Eric Boeren 4tet
Coconut

(Platenbakkerij)

Una recensione che siamo felicissimi di poter scrivere (e c’è anche una lunga storia di cui si dirà alla fine), per un album di qualità eccellente – e ottimamente registrato – trovato del tutto inaspettatamente nella cassetta delle lettere.

Coconut dovrebbe essere il quinto album dell’Eric Boeren 4tet, formazione che – come da note di copertina del leader – esiste fin dal 1997. L’affiatamento raggiunto dai musicisti risulta qui evidente già al primo ascolto, ma c’è un particolare che la dice lunga sulla volontà di far rendere questa musica al meglio: quello contenuto nel CD è l’ultimo di una serie di tre concerti suonati dalla formazione, che ha così avuto modo di rendere ancor più frizzante e "telepatica" la sua intesa.

La registrazione è stata effettuata il 3 giugno scorso da Marc Schots in una sala la cui acustica indoviniamo felice, mentre il missaggio è opera dello stesso Schots insieme a due componenti del quartetto. Il bel suono d’insieme consente di "vedere" i musicisti disposti nello spettro stereo, dando così all’ascoltatore la possibilità di cogliere "in the moment" l’interscambio di idee che i musicisti si lanciano l’un l’altro. Da sinistra a destra vediamo Wilbert de Joode al contrabbasso, Han Bennink al rullante, Eric Boeren alla cornetta e Michael Moore – unico americano accanto a tre olandesi – agli strumenti ad ancia, su tutti un versatile sax alto. Diremmo comunque il missaggio di tipo "attivo", e non semplice "fotografia" della musica.

Qui l’ascolto è forse in grado di funzionare meglio di tante parole, tanto accattivante e "user-friendly" è la musica suonata. Una musica che ha una sua bella complessità perfettamente in grado di sostenere numerosi ascolti ma che risulta immediatamente bella e piacevole – fatto non poco sorprendente se consideriamo che alla base di tutto c’è quella "eterna avanguardia" che è la musica di Ornette Coleman!

L’ascolto del brano d’apertura, Coconut – cinque minuti che passano in un baleno – rende subito evidente il collegamento, offrendo un vivace calypso – ben sostenuto dall’eccellente rullante di Han Bennink, qui in grado di impersonare perfino dei timbales – che ci ha riportato alla mente la Una Muy Bonita contenuta sul capolavoro colemaniano intitolato Change Of The Century.

Va comunque immediatamente precisato che quella del quartetto di Boeren non è un’opera di "riproposizione". E che anche i timbri strumentali sono (ovviamente) molto diversi, questo quartetto essendo privo di quella dimensione "acuta" di isteria a stento controllata che nell’economia del tempo era caratteristica propria del quartetto di Coleman.

Ma sulle differenze tra questo quartetto e quello di Coleman sentiamo Boeren: "Lo spazio improvvisativo viene considerato un terreno comune partendo dal quale possono essere lanciate forme e idee. Ciò diversamente dal gruppo di Coleman, dove le improvvisazioni sono trattate più come uno spazio solista."

Crediamo che l’ascolto (comparato) di Change Of The Century possa rendere l’ascoltatore novello incredulo riguardo alle polemiche di cui avrà senz’altro letto, tanto swingante e "bluesy" è la musica suonata dal quartetto di Coleman mezzo secolo fa. Va quindi fatto lo sforzo di inserire quel procedere – e quelle esitazioni – in una cornice in cui quel suonare era un’ipotesi che attendeva ancora di essere messa alla prova, e non qualcosa di già acquisito. La musica di Coconut è, al confronto, molto più "elastica" e ricca, tanto più ricca essendo oggi la tavolozza delle possibilità che il musicista ha potenzialmente a sua disposizione.

Dando per scontato che nulla può sostituire l’ascolto diretto, possibilmente a volume adeguato (la musica ne acquisterà in vivezza), offriamo qui di seguito alcune svelte annotazioni sui brani.

Come s’è detto, Coconut rimanda al calypso di Una Muy Bonita. Qui, come in tutto l’album, il rullante di Han Bennink non potrà non stupire chi considera quella di usare "solo" un rullante una scelta limitante.

