Beluga
Architecture Of The Absurd

(Martian Sheep Records)

Musica ad alto tasso di inventiva dal suono fresco e vivace – una combinazione che ormai capita raramente di ascoltare – per un album che, incredibile a dirsi, ci giunge dalla Spagna.

Comodità e brevità non sono le sole ragioni che inducono a classificare l’esordio dei Beluga alla voce "vedi Zappa", ché tante sono le affinità – stilistiche e, diremmo, di atteggiamento – obiettive, anche se quella di "zappiano" è etichetta che ovviamente necessita di ulteriori specificazioni. Si colgono qua e là tracce keneallyane, e la cosa non può sorprendere più di tanto, stante lo stretto rapporto intercorso tra Keneally e il baffuto Maestro. Affiorano non di rado climi "Prog", con una certa predilezione per tempi dispari in versione Gentle Giant – c’è anche una bella "simulazione" dell’organo Hammond con Leslie e vibrato del Kerry Minnear dei tempi migliori. Evidente una cifra stilistica vocale – le voci essendo uno degli ingredienti caratterizzanti del lavoro – che diremmo fortemente influenzata dalla "Black Music", con tracce palesi di front line zappiane quali Ray White & Ike Willis ma anche con rimandi ad atmosfere di brani celeberrimi quali One Nation Under A Groove dei Funkadelic.

Esaminando quella che è più propriamente la "lista degli ingredienti" vediamo che Architecture Of The Absurd è il frutto degli sforzi di due musicisti – Razl, principalmente alle chitarre e alle innumerevoli e stratificate parti vocali; e Lorenzo Matellán, a tastiere e sintetizzatori – che immaginiamo fra i trenta e i quaranta. I due hanno interamente composto, e arrangiato, la musica e i testi, questi ultimi con l’apporto di Carolina Mateo.

L’album è stato registrato, missato e masterizzato da Lorenzo Matellán a Headroom Studio. Diciamo subito che il lavoro propriamente tecnico è brillante, con una ricchezza dei piani sonori che non va mai a discapito dell’intelligibilità. Chitarre, voci, tastiere, una sezione ritmica "di peso" ma mai invadente perfettamente distribuita nello spettro stereo e una serie di timbri che si ascoltano con piacere – a orecchio, l’Hammond ci è parso frutto di sintesi (un polifonico della Clavia?), mentre le modulazioni sul filtro ci sono parse riferibili all’impiego di un vero Moog.

Dicevamo di una forte componente vocale, e qui il rimando più naturale è ad album zappiani quali You Are What You Is, con la sua predilezione per brani brevi e vocalmente densi. Di tanto in tanto il ricordo va invece ad album strumentalmente vivaci quali Roxy & Elsewhere e One Size Fits All, con le parti di basso che in più di un’occasione ci hanno ricordato quelle suonate da Tom Fowler sui due album citati.

Quarantadue minuti per sette brani, un lavoro che è possibile – e piacevole – ascoltare tutto d’un fiato. A un primo ascolto la musica potrà forse sembrare troppo densa e incalzante – c’è in effetti un momento in cui l’ascolto cumulativo sfiora pericolosamente il sovraccarico, come vedremo la cosa è stata brillantemente risolta – ma lo diremmo colpa più di una recente disabitudine all’ascolto di cose stratificate in ambito "rock – vocale" che di un "difetto di progettazione" insito nel lavoro.

E’ giunto il momento di parlare della sezione ritmica, che vede lo splendido apporto di Damian Erskine al basso elettrico e Marco Minnemann alla batteria. Erskine è un musicista che gode di buona celebrità e larga stima, ciò nonostante dobbiamo ammettere che questa è la prima volta che lo ascoltiamo. Il suo apporto è semplicemente superbo, con una maestria nel tocco – tutto da gustare il "rilascio" delle note – che riesce a mettere in secondo piano una versatilità che ha del prodigioso. Minnemann lo conosciamo bene, e diremmo che più di altre volte il suo apporto qui ci è parso ispirato dalle figure ritmiche eseguite da Chad Wackerman nei ben noti contesti zappiani.

