Emily
Bezar
Fooled By Yesterday
(DemiVox Records)
Giusto
un paio di mesi fa ci eravamo chiesti per l’ennesima volta che fine avesse
fatto Emily Bezar, artista del tipo "esemplare unico" cara a
chi scrive da ormai quasi un ventennio. Certo, la Bezar non era mai stata
un tipo eccessivamente prolifico, come agevolmente testimoniato dalla scansione
larga della sequenza degli album da lei pubblicati negli anni novanta – Grandmother’s Tea Leaves (1993), Moon In Grenadine (1996),
Four Walls Bending (1999) – e nel decennio successivo – Angels’
Abacus (2004), Exchange (2008). Pure, cominciavamo
a sospettare che la Musa avesse smesso di inviare i suoi messaggi – e come
diceva Miles Davis, "quando non ce n’è più, non ce n’è più" (o
almeno, così è come ce l’hanno raccontata).
Ma in prossimità
della fine dell’anno ecco giungere tutta una serie di sorprese, una più
inattesa dell’altra: un nuovo album c’è, e si intitola Fooled By Yesterday;
ma è del tipo non-fisico – "download only"! – disponibile nei
formati mp3 o FLAC. Alla maniera dei Radiohead, l’album non ha un prezzo
prefissato, ma offre a chi fosse eventualmente interessato la coraggiosa
opzione "pay what you want". L’ultima sorpresa giunge dopo l’ascolto:
inciso quasi esclusivamente in solitudine (Emily Bezar: voice, piano, keyboards,
electronics), Fooled By Yesterday offre una tale varietà di situazioni
stilistiche e sonore – le tipiche canzoni, capitoli elettronici, standard
di jazz eseguiti al pianoforte – da diventare un virtuale "Emily Bezar
sampler".
Un bene?
Un male? Di certo un bell’imbroglio per il recensore, la cui competenza
è messa a dura prova dall’eterogeneità del tutto. E per quanto riguarda
l’ascoltatore, sarà questo finalmente il megaseller che da sempre auguriamo
alla Bezar? Diamo un’occhiata al dettaglio.
Il lavoro
si apre con due brani in rapida successione. My Magnetic Sleep è la bella
introduzione strumentale all’album, timbricamente non lontanissima da certi
inserti "sintetici" di Irmin Schmidt con i Can del periodo Future
Days e Soon Over Babaluma; un fresco sound design per una bella composizione
dal suggestivo sviluppo melodico, con fasce sonore a intrecciarsi e inserti
vocali di funzione onirica che ci hanno ricordato la sezione "Big
Boys Don’t Cry" di I’m Not In Love dei 10cc. Otto minuti di durata,
Fooled By Yesterday è una grande ballad pianistica tipica della Bezar,
con Dan Feiszli ospite al basso elettrico, molti synth, un ottimo inciso
(come tipico di questa musicista) e un finale "orchestrale";
il tutto ci ha ricordato per molti versi l’esordio di Grandmother’s Tea Leaves.
A seguire,
quattro brani per piano registrati nei Fantasy Studios a Berkeley, California:
un’improvvisazione e tre standard cari alla Bezar. December Glare è un’improvvisazione
che sembra però partire da un pensiero tematico dalla melodia di grande
bellezza. Stile pianistico più vicino a Bill Evans che a Thelonious Monk,
se è concesso dirlo. Grande eleganza formale, dopo i 3′ sembra affiorare
un’aria tra il folk e l’inno religioso che ci ha fuggevolmente ricordato
Wayne Horvitz (e a circa 30" dalla fine c’è un che di monkiano).
La nostra
scarsissima frequentazione degli standard di jazz ci consente solo di dire
che Out Of Nowhere è una ballad ben eseguita, che la Speak Low firmata
Kurt Weill non è tra le nostre corde e che la versione di A Child Is Born
di Thad Jones è eseguita con bello swing ed efficace divisione delle mani,
12/8 e abbondanza di
"blue notes" – per chi scrive senz’altro il più bel momento dei
quattro capitoli di questa sezione.
Seguono
tre brani strumentali di matrice elettronica stilisticamente alquanto dissimili
ma che diremmo tutti molto ben riusciti. Frutto di un’improvvisazione elettronica
che usa sapientemente un timbro di un nuovo synth virtuale denominato Zebra,
Zebratropic offre una "esplorazione spaziale" dal sapore non
lontanissimo dai T.O.N.T.O. di Zero Time, con ottimo sviluppo melodico
e una melodia "classica".
Dance Of
The Tangerines, una "improvised dancey track" a proposito della
quale la Bezar cita esplicitamente i Tangerine Dream (vedi titolo) e Jean
Michel Jarre (ma qui la memoria di chi scrive ha recuperato un vecchio
album di Jim Aikin, Light’s Broken Speech Revived – un vero "album
di culto"!), presenta appropriatamente molto "movimento" fra
i due canali, modulazione del filtro nella parte dei bassi, una melodia "etnica" à
la Joe Zawinul, ed è complessa nonostante un’apparenza di semplicità, com’è
tipico di queste cose.
La lunga
– diciotto minuti – May In Mesolimbia sposa con successo una parte sintetica
totalmente improvvisata e poi plasmata e un meditare pianistico (trattasi
di piano campionato, ma bello) che ascoltiamo tale e quale. Piano lirico
melodico, parte di synth ricca di "selvaggio abbandono" – c’è
un che di fresco in questi elicotteri, cicale e buzz che rimandano a un’era
pionieristica della sintesi (per chi scrive, un complimento).
Si chiude
con un’aria di Richard Strauss, Die Zeit, Die Ist Ein Sonderbar Ding (Time
is Weird), e qui il recensore può solo dire di un’esecuzione asciutta e
suggestiva, con la vocalità della Bezar a cedere il passo a una lunga coda
chitarristica opera di Erik Pearson, con riverbero e delay lungo a ripetere.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net
| Jan. 20, 2012