A Blast From
The Past
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di Beppe Colli
June 1, 2007
"Chiunque
sia stato così sfortunato da non avere un’età compresa tra i quattordici
e i trent’anni durante il periodo 1966-7 non potrà mai davvero comprendere
l’eccitazione febbrile nella "popular culture" di quegli anni.
Un ottimismo solare permeava ogni cosa e le possibilità sembravano non
avere limiti." (…) "Con la sua visione di ‘blue suburban skies’
e un vigore fiducioso e senza limiti, Penny Lane distilla lo spirito di
quel tempo in maniera più perfetta di ogni altro prodotto creativo della
metà degli anni sessanta." (Ian MacDonald – Revolution In The Head
– The Beatles’ Records And The Sixties – Pimlico, 1995, pag. 177)
Non
riusciamo a ricordare la prima volta che ascoltammo Penny Lane (fu alla
radio), e neppure la seconda o la terza. Quello che invece ricordiamo perfettamente
è la prima volta in cui quella canzone ci impressionò in modo particolare:
camminavamo lungo un marciapiede nel centro della città quando ci capitò
di sentire questa musica – a volume piuttosto alto, e che sembrava familiare
e strana allo stesso tempo – venire fuori da un negozio. Era primavera,
e siamo pressoché certi che fosse un sabato pomeriggio: la mattina andavamo
a scuola, e di pomeriggio facevamo i compiti, con la sola eccezione del
sabato. Se ben ricordiamo il negozio in questione vendeva elettrodomestici;
è così che alcuni anni prima la cosa aveva avuto inizio, con i negozi ad
aggiungere dei giradischi al loro stock abituale di frigoriferi, lavatrici
e televisori – e c’era un posto migliore per vendere dischi di uno dove
già si vendevano i giradischi? Va comunque detto che al momento in cui
fu pubblicata Penny Lane nella città in cui vivevamo (una tranquilla cittadina
siciliana di circa 50.000 abitanti) c’erano già alcuni negozi specializzati
nella vendita di dischi, alcuni dei quali avevano persino degli LP! (pochi).
A quel tempo i singoli (chiamati allora "45 giri" per via della
velocità) erano decisamente costosi; nonostante ciò la gente era davvero
contenta di comprarli: in quel periodo non era affatto raro che un "45
giri di successo" vendesse un milione di copie o più.
Quando
acquistammo la nostra copia di Penny Lane (era la primavera del 1967) avevamo
pressappoco 12.6 anni: stando a quanto affermato da Ian MacDonald, questo
fatto è di per sé immediatamente bastevole a squalificarci come testimoni
attendibili di quei giorni – per non parlare dell’esserne stati partecipi!
Il che è abbastanza comprensibile. Ma ci proveremo lo stesso.
Non
ricordiamo la "British Invasion" come uno shock. Non passammo
da uno stato di "niente musica" a uno stato di "musica":
a casa c’era sempre la radio accesa, e i Beatles furono solo un colore
diverso in un panorama tutt’altro che monolitico. Canzoni come Please Please
Me e She Loves You (per non parlare di And I Love Her, una canzone della
quale esistettero tante versioni, ad nauseam) non fecero su chi scrive
un’impressione particolare. Ovviamente l’effetto cumulativo del materiale
successivo fu ben diverso. Pensiamo a una lista di canzoni come questa:
A Hard Day’s Night, Ticket To Ride, Help!, We Can Work It Out, Day Tripper,
Yesterday (non ci piacque), Michelle (idem), Norwegian Wood, Eleanor Rigby,
Yellow Submarine (beh…).
Potremmo
dimenticare gli Stones? Siamo assolutamente sicuri di esserci persi The
Last Time, ma non ci perdemmo quel che venne dopo: (I Can’t Get No) Satisfaction,
Get Off Of My Cloud, 19th Nervous Breakdown, Paint It Black, Lady Jane (che
a noi parve essere immondizia), Let’s Spend The Night Together, Ruby Tuesday
(beh…), We Love You – tutto nello spazio di due anni!
