Kevin
Ayers
Joy
Of A Toy
(Emi)
Chi si ricorda più di Kevin Ayers – o lo ha mai sentito nominare?
Al di fuori dei cultori della (fantomatica) "Scuola Canterburiana"
crediamo proprio nessuno. Il che è un vero peccato. Non innovatore
radicale, in fondo buon artigiano dalle ambizioni non debordanti (e verso
le quali è lecito asserire nutrisse una buona dose di ambivalenza),
Kevin Ayers è però parte integrante della musica che conta di
tutto un periodo. Una valutazione che potrebbe essere considerata di puro
valore – come dire? – storico, e quindi vuoto passatempo di chi ha perso ogni
curiosità per ciò che è contemporaneo, non fosse per
la circostanza che al tempo dei fatti di cui si dice dopo King Crimson, Henry
Cow, Gong, Charles Mingus, Frank Zappa, Anthony Braxton, Hatfield And The
North e Faust qualcuno immancabilmente proponeva di ascoltare un disco di
Kevin Ayers. Che evidentemente non doveva poi troppo soffrire in così
illustre compagnia.
Cantautore e chitarrista dai mezzi semplici ma dai risultati ricchi
di profondità, ex Soft Machine (si ascolti il primo, omonimo disco
del gruppo datato 1968), Kevin Ayers viene ricordato soprattutto per i primi
quattro album: il fresco e comunicativo esordio di Joy Of A Toy (1969); il
più complesso e scuro Shooting At The Moon (1970), con i non allineati
Lol Coxill e David Bedford; Whatevershebringswesing (1972), a detta di molti
il suo album più completo; e il più diretto e scanzonato (ma
in realtà sottilmente malinconico) Bananamour (1973). Non godono di
tale (pressoché) unanime consenso album quali lo stilisticamente schizofrenico
(già dal titolo) The Confessions Of Dr Dream And Other Stories (’74),
contemporaneo alla parata di stelle concertistica (Brian Eno, John Cale, Nico)
che va sotto il titolo di June 1, 1974, né il riepilogo di Rainbow
Takeway (1978), con il contributo dell’ex Slapp Happy Anthony Moore; ma ambedue
meritano certamente un ascolto.
Joy Of A Toy è, come si diceva, il sereno e fresco disco d’esordio
che ben può fungere da primo approccio all’universo stilistico
di Ayers. Il contrasto è subito dichiarato: tra la gioiosa (ma
attenzione all’arrangiamento, così ricco di chiaroscuri) Joy
Of A Toy Continued e la malinconia di Town Feeling, tra la spiritosa
verve di The Claretta Rag e la contemplativa Girl On A Swing. Mentre
la Song For Insane Times che in origine chiudeva la prima facciata gode
dell’inconfondibile apporto dei Soft Machine al completo ed entra subito
tra gli indiscussi classici del nostro.
Dietro
il disco si intravede senza alcuna difficoltà la Londra lisergica della
seconda metà degli anni sessanta, quella dell’immaginazione al potere,
della sperimentazione in musica e delle serate all’UFO club: Jimi Hendrix,
la Incredible String Band, i Pink Floyd di Syd Barrett, i Traffic, la Third
Ear Band, gli AMM. Ma non sarebbe giusto dimenticare l’enorme influenza esercitata
all’epoca da album di Donovan quali Sunshine Superman (1966), Mellow Yellow
(1967) e Hurdy Gurdy Man (1968), sia per ciò che concerne la varietà
intrinseca a ogni singolo disco che per i bizzarri accostamenti timbrici e
stilistici degli arrangiamenti di John Cameron – una lezione che il pianista
e arrangiatore David Bedford ha tenuto ben presente su Joy Of A Toy. Agli
strumenti più usuali si affiancano quindi melodica, trombone, flauto,
piccolo, oboe e kazoo, oltre agli immancabili nastri rovesciati; bellissime
la parti di organo di un riconoscibilissimo Mike Ratledge.
Le note
di un libretto ben illustrato e ragionevolmente completo sono molto utili
per ricostruire questo capitolo della storia. Peccato soltanto per la mancanza
di maggiori informazioni sui musicisti all’epoca non accreditati: viene qui
citato il solo Paul Minns (e in effetti è istruttivo accostare il tenebroso
arrangiamento del futuro classico Lady Rachel agli episodi più brevi
incisi nel 1972 dalla Third Ear Band sulla colonna sonora di Machbeth), ma
pare assodato che sul disco suonino anche Jeff Clyne (al contrabbasso) e Paul
Buckmaster (al violoncello). Solo due i testi delle canzoni riprodotti (ma
c’è la Rete). Ottima invece la masterizzazione digitale, né
tagliente né piatta, ben in grado di valorizzare i contributi strumentali.
Non male
i brani aggiunti: Soon Soon Soon e un’orchestrale Lady Rachel giungono dall’antologia
Odd Ditties (1976), mentre Singing A Song In The Morning è uno scanzonato
singolo del ’70. Non dannosi i brani inediti, uno dei quali vede la (non entusiasmante)
presenza chitarristica di Syd Barrett.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| Nov. 10, 2003