John
Zorn & Masada
Anfiteatro
Le Ciminiere, Catania
July
10, 2006
A
poco più di due anni di distanza dall’esibizione di quell’ampia
formazione che porta il nome di Electric Masada, la rassegna denominata
Etnafest ci quasi-regala (solo 8/10 euro) la possibilità di rivedere
John Zorn in compagnia di quello che – rimanendo in ambito jazzistico
– è senz’altro uno dei piccoli gruppi di maggior successo degli
ultimi anni: parliamo del quartetto acustico Masada, dove la tromba
di Dave Douglas, il contrabbasso di Greg Cohen e la batteria di Joey
Baron si affiancano al sax alto del leader per eseguire un repertorio
che con semplificazione non lontana dalla verità è stato
detto combinare arie popolari ebraiche e il free jazz di Ornette Coleman.
Chi
scrive ha sempre trovato curioso il fatto che quello di Zorn sia divenuto
con il passare del tempo un nome in grado di fungere pacificamente da
marchio; lo stesso è avvenuto con l’etichetta da lui fondata,
la Tzadik (che ha così fornito un di più di credibilità
a svariati progetti discografici); con concetti di definibilità
altamente problematica quali "Jewish Music"; e con marchi
derivati quali, per l’appunto, Masada. Il che, com’è ovvio, non
ha nulla di disdicevole (e nulla dice a sfavore della musica). Mentre
non di rado abbiamo avuto l’impressione che non pochi dei musicisti
che trovano tanto da ridire nella produzione di Zorn non disdegnerebbero
essere nei suoi panni (con la possibile eccezione dei pantaloni indossati
in occasione di questo concerto, il cui mix di colori sembrava in grado
di arrecare danni permanenti alla retina). Resta il fatto che il pubblico
di Zorn (in versione "letta" e "ascoltata") ci è
parso non di rado alquanto acritico, e pronto ad accettare pressoché
qualunque cosa.
Va
da sé che il biglietto è acquistato senza indugio. La
sorpresa è che – causa freddo, e minaccia di pioggia – il concerto
non verrà tenuto nel previsto anfiteatro all’aperto ma nell’Auditorium
del centro Le Ciminiere. Risultato: ottima acustica, amplificazione
pulita, aria condizionata, poltrone comodissime… insomma, condizioni
ideali che fanno presto dimenticare di essere stati tenuti in coda come
bestie per circa un’ora, al caldo, facili prede di voraci zanzare.
Usare materiale orecchiabile quale punto di partenza è cosa tutt’altro
che nuova nel jazz – pensiamo a Sonny Rollins e ad Albert Ayler. Quel
che è certo è che il quartetto di Zorn è davvero
post-Ornette: la ritmica – eccellente – suona spesso con un’indipendenza
(a volte contemplata da partitura) che altre formazioni a parole consimili
non posseggono affatto. Joey Baron ha un suono "grosso" che
a un orecchio distratto potrebbe sembrare sinonimo di grossolano; tante,
invece, le sue finezze esecutive (e abbiamo l’impressione che il suono
sembri tanto grosso perché affiancato all’esilità della
front line). Bello il contrabbasso di Greg Cohen, che a volte ha letto
(anche in assolo) partiture di grande difficoltà sotto lo sguardo
giustamente fiero di Zorn. Le perplessità di chi scrive concernono
i due fiati: su disco e in concerto, Dave Douglas ci è sempre
parso musicista bravo e maturo, ma niente affatto in possesso di quelle
doti che rendono un musicista una personalità di spicco; è
possibile che nel jazz odierno non abbia rivali, ma ciò parlerebbe
più "contro" il jazz odierno che "pro" Douglas.
Per Zorn potremmo dire che "va a gusti". Ma in realtà
il suo timbro – abbastanza piatto e discretamente "neutro"
– che tanto bene pare funzionare in certi contesti non appare il più
appropriato per il materiale "avanguardia melodica" suonato
stasera. La partecipazione emotiva di Zorn è evidente; che questa
partecipazione passi all’ascoltatore è fatto che non daremmo
per scontato.
Zorn
ha il solito atteggiamento caratteristico visto in tante foto: gamba
sinistra alzata, collo torto, suono strozzato. Non potrebbe mancare
qualche cenno di show-biz: i comandi dati alla ritmica con la mano destra
mentre la sinistra è sullo strumento e che fanno tanto "in
the moment" (ma King Crimson e Gentle Giant facevano cose simili
senza farle sembrare chissà che); assurde le presentazioni finali,
con Zorn che urla a pieni polmoni i nomi dei musicisti stando ben lontano
da quel microfono che pure ha usato fino a un attimo prima. Piccole
cose. I punti gravi sono due: tutte le volte che entrano tromba e sassofono
l’energia cala, per poi risalire quando rimane la sola ritmica (ed è
la prima volta che ci capita di vedere una cosa simile); soprattutto
in assolo, Zorn dà l’impressione di mettere insieme stilemi eterogenei
che sembrano accostati a forza, laddove "squeak" e "honk"
vengono da un catalogo e quella frase melodica da un altro. I problemi
della composizione sono ovviamente l’ultima cosa che interessa i presenti
(1.200?): applausi dopo ogni assolo e ogni situazione d’impatto, proprio
come il pubblico di uno studio televisivo.
Finale
imbarazzante, laddove quello che ci è stato indicato essere il
direttore artistico della rassegna (questo è l’ultimo concerto)
abbraccia Zorn nel vano di una porta tenuta aperta, e poi indica il
pubblico plaudente invitando il quartetto a un bis.
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net
| July 26, 2006