Lou Reed’s Berlin
(2007)
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di Beppe Colli
June 15, 2007
E’ stato alla fine dello scorso anno, crediamo, che mentre
eravamo intenti a fare una ricerca in Rete (a proposito di cosa, non lo
ricordiamo più) ci è capitato di imbatterci in questo:
Arts at St. Ann’s and the Sydney
Festival Present the world premiere of
LOU REED’S BERLIN,
DECEMBER 14, 15, 16, 17 AT
ST. ANN’S WAREHOUSE
JANUARY 18, 19, 20 IN SYDNEY,
AUSTRALIA
LIVE DEBUT OF REED’S CONTROVERSIAL
1973 LANDMARK SONG CYCLE TO FEATURE MUSICAL DIRECTION BY BOB EZRIN AND
HAL WILLNER, DIRECTION AND DESIGN BY JULIAN SCHNABEL, LIGHTING BY JENNIFER
TIPTON AND PERFORMERS INCLUDING REED, ANTONY, SHARON JONES, RUPERT CHRISTIE,
STEVE HUNTER, FERNANDO SAUNDERS, TONY SMITH, ROB WASSERMAN AND OTHERS
Dobbiamo confessare che il nostro
primo pensiero nel leggere questa roba è stato "Oh, no! Non un’altra
volta!". Ovviamente solo un cieco non avrebbe notato la parte sottolineata
riguardante una "world premiere" ("prima mondiale"),
per non parlare dell’etichetta di "controversial" appiccicata
al
"landmark song cycle". Wow! Brividi assicurati! Ci veniva anche
ricordato che se era vero che alcune delle canzoni dell’album erano state
precedentemente suonate dal vivo, Berlin non era mai stato eseguito per intero.
"Finora." Beh, che restava da dire? Wow!
Va ricordato che Lou Reed ha iniziato
a collaborare con Arts at St. Ann’s di Brooklyn nel 1990 in occasione del
lavoro Songs for ‘Drella a nome Lou Reed/John Cale. Nel 2003 Lou Reed ha
eseguito The Raven al St. Ann’s Warehouse.
Qui sarebbe supremamente banale
parlare di… beh, usare l’espressione "un relitto del passato che
ormai non ha più niente da dire" sarebbe supremamente ingiusto; "un
artista di importanza storica il cui lavoro migliore è certamente alle
sue spalle"
è sicuramente più appropriato. Non sarebbe fine pensare solo a un Lou Reed
che spreme come può un album vecchio e poco noto del suo catalogo. E allora?
Sempre di più, artisti che hanno
un "album di catalogo" che in un qualche modo viene ritenuto
meritevole dell’appellativo di "leggendario" lo portano sul palco.
Dopo tutto, nel caso non l’avessimo notato, questa è l’era… no, non è
l’era della nostalgia, è l’era dello "scarico". Ovviamente, questo
fatto non spiega il motivo per cui tanta gente è così ben disposta a spendere
dei soldi duramente sudati per sentire queste cose. Una lista parziale
di album che non erano mai stati suonati prima nella loro interezza – ma
che adesso lo sono stati – recita così: Brian Wilson ha rifatto Pet Sounds
e Smile!. Patti Smith ha rifatto Horses. I Jethro Tull hanno rifatto Aqualung.
Gli (oggi leggendari) Stooges hanno rifatto Fun House. C’è spazio anche
per gruppi dal "fascino limitato": gli Slint hanno rifatto Spiderland
e i Sonic Youth hanno rifatto un album il cui titolo al momento ci
sfugge. Altri certamente seguiranno.
La "spiegazione nostalgia" è un po’ troppo semplice,
anche se potremmo facilmente allargare il termine fino a includere la nozione
di nostalgia per un tempo che non si è vissuto in prima persona. E’ più importante
notare che oggi il pubblico – e "la gente" in generale – cerca
sempre più cose che posseggono la qualità di "evento". Ciò va inteso
in un senso molto diverso che in passato, quando "evento" era fortemente
associato a "grande". Oggi "evento" sta per
"unico", "speciale", "che non si ripeterà",
"che è solo per stavolta". La questione è già stata ampiamente
discussa con riguardo alle mostre d’arte, laddove il modo in cui le (medesime)
immagini vengono presentate al pubblico è il fattore principale che muta
il numero degli acquirenti di biglietti. Va da sé che sociologi di tutto
il mondo hanno già investigato la faccenda.