Solo
un pensiero: immaginiamo l’equivalente odierno dei Beatles (che a quel
tempo, ricordiamolo, erano gli artisti più popolari del mondo) e degli
Stones (che non erano esattamente un gruppo di sconosciuti) intenti a produrre
la sequenza di successi di cui sopra, più gli album, il tutto mentre vanno
costantemente in giro per il mondo ecc., nel corso di circa tre anni –
e non solo non limitandosi a una formula, ma innovando!
Grazie
alla radio (pubblica: un monopolio non sottoposto a concorrenza da parte
di imprenditori privati), giunti al 1967 conoscevamo una bella fetta di
musica nuova. Ovviamente la "British Invasion": Animals, Troggs,
Yardbirds, Kinks, Hollies, Small Faces, Spencer Davis Group (parliamo di
singoli, ovviamente, non di discografie complete); strano a dirsi, mancammo
completamente gli Who, conosciuti solo con Happy Jack. Poi alcuni gruppi
dagli Stati Uniti, per esempio Byrds e Lovin’ Spoonful. Un po’ di Dylan
e Donovan. Un sacco di Soul e R&B: Temptations, Four Tops, Martha & the
Vandellas, Otis Redding, Sam & Dave (la prima volta che ascoltammo
Monster Movie dei Can non furono i Velvet Underground – il cui nome non
avevamo mai sentito – a venirci in mente, ma Otis Redding e Sam & Dave),
Wilson Pickett e, un po’ più tardi, Aretha Franklin. In una parola: Wow!
Col
tempo divenne evidente che in quei solchi c’era molto più di quanto non
sembrasse a un primo ascolto. Fu ovviamente un processo lento. Va da sé
che a quel tempo non saremmo stati in grado di differenziare analiticamente
una canzone, la sua esecuzione, il suono dell’esecuzione registrata e il
suono del disco – certamente non in questi termini, e non così chiaramente.
Ma a poco a poco cominciavamo a notare alcune cose. Come alcuni dischi
che erano diversi come canzoni avessero un suono abbastanza simile. Come
le stesse batterie e chitarre sembrassero suonare su dischi di artisti
diversi. Come una canzone rifatta da un gruppo italiano suonasse completamente
diversa – e quasi sempre di gran lunga peggiore. E non è che fossimo così
particolarmente dotati. E’ solo che il fatto di ascoltare tutta questa
roba (decisamente molto varia) con le cose l’una accanto all’altra rendeva
palese che molto di quello che ci piaceva era il prodotto di persone molto
abili – una nozione decisamente diversa dall’impressione di "dilettanti
fortunati" che era allora la vulgata corrente – e di procedure tecniche
molto precise e a volte altamente originali.
All’improvviso
parve come se l’innovazione musicale fosse sottoposta a un processo di
incredibile accelerazione, con suoni nuovi e originali che apparivano quasi
ogni giorno, con gli artisti migliori ad ascoltarsi a vicenda, intenti
in una conversazione transatlantica. E’ importante tener presente – anche
se ovviamente a quel tempo non eravamo coscienti della cosa – che non solo
una parte del pubblico prestava una maggiore attenzione all’ascolto della
musica, ma anche che prestava un diverso tipo di attenzione a un diverso
tipo di musica. Nuove soluzioni musicali erano ora attese. Ci si abituava
a considerare con sufficienza le cose che piacevano al primo ascolto. Ci
si attendeva ora che le canzoni – i dischi! – si rivelassero lentamente
col tempo.
Riflettere
sul modo in cui la maggior parte di questi suoni è oggi disponibile al
pubblico – quei suoni efficaci e aggressivi ma al contempo ben definiti,
lavorati e rotondi ormai massacrati da strafottenti masterizzazioni digitali
– non è certo una cosa che fa bene alla salute. Come gente che scrive di
musica possa avere un’idea accurata di quello di cui parla conoscendo solo
le edizioni
"indifferently digitally remastered" è cosa che ci sfugge – e non
è che ci perdano il sonno, ovviamente.
Quello
che ci piaceva di Penny Lane era che, mentre poteva ancora essere considerata
"una canzone dei Beatles tipicamente estroversa e comunicativa",
sembrava nascondere almeno quanto rivelava (posto che uno prestasse il giusto
tipo di attenzione). L’altra facciata (sì, sappiamo che in teoria era un
singolo con due facciate A, ma Penny Lane era quella che si sentiva alla
radio) era qualcosa di veramente diverso. Ovviamente coloro i quali avevano
familiarità con Revolver sapevano già che stava accadendo qualcosa di nuovo.
