Blast
4tet
Sift
(ReR)
Fa un certo
effetto notare che dalla pubblicazione di Altrastrata – ultimo album dei
Blast prima di Sift – sono ormai trascorsi ben sei anni. Ed è un ritardo
a proposito del quale possiamo solo formulare congetture, avvertendoci
le note di copertina che Sift è stato registrato nell’estate del 2006 e
missato nell’autunno dell’anno successivo.
Uno sguardo
agli accreditamenti ci dice che la formazione del quartetto è rimasta invariata:
ritroviamo infatti Dirk Bruinsma ai sassofoni (baritono e soprano), Frank
Crijns alla chitarra elettrica, Paed Conca al basso elettrico e Fabrizio
Spera alla batteria. Notiamo invece che se la registrazione è nuovamente
opera di Stefano Vivaldi, stavolta il missaggio non è stato effettuato
da Bob Drake, ma da Sandor Caron, unitamente al gruppo.
E proprio
l’essere Sift tanto diverso (e se vogliamo essere drastici, incommensurabile)
rispetto al predecessore si è rivelato per chi scrive un ostacolo decisamente
arduo da superare. Il perché è presto detto: Altrastrata aveva operato
un mutamento enorme nel proporsi dei Blast, per motivi e modalità di cui
si è già detto in precedenza in sede di recensione. Qui basti dire che
il lavoro di Bob Drake aveva consentito al gruppo di fuoriuscire da secche
compositivo-esecutive che seppur gloriose (si parla di niente di meno che
di stilemi marca Rock In Opposition) correvano il serio rischio di tramutarsi
in sterili manierismi. Il lettore è quindi invitato a porsi la seguente
domanda: quale il risultato dell’abbandono della prospettiva "artificiale" di
Drake e del ritorno a un approccio sonoro maggiormente "fotografico" –
a parità di linguaggio compositivo?
E’ pacificamente
ovvio che quella appena enunciata è la prospettiva del recensore; del tutto
opposta, va da sé, l’opinione di chi ha visto Altrastrata quale momentanea
aberrazione. Da parte nostra riteniamo che una settimana di assidui ascolti
ci consenta di esprimere una valutazione "condizionata": più
ascoltavamo Sift immediatamente dopo Altrastrata e più il nuovo album ci
suonava "carente"; diversa, ma non opposta, la valutazione dopo
ascolti "autonomi".
Il fatto
è che Sift appare privo di quella chiarezza sonora tanto necessaria a una
musica altamente contrappuntistica quale quella dei Blast, chiarezza presente
anche nei momenti più "ortodossi" (per semplificare, gli ultimi
tre brani) di Altrastrata. Chi ne soffre di più è Spera, qui timbricamente
assai sacrificato, ma i momenti compositivi più intricati non ne traggono
certo vantaggio. Alzato il volume, procediamo comunque all’ascolto.
L’avere
proprio Sift in apertura ci ha lasciato a lungo perplessi: firmata da Bruinsma,
la composizione che dà il titolo all’album è infatti la più complessa,
e quella che più soffre di un missaggio poco chiaro e di montaggi a tratti
"brutali"; da parte nostra ne avremmo senz’altro preferito il posizionamento
quale brano numero quattro, prima del contributo
"eterodosso" di Spera; dobbiamo però dire che i ripetuti ascolti
ci hanno indotto infine a dare ragione al gruppo: esteticamente è la posizione
più logica, commercialmente non dovrebbe fare molta differenza.
Intricata
e multitematica, Sift presenta non pochi punti di somiglianza con certe
composizioni di Tim Hodgkinson per gli Henry Cow, in primis Living In The
Heart Of The Beast, complice la batteria di Spera, all’occorrenza perfettamente
a suo agio nell’indossare panni cutleriani. Bello lo sviluppo successivo
alla transizione a partire da 3′ 36", un po’ cupa. Sconcertante il
variare di ambiente sonoro successivo a 7′ 20", di nuovo affinità
con Hodgkinson.
Firmata
Conca, la breve Cklack ha un sorprendente attacco funky, clarinetto, begli
unisono basso/soprano, un momento molto Henry Cow/Unrest a partire da 1′
12", il rullante con le spazzole e un "accelerando" a 3′
08". Non appariscente, ma bello.
Dopo un
inizio lento e cadenzato, la lunga Fluke firmata Crijns parte con un groove
(a 46") e una frase (a 59") che diremmo strettamente apparentati
ai Material
"frithiani" di Memory Serves. Spera fa un figurone a partire da
3′ 26", con il frenetico rullante con le spazzole a stagliarsi su dei
rapporti "scomodi" tra sax baritono e basso (ed è uno dei momenti
in cui una registrazione maggiormente nitida non avrebbe guastato). Curiosissimi
i due accordi in "staccato" a 9′ 29" e a 9′ 30": sembra
proprio di sentire la fine di Lament dei King Crimson, prima di quella coda
strumentale su tempo dispari; qui invece fa seguito il tema "Material".
Swerves,
di Bruinsma, è un piacevole "momento diverso": tema svelto e
indovinato, un buon sax soprano, e uno Spera protagonista sonoro che sembra
ricordarsi di tanta bella "Great Black Music" andando in direzione
Don Moye.
Ci siamo
a lungo posti il seguente quesito: se definire la conclusiva Pole quale
momento migliore dell’album non implichi di necessità un giudizio di valore
sull’intero lavoro, tanto Pole differisce – per mondo d’ispirazione e per
numero di note al minuto – da quanto l’ha preceduta. Ed è un interrogativo
che lasciamo volentieri al lettore!
A onta
di un lungo e concitato momento per sax soprano, i silenzi e i "suoni
misteriosi" di Pole rimandano senz’altro agli Ossatura, l’altra formazione
di cui Spera fa stabilmente parte. E qui le "cicale notturne" che
in filigrana è possibile percepire più volte e i momenti di "rumorismo
zappiano" – si ascolti l’assolvenza che va da 13" a 20" e
il quadro sonoro successivo al "taglio" a 2′ 32" – rivelano
la mano felice di Elio Martusciello, ospite del brano.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2009
CloudsandClocks.net
| Aug. 27, 2009