Ahoora
Ahoora
(?)
Dobbiamo
ammettere che non è per niente inusuale, qui a Clouds And Clocks, ricevere
cose strane. E di tanto in tanto cose davvero strane. Un esempio recente:
si era a Natale quando ci capitò di ricevere un messaggio e-mail da…
beh, da qualcuno che asseriva di scrivere a proposito del suo gruppo, che
descriveva come
"un gruppo progressive power metal iraniano". Dapprima pensammo
fosse uno scherzo – insomma, "un gruppo metal iraniano" suona davvero
strano, con o senza l’aggiunta delle parole "progressive power".
E poi ci risulta che in quel paese l’Heavy Metal sia illegale. Per aiutarci
a capire meglio, ci veniva anche detto che una delle influenze principali
sulla musica del gruppo erano gli Iced Earth – il cui nome, com’è facile
immaginare, non avevamo mai sentito in vita nostra. Stavamo per gettare quella
strana lettera nel cestino quando ci siamo ritrovati a pensare che forse
– forse – la lettera poteva essere autentica. "Un gruppo progressive
power metal iraniano".
Beh,
era tutto vero. Ahoora (questo il nome del gruppo) è un quartetto di musicisti
giovani, tecnicamente molto abili e di buon talento (Ashkan
Hadavand Khani, voce; Milad Tangshir, chitarre; Mohammad Baei, basso; Ali
Masoomi, batteria) che – e non sapremmo dire come – ha pubblicato un album
(omonimo) con testi in inglese. Dobbiamo ammettere che in casi come questo
il nostro primo riflesso è quello di volere essere d’aiuto – ma come? E
siamo abbastanza competenti da ascoltare – e recensire! – un album di Metal?
Che ne sappiamo noi di metal?
Beh, non diremmo mai di saperne "molto", ma certamente
più di qualcosa. E’ fin troppo ovvio che ci manca l’approccio sistematico
di qualcuno che ascolta regolarmente queste cose, ed è parimenti ovvio
che ignoriamo tutto dei vari sottogeneri nei quali il Metal si è suddiviso
negli ultimi due decenni. Ma forse possiamo fornire uno sguardo esterno?
Forza, rendiamoci ridicoli (pregasi inserire qui un respiro profondo).
Troppo
giovani per conoscere l’esistenza dei primi Who o degli Yardbirds dell’era
di Jeff Beck, cominciammo ad acquisire una prima familiarità con la chitarra
"heavy" nella forma di Hendrix e di Clapton (all’epoca dei Cream).
E certo è strano pensare a come le cose si sono poi evolute nel cammino del
Metal (qui potremmo iniziare una lunga discussione a proposito di come e
perché
"hard" e "heavy" Rock e Metal differiscono… ma lo faremo
un’altra volta, OK?) quando si riflette sull’influenza (dichiarata o celata)
dei tre gruppi principali dei primi anni settanta: Led Zeppelin, Deep Purple
e Black Sabbath, con questi ultimi (un terzo posto a distanza enorme dai
primi due se parliamo di ampiezza del territorio musicale coperto, abilità
tecnica, finezza esecutiva… anche se è vero che si piazzavano al primo
posto per confusione di suono e "quoziente burino") a diventare
la formazione più influente su interi generi di musica moderna. Anche se
è ovvio che Jimmy Page viene menzionato molto meno di quanto la sua influenza
reale gli garantirebbe (dice niente Kashmir?), mentre il chitarrista di "scuola
europea" Ritchie Blackmore si è poi rivelato l’anello mancante tra la
"old school" e il "modern metal", con la sua tastiera
"scalloped" e tutto il resto. E’ anche molto strano osservare come
cose che ai tempi venivano viste come una stranezza isolata – per esempio,
i Motorhead – si siano rivelate in seguito un’influenza duratura. E come
gruppi che ai tempi venivano considerati degli "imitatori di seconda
mano"
(e qui i vestiti non aiutavano di certo a prenderli sul serio) – pensiamo
a Judas Priest, Iron Maiden e Def Leppard – siano poi venuti a essere considerati
"originali".