Ma questo era un 45 giri, il che rendeva le cose completamente diverse. Come
in – Ma che cos’è questa cosa?
Dato
che a quel tempo non compravamo – né prendevamo in prestito – giornali
musicali (e non è che sapessimo dell’esistenza di giornali musicali specializzati),
non fummo consapevoli del fatto che l’uscita del nuovo album dei Beatles
– intitolato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band – si stava tramutando
in un evento di proporzioni gigantesche. Ascoltammo alcune canzoni alla
radio, With A Little Help From My Friends e She’s Leaving Home, se non
andiamo errati, quelle più trasmesse. Notammo come la chitarra e, in special
modo, la batteria sul brano che dava il titolo all’album avessero un suono
totalmente diverso che in passato. Non ricordiamo di avere mai ascoltato
allora A Day In The Life. Dobbiamo confessare che Sgt. Pepper’s Lonely
Hearts Club Band non fu per noi un’uscita particolarmente rilevante, dato
che c’erano degli altri suoni in circolazione che consideravamo molto più
interessanti per il nostro gusto. (Oggi ci sono ovviamente intere biblioteche
a proposito di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Chi fosse bisognoso
di un’introduzione – o semplicemente interessato a leggere un ottimo articolo
– sarà lieto di leggere un pezzo inedito di Mick Gold del 1974 intitolato
The Act You’ve Known For All These Years: The Beatles and Sgt. Pepper,
attualmente reperibile sul sito Rock’s Backpages.)
Nel
febbraio (crediamo) del 1976 ci capitò una cosa buffa. A quel tempo lavoravamo
in una stazione radio privata. C’era un programma settimanale (di cui non
ricordiamo il nome) in cui gli ascoltatori portavano il loro album preferito,
che veniva trasmesso e discusso. Una volta, mentre stavamo per uscire dall’appartamento,
incontrammo per caso un ragazzo che era l’ospite di quel pomeriggio. Aveva
portato con sé Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Dobbiamo confessare
che era da molto tempo che non pensavamo a quell’album. Ricordiamo solo
di avergli detto qualcosa come "Come mai hai scelto proprio quello?
Lo stesso anno sono usciti due album dei Jefferson Airplane, due dei Doors,
Absolutely Free di Frank Zappa…" Non capimmo bene la sua risposta
e andammo via.
Cose
strane, seconda parte. Era il luglio del 1987. Eravamo in Francia, al festival
MIMI, che a quel tempo si teneva a St. Remy de Provence. Dato che non parlavamo
una sola parola di francese fummo contenti di scoprire un’edicola che aveva
una certa quantità di giornali in inglese. Comprammo Rolling Stone – e
cos’era questo? Un articolo su… il ventesimo compleanno di Sgt. Pepper’s
Lonely Hearts Club Band. Di nuovo, ci accorgemmo che era da tanto tempo
che non pensavamo a quell’album. Dopo aver superato un certo shock iniziale
(erano già passati vent’anni!) pensammo a quello che voleva dire: perché
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band veniva di nuovo considerato rilevante
– o almeno meritevole di tutto quello spazio in un giornale di tendenza
mainstream come Rolling Stone?
Ovviamente
non ci eravamo accorti del fatto che una cosa nuova chiamata CD era stata
immessa nel mercato non molto tempo prima. A questo punto potremmo facilmente
parlare di nostalgia, di baby-boomer, delle malefiche Major che ci fanno
ricomprare tutti i dischi… Giusto. Ma oggi è assolutamente impossibile
non essere consapevoli della (passata? beh, non proprio!) esistenza di
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, o di ogni altro "capolavoro
del passato". Daremo di nuovo la colpa ai baby-boomer? Siamo sicuri
che il fatto di avere qualsiasi file a disposizione (gratis!) a portata
di mouse non cambi la nostra percezione di ciò che è "attuale"?