Fu Berlin, al tempo della sua prima pubblicazione nel 1973,
davvero un così grande shock per critici e fan come viene oggi comunemente
sostenuto? Diremmo di sì. Però tutto dipende dalla persona alla quale lo
chiediamo. Va detto che al momento in cui Lou Reed pubblicò Transformer
– il suo secondo album solo comprendente Walk On The Wild Side, l’unico
grande successo che Reed abbia mai avuto – non molti, né in Italia né altrove,
avevano mai sentito nominare i Velvet Underground, così che la scritta
sul retrocopertina di Hunky Dory di David Bowie posta vicino al pezzo #4
della seconda facciata, Queen Bitch, ("Some V.U. White Light Returned
With Thanks") finiva per costituire un motivo di grande perplessità.
Per più versi, Transformer era
stato considerato come "un album di Bowie", e così – con null’altro
cui paragonarlo – Berlin fu visto semplicemente come "un album senza
Bowie", ma con la presenza di alcuni musicisti che chi seguiva da
vicino le faccende rock conosceva già molto bene. All’organo Hammond +
Leslie e harmonium, Steve Winwood era una leggenda dai Traffic (e
dai Blind Faith). Al basso, Jack Bruce era uno dei giganti dello strumento
dai Cream (!), e dai suoi album solo. Alla batteria, Aynsley
Dunbar era stato grandemente apprezzato per le parti ardue che aveva suonato
su molti album di Frank Zappa. Alla batteria in due brani, B.J. Wilson
dei Procol Harum portava il suo stile altamente originale. Registrato nei
Morgan Studios, in quel di Londra.
Va da sé che coloro i quali si aspettavano un altro Transformer
ci rimasero male. Ma questo dice più cose su di loro di quante non ne dica
su Berlin. C’è poi, ovviamente, la questione del "gusto"
(qualunque cosa ciò voglia dire). I libri su Lou Reed (in questo caso la
nostra fonte è il volume di Victor Bockris) riportano abitualmente le reazioni
dei critici nei confronti dei suoi album. Ma oggi la Rete ci consente un
facile accesso ai siti di non pochi critici, per esempio quello dove Robert
Christgau raccoglie quanto ha scritto – ed ecco alcuni voti espressi da Christgau
nelle sue Consumer Guide Reviews (per leggere
le recensioni complete basta rivolgersi alla fonte) (si ricorda qui al lettore
italiano che la scala di valutazione usata da Christgau è quella tipica del
sistema scolastico statunitense, con la lettera A a designare il massimo
voto attribuibile):
Transformer: B-
Berlin: C
Rock ‘n’ Roll Animal: A-
Sally Can’t Dance: B+
Metal Machine Music: C+
Coney Island Baby: B+
The Bells: B+
Growing Up in Public: B
The Blue Mask: A
Legendary Hearts: A
La cosa strana è che scrivendo a proposito di Berlin – in
una recensione che per gli standard della sua Consumer Guide non è affatto
breve (cioè a dire, è lunga 161 parole) – Christgau menziona la musica solo
una volta: "The music is only competent".
Ovviamente c’è poi la questione di cosa voglia dire la definizione
di "rock". Abbiamo notato che – specialmente dopo il punk – quando
si tratta di Velvet Underground/Lou Reed molti pensano a Loaded/Rock ‘n’
Roll Animal. Per costoro, gli elaborati arrangiamenti di Berlin fanno chiaramente
parte di tutt’altra cosa.
