Trey Anastasio
"Seis De Mayo"
(Elektra)
Saremo
assolutamente sinceri: la prima cosa che ci è venuta in mente
dopo aver ascoltato questo (oltremodo atipico) album solo di Trey Anastasio
– il primus inter pares del quartetto statunitense dei Phish – è
stata Prelude: Song Of The Gulls dei King Crimson. Qualcuno la ricorda?
Era quella composizione per oboe e orchestra che – assolutamente inattesa,
e decisamente spiazzante – spuntava sulla seconda facciata di Islands
(1971). Un brano stranamente ingenuo, e di una semplicità disarmante,
per un Fripp già al quarto album crimsoniano. E brano che decidemmo
all’istante avremmo saltato a pie’ pari ogniqualvolta avremmo suonato
quella facciata.
"Seis
De Mayo" è l’album un po’ striminzito (poco sotto la mezz’ora)
dove Anastasio ha raccolto alcuni bozzetti e un lungo brano, quasi tutti
eseguiti da formazioni "orchestrali" – per strumentazione
se non per massa, la sola Guyute essendo eseguita da un’orchestra al
completo. La cosa non dovrebbe stupire più di tanto: ascoltatore
onnivoro, Anastasio annovera tra i suoi amori più brucianti quello
per il jazz armonicamente "classico" e quello per la musica
classica "che più classica non si può" – la
sua passione per le fughe essendo ben nota sin dai primi anni dei Phish,
vent’anni or sono o giù di lì, e rappresentata già
sul primo album della formazione, Junta (1988).
Negli
ultimi anni Anastasio ha avuto modo di dare libero sfogo alla sua passione
– si vedano At The Gazebo e Ray Dawn Balloon, i bei quadretti inclusi
sull’album intitolato semplicemente Trey Anastasio (2002). In quell’occasione
ci era parso che la mano del musicista si trovasse maggiormente a proprio
agio con i fiati che non con gli archi, ed è un’impressione confermata
dall’ascolto di "Seis De Mayo", album che con gli ascolti
non manca di rivelare una sua fragile grazia ma che a differenza del
lavoro con il tentetto ci pare destinato a essere non più di
una nota a pie’ di pagina nella carriera del musicista, esempio di un
"growin’ up in public". L’album evidenzia inoltre una sostanziale
convenzionalità della scrittura orchestrale di Anastasio, che
a tratti ricorda la "musica da film" (pur se al giorno d’oggi
la musica da film è soprattutto altra).
Il
disco si apre bene, e scanzonatamente, con Andre The Giant, dove il
basso di Mike Gordon, il balafon di Abou Sylla e il djembe di Fode Bangoura
si affiancano all’acustica di Anastasio. La successiva Prologue è
strettamente imparentata all’introduzione strumentale di Pebbles And
Marbles, contenuta sullo splendido Round Room (2002). The Inlaw Josie
Wales è un’aggraziata ripresa per chitarra acustica e quartetto
d’archi del brano già apparso su Farmhouse (2000), All Things
Reconsidered un riuscito adattamento dell’intricatissima composizione
contenuta su Rift (1993). I bozzetti successivi – Coming To, con Jon
Fishman alla batteria, e Discern (Intro) – sono stati per noi quelli
di maggiore gradimento, probabilmente per una maggiore partecipazione
dei fiati. Il disco si chiude con una lunga versione di quella Guyute
già apparsa in versione per "quartetto rock" su The
Story Of The Ghost (1998). E’ senz’altro il brano più ambizioso,
e anche quello che ha destato in chi scrive le maggiori perplessità:
su …Ghost era il momento atipico che in un album segnatamente frammentario
e marcatamente funky sembrava rimandare con humour e simpatia a lontani
trascorsi proto-progressive; ma in questa versione per ampio organico,
in alcuni punti di esuberanza quasi rossiniana, Guyute acquista un’aria
davvero troppo convenzionale.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2004
CloudsandClocks.net | May 26, 2004