Aveva Lester Bangs perfino più ragione di quella che pensava di avere quando
scriveva "Ma c’è una cosa che posso garantirti: non saramo mai più
d’accordo su qualcosa come eravamo d’accordo su Elvis"? (Where Were
You When Elvis Died? – Village Voice, 29 August 1977 – ora in Psychotic
Reactions And Carburetor Dung). Il fatto di essere testimoni di qualcosa
di "leggendario" (che vuol dire: proveniente da un tempo in cui
le leggende potevano ancora nascere) spiega la proliferazione di Vecchi
Album Molto Famosi che vengono attualmente
"ricreati" in carne e ossa? (Pensiamoci: Paul è stato quello che
per primo ha suonato in concerto tante canzoni dei Beatles che non erano
mai state eseguite dal vivo.) Una lista parziale: Pet Sounds. Smile!. Horses.
Aqualung. Fun House. Berlin. Con certamente molti altri a venire.
E
poi?
Allora,
quali erano questi suoni fantastici del 1967 che consideravamo perfino
meglio dei Beatles? Beh, non stiamo sostenendo che fossero "perfino
meglio dei Beatles" (e abbiamo già menzionato la coppia Penny Lane/Strawberry
Fields Forever, giusto?), solo che per noi erano nuovi e interessanti.
Da dove iniziare?
Ovviamente
da quella mattina di giugno (alla radio che era in macchina – e quindi
doveva essere domenica, o forse era già finita la scuola?), quando un signore
– che si chiamava, crediamo, Renzo Nissim – disse qualcosa come "C’è
un nuovo gruppo americano chiamato The Doors che ha una nuova canzone prima
in classifica chiamata Light My Fire. La ascoltiamo", e poi mise la
versione dell’album! Fino a oggi non siamo mai riusciti a capire se si
trattò di un errore o cosa. Fatto sta che, finita la parte della canzone
propriamente detta (ed era già dinamite – ricordiamo come comincia? no,
non con la parte di organo, ma con un tom che fa "BAM!"), proprio
mentre pensavamo che il brano stesse per finire, cominciammo a sentire
quei lunghi assolo strumentali.
Poi
ci fu anche "Il grande successo mondiale dell’estate del 1967"
("una cosetta imbarazzante" secondo la definizione di un libro
sulla musica che ci piace lo stesso): A Whiter Shade Of Pale. Eravamo abbastanza
addentro alla Black Music da pensare a When A Man Loves A Woman (ma non a
Ray Charles, non ancora), ma questo era… beh, era diverso. Come in: adesso
rallentiamo – e molto.
C’erano
pezzetti che contavano quasi come canzoni. Per esempio l’introduzione di
piano a Death Of A Clown dei Kinks (Nicky Hopkins, ovviamente). O l’introduzione
di piano a We Love You degli Stones (sì, è di nuovo Nicky Hopkins).
C’erano
i nuovi suoni strumentali – e la strana atmosfera – di un altro successo
mondiale: Night In White Satin dei Moody Blues. Chi potrebbe mai dimenticare
quel colpo di rullante + riverbero prima dell’assolo di flauto (!): ttaaaaa!
Più o meno nello stesso periodo una grande abilità strumentale e un uso
della dinamica sonora estremamente sofisticato portarono i Vanilla Fudge
alla notorietà con un altro grande successo mondiale: You Keep Me Hangin’
On. Sottigliezze e raffinatezze contraddistinguevano i Traffic di No Face,
No Name, No Number.
Poi
ci trasferimmo in un’altra città (popolazione: 400.000 circa) dove i negozi
di dischi avevano un numero di album incomparabilmente maggiore (dai Pentangle
a Mayall a Zappa a… Se solo potessimo tornare indietro nel tempo portando
con noi un po’ di soldi), e incominciammo ad ascoltare cose diverse: Jethro
Tull e poi King Crimson, Creedence Clearwater Revival, Jimi Hendrix, Cream.
Nel frattempo, un nuovo programma radio (Count Down – la domenica alle
2.30 del pomeriggio) cominciava a trasmettere i "gruppi underground":
Family, Vanilla Fudge, Spirit, Blue Cheer, Steppenwolf.
Quello che cerchiamo di mettere in chiaro è il
fatto che tutta questa musica di cui parliamo era trasmessa alla radio
nonostante essa rappresentasse per molti versi (il lettore è pregato di
crederci sulla parola) un gusto altamente specializzato. Siamo ovviamente
coscienti del fatto che quello che abbiamo detto finora potrebbe essere
un facile bersaglio oggetto di ridicolo, come per esempio in "boomer
rimpiange la sua giovinezza perduta, celebra la musica del suo passato ".