E’ stato grosso modo
alla fine del 2006 che ci è capitato di leggere un pezzo di David Fricke
(una
"Rolling Stone Online Exclusive", postata
in data Dec 15, 2006 10:45 AM) intitolato "Lou Reed Plays
"Berlin" in Brooklyn" ("Il disastro commerciale – e il
capolavoro artistico – di Reed viene suonato dal vivo per la prima volta").
Una cosa saltava immediatamente agli occhi: "(…) Ma la cosa più stupefacente
nell’ascoltare Berlin dal vivo è stato il bagliore da greatest-hits delle
canzoni. Gli arrangiamenti, che nel fragile vinile originale della RCA erano
sembrati soffocati e sovrabbondanti, sono sbocciati in 3-D." Beh, non
sapremmo dire cosa Fricke intenda esattamente con "fragile", ma
per chi scrive gli arrangiamenti originali non sono mai stati né "soffocati"
né "sovrabbondanti".
Una cosa che non finisce mai di
stupirci è la mancanza di una vera attenzione quando si tratta di faccende
di suono e di esecuzione. Siamo ovviamente certi che i musicisti citati
dal comunicato (più l’orchestra, il coro dei bambini e i solitamente validi
Steve Bernstein alla tromba e Jane Scarpantoni al violoncello) hanno fatto
un lavoro davvero fantastico, o quanto meno competente. Però quando pensiamo
a "Berlin"
come un tutto sono delle performance specifiche (comprese le proporzioni
tra il segnale naturale e quello effettato sulle voci) ciò che a nostro parere
rende Berlin quello che è. Ci chiediamo per quale motivo dovremmo voler ascoltare
qualcosa di diverso dall’album intitolato Berlin quando vogliamo ascoltare
"Berlin". Potremmo acquistare un biglietto (ci sono cinque date
in Italia a Luglio), tanto per vedere cos’è questa cosa (non lo faremo).
Ma provenendo da un tempo in cui molti (e qui intendiamo davvero dire: molti)
musicisti avevano un suono strumentale personale che li contraddistingueva
(ed è una cosa che ciascuno di noi dimentica a suo rischio e pericolo, anche
se non c’è da rimanerne troppo sorpresi, forse, visto che viviamo in un’epoca
di esecuzioni aiutate dalle macchine) ci sembra davvero una buona idea avere
una cosa così sul palco? Ascolteremo davvero "Berlin"? E un Hammond
campionato è
"proprio uguale a quello vero"? Importa a qualcuno?
La stessa cosa vale per il suono
delle varie edizioni in LP/CD degli album storici, una faccenda che non
ci capita più di vedere citata (quasi) da nessuna parte. (Che strano notare
come in un’epoca in cui "il suono" è sempre menzionato come qualcosa
di enorme importanza l’ammontare di reale attenzione dedicata al suono
è pressoché pari a zero.) Ma forse se la musica viene ascoltata al computer
sotto forma di file supercompressi (ahi!) la cosa non fa più alcuna differenza.
Sappiamo tutti di
cosa parla Berlin: vite al limite, droghe, violenza e – alla fine – morte.
Ai tempi dalla sua prima pubblicazione, Berlin ci era sembrato molto simile
a un dramma radiofonico, o a un film – ascoltiamo il modo in cui l’orchestra
illumina la scena, a partire da circa 24", in Sad Song: quante volte
abbiamo visto – è la fine del film – il protagonista ripensare a tutto quanto
è accaduto, mentre vediamo il sorgere di un nuovo giorno? Era fin troppo
ovvio che da qualche parte dovesse esserci un sipario.
Strano, leggere di tracce di cocaina trovate nel Tamigi.
O nell’aria di Roma. Dal che non si può fare a meno di concludere logicamente
che quello che una volta era proprio delle abitudini dei pochi è oggi parte
della vita di moltissimi. E infatti, comportamenti che una volta erano visibili
quasi solo al cinema sono oggi a portata di telecomando, o di una parete
d’appartamento. Il che ci porta dritti alla scomoda domanda: nell’epoca del
"reality" ("show"), qual è il "senso" di Berlin?
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net | June
15, 2007