Ab
Baars Quartet
Kinda
Dukish
(Wig)
Per buona parte di coloro i quali hanno iniziato ad ascoltare
jazz alla fine degli anni sessanta la nozione di "jazz oggi"
era estremamente chiara: Coltrane, Coleman, Shepp, Ayler, Taylor e la
Liberation Music Orchestra. Più avanti l’Art Ensemble Of Chicago
dell’esilio parigino e il primo Gato Barbieri. Classici che ancora odoravano
di modernità: Mingus e Sun Ra. Altrettanto chiaro cosa fosse
il "jazz del passato", ben rappresentato dal Modern Jazz Quartet
e dalla Duke Ellington Orchestra: vero "easy listening per l’alta
società" assolutamente fuori tempo anche da un punto di
vista sartoriale (qui la treccia d’aglio che l’appassionato di rock
tirava fuori quale infallibile protezione era senz’altro King Kong,
quarta facciata del capolavoro zappiano Uncle Meat).
Ci volle molto tempo perché il rapporto con il passato
potesse essere inquadrato nella giusta prospettiva – che era poi quella
dell’avanguardia matura, e non certo quella della riproposizione calligrafica.
Qui può essere utile un bell’articolo di Francis Davis del 1987,
Ellington’s Decade, che insieme al parallelo Surviving Ellington è
stato incluso prima nella raccolta Outcats e poi sul recente volume
miscellaneo intitolato Jazz And Its Discontents:
A Francis Davis Reader
Buon esempio di una riproposizione assolutamente non calligrafica
è quell’Ellington Mix contenuto sul Vol. I di Bospaadje Konijnehol
della olandese Instant Composers Pool Orchestra, il cui leader Misha
Mengelberg aveva già recuperato, in un contesto analogo, Thelonious
Monk e Herbie Nichols (si veda il CD intitolato Two Programs). Al tenore
e al clarinetto, Ab Baars era stato parte dell’operazione.
In ciò tipico esponente dell’avanguardia olandese,
Baars ha anche coltivato una personale rilettura della tradizione –
qui un buon esempio (che ci auguriamo di non troppo ardua reperibilità)
è costituito dall’omaggio al clarinettista e compositore statunitense
John Carter contenuto su A Free Step. Quel che più ci colpì
quando, qualche anno fa, ci capitò di vedere il trio di Baars
(era il festival Controindicazioni, a Roma: in quell’occasione alla
formazione abituale si univa il trombonista Roswell Rudd) era quanto
tradizionale, pur nell’estrema modernità del linguaggio, potesse
suonare l’impeccabile sezione ritmica: il contrabbassista Wilbert De
Joode e il batterista Martin Van Duynhoven.
Ritroviamo il trio, cui stavolta si aggiunge il trombonista
Joost Buis, su questo Kinda Dukish: un omaggio ellingtoniano che può
essere gustato su piani diversi, e da diverse tipologie di fruitori.
Ci sono alcune delle pagine più celebri (Solitude, Caravan, Prelude
To A Kiss, Perdido) ma non mancano episodi meno famosi. Il tutto però
è riletto con estrema intelligenza assolutamente priva di furbizia
mercantile. Sulle prime l’attacco di Solitude, brano che apre il CD,
potrà risultare non poco sconcertante per chi ricorda la versione
originale o quella per solo piano fattane da Monk; sperando che Ab Baars
non se ne abbia a male, consigliamo quindi un ascolto che parta dal
pezzo numero tre (Kinda Bear) per poi proseguire con il lettore CD messo
in modalità "repeat".
La scelta di Ab Baars di usare il clarinetto invece del tenore
per gran parte del disco ci trova assolutamente consenzienti; bello
il trombone, spesso sordinato; tutta da gustare la ritmica, con il basso
talvolta (vedi Kinda Bear) in puro stile Jimmy Blanton. Il disco è
tutt’altro che di difficile ascolto, e le belle note di copertina di
Kevin Whitehead (chiare, utili) verranno in aiuto di chi vorrà
dedicarsi a un approfondimento filologico. Se Jack The Bear e Caravan
funzionano da pimpante introduzione sono le successive Mr. Gentle And
Mr. Cool e Half The Fun quelle che a nostro avviso meglio illustrano
la profondità del lavoro di arrangiamento e di esecuzione dell’album.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net
| Jan. 25, 2006