Beh, ecco cosa salta fuori: un articolo di Eric Boehlert intitolato
The Greatest Week In Rock History. Comincia così:
"Trentaquattro anni fa questa settimana, Beatles, Stones, Zeppelin,
Temptations, Santana, Crosby Stills and Nash e Creedence Clearwater erano
tutti nei primi dieci posti della classifica degli album di Billboard. Non
c’è mai stata un’altra combinazione così – e mai più un’altra ce ne sarà."
L’articolo
è stato pubblicato su Salon in data Dec. 19, 2003. La settimana alla quale
si fa riferimento è quella di Dec. 20, 1969.
Dopo aver affermato con chiarezza che a quel tempo aveva quattro
anni (l’argomento nostalgia qui non si applica), Boehlert fa delle considerazioni
interessanti.
L’idea di "la più grande settimana del rock" sembra di
dubbia consistenza? "Ma c’è un solo modo per valutare in maniera sistematica
il passato del rock e cercare di scoprire la settimana migliore: scegliere
semplicemente quella che aveva, album per album, i migliori 10 piazzati
in cima alla classifica dei primi 200 album di Billboard. Una settimana
in cui il top 10 non aveva riempitivi inconsistenti, nessuna creazione
pop usa e getta e nessun orribile imitatore di trend. Una settimana che
vantasse la migliore collezione mai assemblata in cima alle classifiche
in un dato momento. Non necessariamente i migliori dieci album di tutti
i tempi: sarebbe sperare troppo. Ma la settimana in cui gli acquirenti
di dischi hanno prodotto una lista di album senza paragone, considerati
come un tutto, per qualità, originalità e longevità."
Ci vengono rammentati fatti interessanti: "Alla fine del 1969,
solo 20 album nella storia del rock avevano venduto più di 1 milione di
copie. Per contro, solo quest’anno quasi 50 album hanno venduto 1 milione
di copie o più, una differenza che supera di gran lunga l’aumento della
popolazione dal 1969. Inoltre, nel 1969 i giovani teenager compravano più
singoli che album. Ciò voleva dire che il grosso degli acquirenti di album
era concentrato tra gli studenti universitari bianchi, cosa che dava ai
loro artisti rock preferiti una corsia preferenziale nelle classifiche
di Billboard."
"Ma
non sono stati solo le canzoni e i singoli che fanno risaltare la settimana
del Dec. 20, ’69. In molti modi, il rock ‘n’ roll era gli anni sessanta – esso ha
giocato un ruolo definitorio nella cultura americana che oggi è difficile
persino immaginare. Ascoltare questa musica, persino per quelli di noi
che non hanno vissuto quei giorni in prima persona, richiama la storia
straordinaria e tumultuosa di cui essa costituisce una parte integrale."
E
quindi, quali erano gli album? E cos’altro dice Boehlert? Beh, dovrete
leggere il pezzo.
Per
motivi che diventeranno chiari tra poco, abbiamo pensato di scrivere una
lista dei nomi di coloro che ritenevamo facessero un lavoro valido in campo
musicale durante il periodo 1970-1975, secondo la nostra opinione di quel
tempo. Abbiamo deciso di scrivere i nomi nello stesso ordine in cui ci
venivano in mente. Il lettore è pregato di notare che dopo aver scritto
la lista abbiamo evitato di consultare libri o la nostra collezione di
album per vedere se avessimo dimenticato di menzionare artisti che ci piacevano.
Dato
che la lista rispecchia il nostro gusto, le nostre conoscenze e la nostra
disponibilità di informazioni nel corso del suddetto periodo, abbiamo omesso
quegli artisti (come Gil Scott-Heron, il cui primo album su Arista acquistammo
nel 1976, o gli Steely Dan) la cui stessa esistenza ci era totalmente ignota
a quel tempo; artisti la cui musica abbiamo dapprincipio percepita come
un po’ troppo "leggera" (per esempio, i 10cc., il cui grande
successo mondiale del 1975 intitolato I’m Not In Love era l’unica canzone
con cui avessimo familiarità. Acquistammo il loro album How Dare You! nel
1976); artisti le cui canzoni avevamo spesso ascoltato nelle versioni fatte
da altri ma i cui album non avevamo mai visto in vendita (un buon esempio
di ciò essendo Laura Nyro). Abbiamo anche omesso dei gruppi – come Procol
Harum e Jethro Tull – i cui album dei primi anni settanta ci piacquero
molto a quel tempo sebbene non li considerassimo altrettanto buoni (o altrettanto
freschi) di quelli da loro incisi alla fine degli anni sessanta.
