A Whiter Shade Of
Pale
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di Beppe Colli
May 12, 2017
Era il maggio del
1967, e tutto il mondo contava i giorni che ancora mancavano al primo giugno,
data della pubblicazione del nuovo album dei Beatles, Sgt. Pepper’s Lonely
Hearts Club Band. E più che "pubblicazione" sarebbe forse
maggiormente appropriato il termine "apparizione", dato il carattere
quasi messianico di quell’attesa.
E’ uno scenario che il lettore odierno probabilmente
osserverà con più di una punta di scetticismo e incredulità. Ma non va
dimenticato che quella dei Beatles è stata una popolarità planetaria senza
precedenti – e che non si è mai più ripetuta. E che nella cornice
"controculturale" del tempo – un aspetto che ha da essere trattato
separatamente dal semplice fattore "popolarità" in senso numerico,
anche se a esso correlato – artisti come i Beatles sembravano in grado di
fornire "le risposte".
Buon testimone è stato Pete Townshend, che in The Seeker, il
bel singolo degli Who pubblicato qualche anno dopo, esponeva con chiarezza i
termini della questione: "I asked Bobby Dylan/I asked The Beatles/I asked
Timothy Leary/But he couldn’t help me either."
In quel maggio spuntò
dal nulla una canzone che in brevissimo tempo – poche settimane – divenne la
colonna sonora di quell’estate. "Successo planetario istantaneo" è
cosa normale nell’era di Internet. Lo era senz’altro meno a quei tempi.
Pubblicazione inglese il dodici maggio, ingresso in classifica al No. 11 il
venticinque dello stesso mese, al No. 1 la settimana successiva, posizione che
la canzone manterrà per sei settimane consecutive.
Il lettore può oggi controllare con facilità il piazzamento
nelle classifiche di tutto il mondo: No. 5 negli Stati Uniti, pressoché senza
alcuna promozione, e No. 1 quasi ovunque.
E se gli ascoltatori del resto del mondo ebbero l’annuncio
"dal primo posto delle classifiche inglesi" a metterli in guardia,
chissà cosa pensarono gli ascoltatori della radio che per la prima volta mise
in onda il brano.
Chi conosce il film I
Love Radio Rock – o The Boat That Rocked o qualunque degli altri titoli con cui
è apparso nel mondo – conosce già il fenomeno delle "pirate radio" di
quel tempo.
Parrebbe accertato che a trasmettere per la prima volta la
canzone fu Radio London. Qui i resoconti fatalmente divergono – c’è anche chi
ha parlato di "una busta con dei biglietti da cinque", fatto che
comunque andrebbe inserito in una precisa cornice: l’esigenza di controllare
mediante ascolto radiofonico se il suono dei piatti avesse "sporcato"
troppo quello degli altri strumenti.
Accadde il finimondo. E mentre il pubblico inglese correva a
comprare il singolo, un "gruppo inesistente" si chiedeva come far
fronte alla cosa.
Non mancano
statistiche e aneddoti. "Uno dei trenta singoli che hanno venduto più di
dieci milioni di copie". "Un brano che ha avuto più di mille
versioni". "Il brano che John Lennon ascoltò cento volte di seguito
nella sua Rolls Royce".
Ma forse è meglio dare la parola a Gary Brooker,
intervistato da Paul Carter per la fanzine Shine On in occasione del
trentennale del brano:
"I Beatles la amavano. Durante quel periodo – pensa, A
Whiter Shade Of Pale è appena uscita ed è subito al No 11, dal nulla al No 11.
Non avevamo neppure dei vestiti adatti e quella sera dovevamo andare in
televisione per la prima volta, così siamo andati in una boutique di King’s
Road, una di quelle esclusive dove per entrare devi suonare il campanello,
siamo andati dentro e dentro c’erano i Beatles, anche loro a comprare vestiti.
Erano tutti seduti intorno a un harmonium che avevano in negozio, a cantare A
Whiter Shade Of Pale, proprio mentre noi entravamo. E non sapevano certo che
saremmo arrivati. Credo che Paul fosse all’harmonium e gli altri
cantavano."
