strumentali che lo stesso Bruce aveva
sovrainciso in studio; la seconda parte del concerto vede aggiungersi lo
spumeggiate sax tenore di Art Theman, a tratti sorprendentemente simile
a quello di Gary Windo. Spettacolare il lavoro di Bruce al basso, ottime
le parti vocali.
Logicamente
in primo piano il materiale tratto da Harmony Row (You Burned The Tables
On Me, Smiles And Grins, Folk Song, A Letter Of Thanks), vengono riprese
la We’re Going Wrong già dei Cream e The Clearout da Songs For A Tailor.
Dopo una prima parte più essenziale e misurata, aria maggiormente blues,
da jam-session controllata, per una Have You Ever Loved A Woman? tutta
appannaggio di Bond e per Powerhouse Sod e You Sure Look Good To Me.
Il secondo
CD vede in azione la Jack Bruce Band con Mick Taylor alla chitarra e Carla
Bley alle tastiere, ai quali si affiancano la batteria di Bruce Gary e
le altre tastiere di Ronnie Leahy. Il materiale è bello e stimolante: vengono
riproposte Can You Follow?, Morning Story e Smiles And Grins da Harmony
Row, mentre le complesse e fratturate Keep It Down, Pieces Of Mind e One
provengono dall’allora recente Out Of The Storm. La Spirit di Tony Williams
riceve una bella rilettura, seguita dall’allora inedita Without A Word:
ed è il brano che mancava nella versione del concerto precedentemente edita
su CD.
Come
si è già avuto modo di dire altrove, qui l’anello debole è Mick Taylor:
pronto ed efficace laddove la scala è (quanto meno apparentabile al) blues,
decisamente più a disagio altrove (e si veda anche l’accordo "alla
Santana" messo allo scopo di rendere "funky" Keep It Down).
Gary è sciolto e versatile, Leahy e la Bley si dividono i compiti con intelligenza:
piano acustico, ed elettrico Fender Rhodes, per il primo; organo Hammond
e Mellotron per la seconda. Bella la scoperta di questa versione di Without
A Word: se la versione di studio eseguita dal gruppo e rimasta per così
tanto tempo inedita (finirà quale pezzo aggiunto nella più recente versione
in CD di How’s Tricks) è decisamente bruttina, qui – complice la durata
dilatata e gli azzeccati assolo – il pezzo fa la sua figura.
Il terzo
CD vede la formazione di How’s Tricks eseguire la gran parte di quell’album,
e qualcosa ancora. Tony Hymas è un ottimo orchestratore, e le sue tastiere
(diremmo Hohner Clavinet, Fender Rhodes, un ARP Odyssey monofonico e un
ARP String Ensemble) ben figurano. Simon Phillips è batterista agile e
preciso (a tratti forse troppo), si conferma incolore il chitarrista Hughie
Burns. Il materiale da How’s Tricks viene decisamente bene (ma qui il vero
problema è se esso piaccia o no), interessanti le aggiunte: di nuovo Spirit
(ma questa versione sa più di routine), la Born Under A Bad Sign già eseguita
su disco dai Cream, la Out Into The Fields contenuta su Why Dontcha di
West, Bruce & Laing e You Burned The Tables On Me.
I momenti
jazzistici cui si è fatto riferimento in precedenza provengono tutti da
session effettuate per la trasmissione della BBC Radio 3 intitolata Jazz
In Britain; sono tutti eseguiti da un trio che comprende Jack Bruce al
basso elettrico e al contrabbasso, John Surman al sax soprano e al baritono
e John Hiseman alla batteria; tre brani incisi nel 1971 sono sul primo
CD, due del 1978 compaiono sul secondo mentre un terzo brano tratto dalle
stesse session chiude il terzo. Che dire? E’ un’aggiunta interessante,
ma non sarà certamente il primo motivo di un eventuale acquisto: la ritmica
non è male, Surman si ascolta con maggior piacere al baritono, mentre al
soprano appare decisamente prolisso.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2008
CloudsandClocks.net | Apr. 10, 2008