(Non
è che possedessimo personalmente tutti questi LP! Ma la maggior parte li
conoscevamo bene.)
Amon
Düül II (quattro o cinque album)
Can
(sei o sette album)
Faust
(quattro album)
Van
Der Graaf Generator/Peter Hammill (circa mezza dozzina di album)
Jefferson
Airplane/Paul Kantner & Grace Slick/Hot Tuna (una decina di album)
Soft
Machine (tre album)
Gong
(tre o quattro album)
Kevin
Ayers (quattro album)
John
Cale/Nico/Lou Reed (un bel po’ di album in tutto)
King
Crimson (cinque o sei album)
Henry
Cow (tre album)
Frank
Zappa (una mezza tonnellata)
Joni
Mitchell (cinque o sei album)
Jack
Bruce (due o tre album solo)
Hatfield
& The North (ambedue gli album)
David
Bowie (due o tre album)
Brian
Eno (due album)
Gentle
Giant (quattro album)
Hawkwind
(tre o quattro album)
Traffic
(alcuni album)
The
Who (tre album)
Matching
Mole (ambedue gli album)
Robert
Wyatt (due album)
Slapp
Happy (due album)
Neil
Young (due o tre album)
Jeff
Beck (due o tre album)
Neu!
(tre album)
Todd
Rundgren/Utopia (una mezza dozzina di album)
A
questo possiamo aggiungere come minimo più di alcuni brani tratti da album
di ciascuno dei nomi che seguono: Aretha Franklin, Marvin Gaye, Curtis
Mayfield, Stevie Wonder, The Temptations.
Il
lettore attento noterà che mancano non pochi mega-seller degli anni settanta:
Emerson, Lake & Palmer, Yes, Elton John, Rolling Stones, Led Zeppelin,
Pink Floyd.
Uno
dei libri più celebrati tra quelli che parlano di rock, Stranded: Rock
And Roll For A Desert Island (prima edizione: 1979, Alfred A. Knopf, Inc. ristampa:
1996, Da Capo Press) è sempre stato per chi scrive una fonte di grande
perplessità.
La
seguente citazione proviene dal saggio di Tom Carson sull’album dei Ramones
intitolato Rocket To Russia che appare a pag. 112 dell’edizione Da Capo:
"Quando
alla fine degli anni sessanta il rock diventò ‘raffinato’ e ‘maturo’, quel
cambiamento era collegato in modo inestricabile all’utopia della controcultura;
la possibilità della rivoluzione era la sola cosa che dava credibilità
a Sgt. Pepper e alla marea di roba pretenziosa che seguì. Quando il sogno
della controcultura morì, tramutò tutta quell’artisticità visionaria in
pura fanghiglia – la ciliegina senza la torta. I primi cinque anni dei
settanta furono un lungo uscire dal tunnell delle rovine degli anni sessanta,
ed essi furono tra gli anni peggiori nella storia del rock ‘n roll, tanto
reazionario compiacimento quanto il vuoto tra il tradimento di Elvis e
l’arrivo dei Beatles; come la generazione che aveva creato, la musica aveva
perso il suo focus."
Abbiamo
citato il passo nella sua interezza per evitare l’accusa di "citazione
creativa". Non riteniamo che quanto asserito nella prima parte del
pezzo tenga, ma questo è discorso per un’altra volta.
Alcuni
anni fa, grazie a un’intervista fattagli da Scott Woods e Steven Ward (è
sul sito Rock Critics), apprendemmo che al tempo in cui scrisse il saggio
in questione Tom Carson aveva ventidue anni. Dato che a quel tempo non
eravamo tanto più grandi di lui (tre o quattro anni al massimo), riteniamo
di avere i titoli per poter commentare la cosa.