Lo diremo chiaramente: senza Erskine e Minnemann quest’album non sarebbe quello che è. Ma ci sentiamo di dire che in quest’album Minnemann ha trovato un contesto che gli ha consentito di uscire al meglio, evitando quella vuota "bravura" che è sempre in agguato nei contesti più vicini alla "fusion" ma anche quella "genericità" dell’apporto che viene stimolata da "riassunti Prog" quali quelli di Steven Wilson.

La cifra dominante è quella di un gruppo rock che punta al sodo evitando le lungaggini, tutti gli assolo essendo di durata estremamente contenuta.

Non male la veste grafica, presenti i testi, che diremmo di non ardua leggibilità.

Photosynthesis apre con un’introduzione parlata – curiosamente, la voce qui ricorda quella di Ray Manzarek nelle sezioni parlate del suo album solista The Golden Scarab – cui segue una sezione strumentale "prog" galoppante, ingresso voci, poi il brano si distende in un "funky" moderato, il Frank Zappa di cose quali Roxy & Elsewhere. Bel tappeto "Hammond" più elettrica arpeggiata, basso eccellente e ottima batteria. Intermezzo strumentale un po’ alla Inca Roads, assolo di chitarra.

Paris Ragtime ha una buffa introduzione, poi un gruppo che suona a metà tra Mike Keneally e i Gentle Giant. Ritornello incalzante e orecchiabile. Begli impasti vocali, "Hammond" con vibrato, più di una sfumatura vocale zappiana, e bel miscuglio di tastiere e voci. Batteria funambolica, poi un bruciante e breve assolo di chitarra. Ingegnoso mix voci/"Hammond".

Trying To Be A Court Clown si apre "la la la" con un coretto beffardo, poi voce "parlata" zappiana. "Hammond" Gentle Giant, strofe "up-tempo", e un ritornello non poco keneallyano. Intermezzo mid-tempo. Parte ripetitiva, ossessiva, cui fa seguito un intermezzo strumentale "giga" tra i Gentle Giant e i Jethro Tull di Thick As A Brick su tempo composto, basso, e "Hammond". Di nuovo, bella parte tastieristica.

Under A Black Cloud ha un impianto strumentale alla Roxy & Elsewhere/One Size Fits All. Voci effettate, paranoiche, ossessive, basso eccellente. Intermezzo "vibrafono/marimba", nuova sezione cantata "zappiana". Bella uscita di chitarra solista. "Minimoog". Lunga parte vocale ossessiva, poi seconda breve uscita solista.

Thylacine: riff, melodia, tastiere, tutto sinistro (come da titolo?), molto "monster movie". Sembra di ascoltare un’accoppiata Minimoog + Mellotron. Voci corali, basso in evidenza, batteria propulsiva sul piatto ride/hi-hat. Cantilena, breve assolo di chitarra "Prog", ritornello ossessivo. A questo punto si corre il rischio di essere sopraffatti da troppa enfasi, e allora… segue una sezione strumentale di "musica da circo" a spezzare, con tastiere, una bella soluzione di arrangiamento.

Monologue ha voci e risate, a introdurre il tema del pezzo. Intro strumentale misurata, poi mid-tempo con "nastri rovesciati". Bel sostegno di hi-hat e passaggi dinamicissimi sui tom. Il tempo si stabilizza, e dopo una lunga intro strumentale che dà il tempo di respirare entrano le voci, con ritornello orecchiabile e swing che fa immaginare l’uso di fiati. Segue una bella frase melodica di chitarra accoppiata alla modulazione del filtro sul Minimoog. Anche qui, una bella coda "Prog" con "Hammond" a dare aria. Bellissima la parte di basso mobile posta in chiusura.

Sunny View (For Douche-Bags) ha un’introduzione per "modulatore ad anello", parte il piatto ride, veloce, poi entra il basso. Segue un mid-tempo jazzato quasi sassofonistico. Voci R’n’B, stratificate. Chiude un "Fender Rhodes" (sarà autentico?) con "ring modulator".

Beppe Colli


© Beppe Colli 2014

CloudsandClocks.net | Jan. 26, 2014