Pianista, cantante e
compositore, Gary Brooker si era stufato delle scarse fortune arrise al suo
buon complesso di R&B, The Paramounts. Avrebbe fatto l’autore di canzoni.
Dopo lungo tragitto, i testi di Keith Reid si combinarono alla sue musiche. Ma
nessuno pareva interessato. Unica soluzione, inciderle in proprio.
Denny Cordell produttore, Keith Grant a curare la parte tecnica
agli Olympic Studios. I musicisti erano stati trovati con il classico annuncio
su Melody Maker. Matthew Fisher, organo. David Knights, basso elettrico. Ray
Royer, chitarra. Appena arrivato, bacchette in mano, Bobby Harrison non
sembrava in grado di produrre un risultato eccellente nel tempo limitato di una
session. Fu quindi mantenuto il session man, e provetto batterista di jazz,
Bill Eyden, prenotato per il turno. Arrangiamento già messo a punto da Brooker
e Fisher, inclusa la (non ancora) celeberrima introduzione di organo e gli
intermezzi organistici tra le sezioni della canzone.
Quattro piste, esecuzione live. Il lettore è invitato a
prestare attenzione all’eco e all’equalizzazione sulla voce di Brooker, con il
variare della "luce" su "As the miller told his tale".
Leggiamo quanto scritto
da Peter Frame nel suo "family tree" dedicato ai Procol Harum apparso
a corredo del "best" del gruppo che porta il titolo di Portfolio
(Chrysalis, 1988).
"La transizione di Brooker da elegante discepolo del blues
a strafatto veggente psichedelico era sintomatica dei tempi. In Inghilterra,
nel 1966, un sacco di musicisti cominciarono a fumare hashish e marijuana
invece di ingoiare pillole; alcuni iniziarono a farsi degli acidi. Molti
smisero di suonare R&B e cominciarono a suonare le loro idee. E’ stato un
periodo bizzarro e fertile che ha visto la nascita di gruppi quali Traffic,
Pink Floyd, Soft Machine, Family, Jimi Hendrix Experience, Nirvana, Crazy World
Of Arthur Brown, Move, Tomorrow… tutti fornivano musica appropriata a quella
che era conosciuta come ‘the underground scene’".
Chiunque abbia
familiarità con la musica di quel periodo conosce bene l’usanza di far
precedere la canzone vera e propria da una introduzione in grado di catturare
immediatamente l’attenzione dell’ascoltatore. Pensiamo a Satisfaction dei
Rolling Stones, Badge dei Cream, Proud Mary dei Creedence Clearwater Revival,
Time Of The Season degli Zombies, Light My Fire dei Doors… la lista è
pressoché infinita. E un approccio che un musicista molto meno sprovveduto di
quanto amasse far credere, David Bowie, continuò a usare negli anni settanta,
complice imprescindibile il chitarrista Carlos Alomar.
Appena in febbraio, il Mellotron di Strawberry Fields Forever
aveva portato ai primi posti in classifica un’atmosfera sonnolenta e oppiacea
che aveva sconcertato non pochi. C’è indubbiamente all’opera uno "spirito
del tempo" – si ascolti la versione su singolo di You Keep Me Hangin’ On
dei Vanilla Fudge, e si faccia attenzione a quanto estesa è l’introduzione
strumentale che parte con quell’Hammond in solitudine rispetto alla durata
tutto sommato ridotta della canzone su singolo.
Possiamo andare in avanti fino a novembre, e sentire l’indubbia
influenza – quanto meno in termini di arrangiamento – dei tempi e del brano dei
Procol Harum su un hit mondiale quale Nights In White Satin dei Moody Blues,
con il Mellotron a "rispondere" al cantato.
Ma nessuna introduzione è diventata degna di essere considerata
una composizione a sé stante quanto quella di A Whiter Shade Of Pale.
Un’introduzioni di organo Hammond tanto lunga da indurre sulle prime
l’ascoltatore a credere di stare ascoltando un brano solo strumentale.
Lasciamo al lettore
l’esplorazione del testo.
"And although my eyes were open/They might just as well’ve
been closed".
© Beppe Colli 2017
CloudsandClocks.net | May 12, 2017