Fiona
Apple
The Idler Wheel…
(Clean Slate/Epic)
E così,
intenti come eravamo a scrutare l’orizzonte nella speranza di scorgere
le tracce di un qualche possibile capolavoro – e consapevoli del fatto
che oggi è proprio la nozione stessa di "capolavoro" a essere
messa in dubbio anche come eventualità, ci dichiariamo pronti a sostituirla
con qualcosa che combini un certo grado di innovazione formale (non escludendo
qui ovviamente l’aspetto tecnico), la percezione che tutte le parti siano
armoniosamente al posto giusto e l’uso consapevole di multipli linguaggi
musicali (siamo quindi ben oltre la sfera del "a me piace, piacerà
anche a te") – non ci eravamo accorti che il capolavoro era lì ad
attenderci nella cassetta delle lettere, del tutto inatteso.
Quanto
inatteso? Beh, se c’è un’artista dalla quale era lecito attendersi tutto
e il contrario di tutto questa era Fiona Apple. Ma che fosse proprio la
musicista statunitense a produrre un lavoro in grado di unire grande bellezza
e un innovativo lavoro di studio che fa tutt’uno con la resa emotiva del
materiale sull’ascoltatore non ce lo saremmo certo aspettato.
(Ma ogni
cosa ha un prezzo, e qui il prezzo da pagare è che l’album non è per tutti.
E crediamo che l’ascolto attento metterà ognuno in condizione di fare delle
interessanti scoperte.)
Il lettore
ricorderà il gigantesco imbroglio che sette anni fa ebbe quale protagonista
e oggetto il più recente (!) album della Apple, Extraordinary Machine.
Un album registrato con il fedele collaboratore Jon Brion e mai uscito,
ma in seguito fortunosamente – e illegalmente – reperibile in Rete, pur
se in una versione che i protagonisti dicevano essere non ancora quella
definitiva. Un album poi ripensato e rieseguito avendo quale responsabile
il bassista e polistrumentista Mike Elizondo, per un risultato che sapeva
tanto di minestra riscaldata e che lasciava nell’ascoltatore un retrogusto
per più versi decisamente amaro.
Per riassumere:
tanti soldi spesi, polemiche a non finire, chiarezza poca, vendite scarse.
Anche
l’apparizione dell’album di cui si dice adesso – il cui titolo integrale
è The Idler Wheel Is Wiser Than the Driver of the Screw and Whipping Cords
Will Serve You More Than Ropes Will Ever Do, anche se esso viene convenzionalmente
citato come The Idler Wheel, con o senza i puntini di sospensione – non
è stata esente da controversie, con una versione dei fatti che lo vorrebbe
inciso nella totale ignoranza da parte della casa discografica.
Restiamo
ai dati di fatto. Per realizzare il lavoro la Apple ha chiamato quale primo
collaboratore e co-produttore il batterista e polistrumentista Charley
Drayton (che chi scrive ricorda negli X-pensive Winos di Keith Richards,
ma che è musicista dal curriculum lungo e vario). Troviamo inoltre Sebastian
Steinberg (da noi visto qualche anno fa ad accompagnare Lisa Germano),
al contrabbasso in alcuni brani; e, solo sul brano conclusivo, la voce
multipla di Maude Maggart.
Una menzione
a parte va all’equipe tecnica: John Would e Edison Sainsbury alla registrazione
(il primo in California, il secondo a New York), Dave Way al missaggio,
Howie Weinberg alla masterizzazione. E il perché è presto detto: era da
molto tempo che non ascoltavamo timbri strumentali – su tutto, pelli e
tamburi, rullanti in testa – così ricchi, con le canzoni a rivolgersi all’ascoltatore
e i timbri ad attirarlo "dentro" la cornice sonora.
Se è ovvio
che sia la Apple a firmare tutti i brani e a cantarli ci piace qui sottolineare
il suo ruolo di polistrumentista – pianoforte su tutto – e di operatrice
ai loop e alle "registrazioni sul campo". Non meno versatile
è Drayton, impegnato a corde, tamburi e quant’altro. I due hanno prodotto
un quadro sonoro che, oltre a offrire non pochi elementi
"ambigui" (un numero elevato di ascolti non sarà sufficiente a
svelare tutti i misteri, ed è del tutto appropriato che sia così), risulta
non poco innovativo nel semplificare e asciugare la sottolineatura delle
armonie mentre complica e moltiplica le fonti ritmico-percussive. La voce
della Apple – o, per meglio dire, le voci, ché timbri e volumi vanno di pari
passo con i testi e le interpretazioni (una cosa che dev’essere costata non
poco tempo e fatica, ma l’eccellenza non è mai a buon mercato) – è quindi
libera di sottoporsi volontariamente a costrizioni.
Every
Single Night è un’apertura classica: i tocchi della celesta a richiamare
alla mente un carillon, orchestrazione scarna, bel rullante, contrabbasso
in appoggio, atmosfera spettrale.
Grande
apporto di Drayton in Daredevil, con coro di voci, rullanti con cordiera,
e una tesa linea vocale sorretta dalle percussioni.
"Inciso" assolutamente strepitoso, e voci diverse per timbro.
Valentine
è la classica ballad pianistica della Apple che ci piacerebbe ascoltare
in radio, con gli accordi cadenzati prima lenti e poi con un sapore di
bossa. Intelligente la sospensione per contrabbassi multipli.
Jonathan
si muove in mezzo a suoni metallici di provenienza quasi industriale, piatti
e loop. Arpeggio in ¾ della mano sinistra, e una melodia da valzerino
tristissimo nella parte alta della tastiera. Atmosfera onirica dallo svolgimento
circolare.
A chiudere
idealmente la prima facciata dell’album (ne esiste una versione in vinile,
ma non abbiamo mai avuto modo di vederla), Left Alone è per certi versi
la sorpresa del lavoro. Apertura batteristica con tamburi risonanti a metà
strada tra Art Blakey e Max Roach, un arpeggio ossessivo di pianoforte
(lo diremmo un loop), rullante con cordiera, contrabbasso swing, e un totale
grintoso con strepitosi crescendo batteristici.
Per altri
versi è invece Werewolf – l’apertura della facciata B, per così dire –
a sorprendere di più. Un quasi-Bacharach in ¾ che cela sotto un’atmosfera
serena un testo tesissimo, procedura per certi versi tipica di Aimee Mann
– che il brano ricorda in modo fin troppo stretto nel ritornello, anche
in senso vocale, per essere un caso.
Forse
perché si trova in mezzo a due brani di qualità non facile da eguagliare,
Periphery soffre un po’ il confronto. C’è però una bella linea melodica,
tocchi vocali multipli che affiorano con gli ascolti, percussioni.
Regret
è un altro brano eccellente, con loop ritmico sinistro, sequenza di accordi
di pianoforte, e l’atmosfera claustrofobica di un racconto doloroso. Percussioni
espressive, e una sezione "B" che si apre melodicamente con la
voce quasi a strapparsi.
Con scelta
che diremmo azzeccata, l’album cambia parzialmente registro in chiusura.
Anything We Want ha un disegno ritmico circolare, una melodia aperta e
un ritornello arioso. Poi un inciso di bellissimo respiro sinfonico, con
contrabbasso con l’arco e percussioni stratificate.
Voci femminili
multiple, e un andamento vocale quasi "etnico" che ci ha per
alcuni versi ricordato dei momenti ritmici della scrittura di Imogen Heap,
Hot Knife apre con i timpani cadenzati, indossa momenti
"trance" e offre all’album un appropriato "release" finale.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2012
CloudsandClocks.net | July 14, 2012