Blue Lines Trio
Blue Lines Trio
(Casco Records)
Un
bell’album trovato inaspettatamente nella nostra cassetta della posta e
arrivato proprio al momento giusto: uno di quei momenti in cui si pensa che
ormai la buona musica è finita e che è giunta l’ora del riascolto delle vecchie
cose.
Un
bell’album, non un capolavoro o l’equivalente di quest’anno di Change Of The
Century. Però un album in grado di tenere desto l’interesse per tutta la sua
durata e che pur muovendosi all’interno di una cornice che diremmo nota offre
una serie di spunti non comuni.
Quale
cornice? Dicendo "piano jazz trio" siamo coscienti di creare attese
destinate ad andare deluse da un lato e a provocare disinteresse dall’altro.
Imprescindibile comunque, la lezione del jazz statunitense viene qui cucinata
in salsa olandese. Il resto diverrà più chiaro discutendo i pezzi in dettaglio.
La
formazione vede Michiel Scheen al pianoforte, Raoul van der Weide al
contrabbasso, al crackle box e ai "sounding objects" e George Hadow
alla batteria. Visti nella foto che appare all’interno del CD, il batterista
sembra sulla trentina, il pianista sulla cinquantina e il bassista sulla
sessantina. Sulle prime credevamo di non conoscere nessuno dei tre, ma una
improvvisa intuizione ci ha spinto a consultare i libretti di alcuni CD del
contrabbassista e compositore olandese Maarten Altena pubblicati a cavallo tra
gli ottanta e i novanta (Quotl, Cities And Streets e Code), ed ecco lì il
pianista, ovviamente ancora ragazzino.
Il trio
ha un bel suono, con il pianoforte giocato spesso sulla parte mediana della
tastiera, il contrabbasso non appariscente ma mai banale, la batteria a
ricordare fatalmente la lezione di Han Bennink (ma in senso timbrico,
specialmente il rullante, non nella filosofia del ruolo).
Registrato,
missato e masterizzato da Arnold de Boer, che ha anche prodotto l’album insieme
ai musicisti. Registrazioni effettuate al ben noto Bimhuis di Amsterdam.
L’unica scelta che ci lascia perplessi è quella di "tagliare" quasi
tutti i brani improvvisati: musicalmente la cosa è indubbiamente sensata ma a
volte i tagli ci sono sembrati un po’ troppo bruschi.
Copertina
brutta.
Il
repertorio presenta composizioni originali, la maggior parte delle quali opera
del pianista; una serie di improvvisazioni, non necessariamente idiomatiche ma
che diremmo più "guidate" di quello che la parola
"improvvisazione" potrebbe indurre qualcuno a credere; e la ripresa
di due composizioni (Kop op e Dark Goeree) dello scomparso sassofonista Paul
Termos.
Un’occhiata
ai pezzi.
Solid ha
un attacco nervoso dal sapore mingusiano, un’aria da Blues & Roots, con un
frammento monkiano – a 34", 1′ 03", 1′ 34" – inserito con buon
effetto sorpresa. Swingante! C’è un intermezzo centrale con frasi start &
stop all’unisono, facilmente rinvenibile uno sviluppo tematico. Si torna al
frammento monkiano, all’aria mingusiana, al frammento monkiano, chiusa.
Improvisation
538 apre con un accordo di contrabbasso suonato con l’arco, incalzante. C’è un
ostinato ricamato da pianoforte e rullante con cordiera in evidenza.
Kop op,
di Paul Termos, apre con un tema dal sapore "Be-Bop", con bel piatto
ride e buon uso del rimshot. C’è un assolo di batteria basato sulla frase
melodica del piano, si inseriscono poi piano e contrabbasso, con il tutto ad
assumere un’aria "tayloriana". Si chiude con un ritorno "a
sorpresa" della frase pianistica (e qui ci è parso che la sorpresa non sia
stata solo quella di chi ascolta!).
Improvisation
536 vede arpeggi sulla parte alta della tastiera, rullante, un pizzico di
contrabbasso, batteria con le spazzole.
Dark
Goeree, di Paul Termos, apre con un contrabbasso ritmato, un rimshot latino, e
un tema pianistico che ci ha ricordato la famosissima Watermelon Man di Herbie
Hancock. La parte centrale è monkiana, la scansione cadenzata, con svolgimento
di accordi a due mani. Il finale vede il trio tornare al tema
"Watermelon".
Idols ha
un tema chiaro, per accordi, breve. Incedere parallelo piano-contrabbasso, con la
batteria in assolo a volume maggiore. Esce nuovamente il tema, start &
stop.
Improvisation
541 vede i "sounding objects", la batteria percussiva, il piano
"a cordiera stoppata". Forse il momento più scontato dell’album.
Not Yet è
il solo contributo compositivo del contrabbassista. Il brano apre con un’aria
tematica semplice dal sapore "etnico" di breve durata a fare da
introduzione. Seguono accordi a pedale tenuto, piatti suonati con l’arco, come
anche il contrabbasso. Chiude l’aria "etnica".
Ingredients
539 respira una bell’aria "Be-Bop", con ritmica mossa. Bello
svolgimento, poi un assolo di batteria che diremmo alla Art Blakey (manca solo
lo "Yeah!"). Tradizionale, ma piacevole.
Stumble
ha una introduzione melodica dall’andamento a due mani parallele a formare
accordi. Per certi versi ci ha rimandato all’Anthony Davis intento a suonare
materiali "ellingtoniani" nel periodo di Lady Of The Mirrors.
Improvisation
537 è uno sciolto e frenetico frammento.
Sigh è la
ballad conclusiva, con spazzole, hi-hat, accordi, e un che di monkiano,
"claudicante", che rimanda decisamente al celeberrimo classico Ruby,
My Dear.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| Oct. 12, 2014