La
lunga lista che appare sopra include album che abbiamo avuto modo di ascoltare
vivendo in Italia dall’età di quindici anni all’età di venti. Come un periodo
in cui sono stati pubblicati gli album precedentemente citati (alcuni dei
quali sono anche andati in classifica!) possa essere definito come "tra
gli anni peggiori della storia del rock ‘n roll" è al di là della
nostra capacità di comprensione. Che un album come Rocket To Russia dei
Ramones possa essere considerato una rinascita degna di essere celebrata
dopo un periodo "compiaciutamente reazionario" in cui furono
invece pubblicati tutti quegli album è qualcosa che non riusciamo a comprendere.
E se questo non basta, conosciamo un bel po’ di persone – non necessariamente
boomers – che ritengono che paragonati a Rocket To Russia dei Ramones un
sacco di album pubblicati da un buon numero di quegli artisti rimasti fuori
dalla nostra lista – Emerson, Lake & Palmer, Yes, Elton John, Rolling
Stones, Led Zeppelin, Pink Floyd – assumono proporzioni gigantesche. O
qui c’è qualcosa che ci sfugge?
Mentre
potrebbe essere (forse) sostenuto che una volta ha funzionato come spiegazione
parziale in-qualche-modo-ma-non-proprio-soddisfacente, oggi l’"argomento
nostalgia" (che è ancora l’arma #1 per coloro i quali hanno tutte
quelle nuove uscite da vendere) non regge più. Non quando i più venduti
giornali di musica mettono in copertina artisti che sono diventati popolari
più di quarant’anni fa, con i "new waver" quali "giovanotti" del
mucchio. E’ buffo notare che all’epoca in cui fu pubblicato Sgt. Pepper’s
Lonely Hearts Club Band (quarant’anni oggi, tra parentesi), la musica di
Chuck Berry sembrava davvero vecchia – per non parlare della musica che
era andata per la maggiore quarant’anni prima! Che è una cosa su cui meditare.
Quel
che è certo è che il passato non è poi così ben servito. Prendiamo i Doors,
per esempio. Ci siamo spesso interrogati a proposito dell’identità dello
strano strumento a corda che appare sul rifacimento che il gruppo ha fatto
di Alabama Song contenuta sul primo album. E’ stato solo pochi anni fa
– grazie a una vecchia intervista fatta da Paul Williams al produttore
dei Doors Paul Rothchild apparsa nel 1967 su Crawdaddy! – che abbiamo appreso
che quel suono misterioso proveniva da un vecchio strumento chiamato Marxophone.
Ci sono molte più cose da sapere sulla musica dei Doors nell’intervista
(relativamente concisa) con il tecnico del gruppo Bruce Botnick apparsa
circa quattro anni fa sul mensile UK Sound On Sound che in tutti gli inutili
volumi che parlano sempre di "ubriachezza molesta". E se questo
non bastasse, va notato che mentre è quanto meno plausibile che chi era
presente ai tempi abbia almeno un’idea delle musiche alle quali Ray Manzarek
faceva riferimento quando suonava, dobbiamo ancora vedere, per esempio,
il nome di Otis Spann venire menzionato una sola volta.
La
stessa cosa, ovviamente, vale per Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band,
dove molte soluzioni tecniche audio inventate da Geoff Emerick – e che
sono impossibili da duplicare oggi – sono, in un senso preciso, la musica.
Il
punto è che la mentalità prevalente oggi centrata sul personaggio e correlata
a un mercato che privilegia i singoli (cosa che in un senso è molto pre-"rock
adulto") viene applicata a tutta la musica, passata e presente. Per
esempio, quando il nuovo successo dell’artista x viene paragonato a (Sittin’
On) The Dock Of The Bay di Otis Redding come se nella canzone ci fosse
solo il cantante! E allora che ne facciamo delle frasi slide suonate alla
Telecaster da Steve Cropper’?
Non
c’è bisogno di dire che ascoltare molta musica diversa fianco a fianco
– con gli Stones accanto a Bacharach accanto a Hendrix accanto a Sinatra
accanto ai Monkees accanto ai Byrds accanto ai Jefferson Airplane accanto
ai Beatles accanto a… non è proprio la stessa cosa di ascoltare un "canale
tematico".
E
ora?
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net | June
1, 2007