Con il suo quarto d’ora di durata, il medley di What Happened At Conway Hall, 1938? e Shake Your Wattle è l’unico momento di lunga durata dell’album. Tema, accelerazioni ("Yeah!"), una bella melodia dal sapore latino, assolo di Moore con ricco appoggio della ritmica, il tutto sfocia nell’improvvisazione maggiormente "rarefatta" di Shake…, dove una cornetta sordinata fa da cornice a un assolo di ancia "nordafricana" che ci ha riportato alla mente quanto suonato da Coleman nella colonna sonora scritta da Howard Shore per il film The Naked Lunch.

Percussioni, pedale di basso, soffio dell’alto, cornetta (qui ci è parso che i fiati godano di un’eco aggiunta in missaggio), The Fish In The Pond offre una melodia dolente eseguita all’unisono che non può non ricordare la celeberrima composizione di Coleman intitolata Lonely Woman, anche se poi il procedere rarefatto sembra riallacciarsi a quei momenti "bluesy" dell’Art Ensemble Of Chicago composti dal compianto Lester Bowie. Bellissimo rullante con cordiera in evidenza, suonato con le spazzole.

Little Symphony è una composizione di Coleman da Twins, qui riproposta in una versione che ne rispetta il tema articolato. Assolo di sax alto "motivico", con un episodio in respirazione circolare che scatena Bennink. Ottimo assolo squillante di cornetta, con brio.

Ricca combinazione di momenti che offre anche un assolo di… batteria di Bennink, Crunchy Croci si svolge tutta in un universo ritmico.

Padàm ha una melodia swing, e un rilassato Moore che poi cede il passo alla cornetta sordinata del leader.

Ha inizio qui una serie di bis suonati dal quartetto, tre brani che stranamente suonano molto diversi da quelli che li hanno preceduti, con più riverbero e il rullante di Bennink spostato sulla destra.

La colemaniana Joy Of A Toy offre il tema riconoscibilissimo, swingante e a velocità pazzesca, con un duetto tra la cornetta e quello che ci è parso essere un clarinetto. Bella l’alternanza di veloce e quieto.

Journal ha un bel tema, e dell’ottimo "swing" dalla cornetta sostenuta dal rullante, mentre la parte di basso ci ha ricordato quella – davvero celeberrima – suonata da Charlie Haden su Ramblin’. Usiamo questo momento per lodare il lavoro svolto su tutto l’album da Wilbert de Joode, in una terra di mezzo tra Charlie Haden, Scott LaFaro e… Wilbert de Joode.

In un modo che suona appropriato, l’album chiude con un blues di Booker Little, BeeTee’s Minor Plea, con il quartetto a tirar fuori colori diversi, con (diremmo) Boeren dalle parti di Freddie Hubbard e Moore a ricordare Eric Dolphy. Contrabbasso "slap" di de Joode.

(Mettiamo in fine un piccolo p.s. di natura personale. Circa dodici anni fa ci capitò di leggere su Down Beat una recensione altamente positiva di Joy Of A Toy, album in cui l’Eric Boeren 4tet, a noi ignoto, eseguiva un mix di brani di Coleman e di brani originali che da lui traevano ispirazione. Telefonammo ai nostri fornitori abituali, nessuno dei quali conosceva l’album – con l’eccezione di uno, che però non lo aveva.

Passato qualche anno, c’è un nuovo album per l’Eric Boeren 4tet – non ne ricordiamo il titolo, ci sembra che la copertina mostrasse un clown – ma ormai ordiniamo tramite Internet, quindi e-mail al distributore olandese, che ci replica immediatamente che il CD – appena uscito! – è già esaurito. Felici per loro, ma increduli, chiediamo spiegazioni. Ci viene allora detto che l’intera tiratura viene inviata a un grosso distributore statunitense, e quindi è lì (!) che dobbiamo rivolgerci.

Il lettore potrà quindi immaginare la nostra sorpresa nel trovare gratis in buca quanto non eravamo mai riusciti ad ascoltare pagando. Ma anche il distributore ci pare cambiato.)

Beppe Colli


© Beppe Colli 2012

CloudsandClocks.net | Nov. 12, 2012