Alcune
tendenze sono (in qualche modo) chiare. Per esempio, la scomparsa della
scala pentatonica del blues come modo privilegiato d’espressione. Ma alla
fine tutte queste cose vanno e vengono, con il vecchio che ridiventa nuovo
– pensiamo ai Metallica, da Master Of Puppets al "Black Album" al
rifacimento di Turn The Page di Bob Seeger. E a ogni modo negli Stati Uniti
le cose sono sempre state molto più complesse di come apparivano a prima
vista – si consideri la moltitudine di generi che appare sull’album di
esordio dei Blue Öyster Cult, pubblicato nel 1972. E ovviamente non è che
poi tutti rivelino apertamente i nomi di coloro i quali ascoltano davvero
– lo pensiamo solo noi, o negli anni ottanta molti chitarristi metal ascoltavano
Allan Holdsworth? Ovviamente è solo a nostro rischio che sottostimiamo
l’influenza di Eddie Van Halen – sì, Robert Johnson e Jimi Hendrix, certo;
aggiungiamo pure i Mandrill; ma non erano certamente questi i primi nomi
che venivano in mente ascoltando Vernon Reid dei Living Colour. E non dimentichiamo
quelle tastiere larghe e piatte (Hamer, ESP, Jackson…) e le leve del
vibrato Floyd Rose.
Dove
ci porta tutto questo? Non è facile da dire. Un articolo molto interessante
di Chris Cutler a proposito di Skill (abilità tecniche) e questioni (sotto)culturali
concernenti il punk, la new wave e il metal apparve all’incirca vent’anni
fa sul ReR Quarterly (chissà se si può trovare in Rete). Non è difficile
avere l’impressione che la maggior parte della stampa abbia considerato
il Metal come qualcosa di imbarazzante – perfino quando paragonato all’hip-hop
e alla techno! (Giusto un pizzico di ironia.) E’ vero, il Metal è limitato
e per certi versi immutabile – ma questa è una cosa che può anche
essere chiamata "identità", no? Qualunque sia la ragione, mentre
il moderno hip-hop è diventato il mainstream e la techno è stata in un
certo qual modo assorbita nel mainstream, il Metal è rimasto un "culto" marginale,
anche se talvolta di grandi dimensioni. (Non dobbiamo dimenticare Joe Satriani,
il cui senso melodico è ciò che più lo differenzia dal Metal.)
Un aspetto
molto importante che dimentichiamo a nostro rischio è il fatto che per
molti il Metal è una musica che mantiene ancora una qualità di "autenticità"
(speriamo che il concetto sia chiaro), cosa che rende questa musica molto
più di una "forma". Da cui, la qualità di "opposition" che
il Metal possiede per molti dei suoi fan, siano essi musicisti o ascoltatori.
Ahoora
comprende sei pezzi per un totale di 53′. L’album si chiude con lo stesso
arpeggio posto all’inizio del primo pezzo, da cui un senso di loop. I quattro
musicisti sono davvero bravi, con parti vocali (soliste e di background)
decisamente versatili per il genere, batteria agile (cassa eccellente),
un basso elettrico che a volte doppia i riff di chitarra e a volte va in
contrappunto e ottime chitarre: parti arpeggiate chiare e risonanti; riff
nasali e distorti; e soliste chiare. Non riusciamo a individuare un’influenza
predominante (ovviamente con la sola eccezione degli Iced Earth!), ma sentiamo
per certo una forte affinità con un tipo di assolo arpeggiato nello stile
di Ritchie Blackmore/Highway Star (si ascolti il brano di apertura, Spiritual
Creator; e anche Flock, e il brano strumentale posto in chiusura, Ahoora).
Beyond The Reasonable Doubt Of A Lunatic ha dei riff "dark" che
diremmo nello stile dei Black Sabbath, ma anche (a partire da circa 7’44")
un movimento in accelerazione che è assolutamente peculiare a Donald (Buck
Dharma) Roeser (ma potrebbe essere solo una coincidenza). A circa 3’10",
The Child Of Volcano ha una variazione melodica con chitarra acustica che
ci ha ricordato gli Hawkwind del periodo Levitation, o perfino (gasp!)
i Pink Floyd; come in altri brani dell’album, anche qui abbiamo due chitarre
soliste armonizzate con intelligenza.
Sebbene
registrato con un budget basso, l’album riesce a comunicare molto bene
i suoi stati d’animo (per lo più tesi – vedi i testi) (una cosa che ci
viene in mente: il primo album degli High Tide). Gli arrangiamenti sono
decisamente complessi, i musicisti si conoscono molto bene, il materiale
è stato provato a lungo. Suggeriremmo ai lettori di fare una ricerca in
Rete e di partire da lì.
Beppe
Colli
© Beppe
Colli 2007
CloudsandClocks.net | Jan.
22, 2007