Intervista a
Paul Zollo
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di Beppe Colli
Dec. 15, 2006
E’ stato leggendo il mensile statunitense Musician – erano
i primi anni novanta – che abbiamo acquistato familiarità con la firma di
Paul Zollo. Gli articoli scritti da Zollo ci sembravano tutti decisamente
ben fatti, per cui quando alla fine di quel decennio ci trovammo a leggere
della pubblicazione di un libro di interviste da lui curato lo ordinammo
senza esitazione.
La "expanded edition" di Songwriters On Songwriting
(oltre seicento pagine!, ma a un prezzo decisamente contenuto: $18.95) prometteva
interviste ad autori di canzoni. Qualche nome? Randy Newman, Paul Simon, Bob Dylan, Carole King, Frank Zappa,
Laura Nyro, Leonard Cohen, Brian Wilson, Rickie Lee Jones, Van Dyke Parks,
Harry Nilsson. Non bastano? Aggiungiamo Donovan, Burt Bacharach, Neil Young,
Suzanne Vega, Tom Petty, Richard Thompson, Mose Allison, Tom Lehrer, Jules
Shear, Los Lobos. E anche Walter Becker e Todd Rundgren.
All’atto pratico il contenuto
del libro risultò essere ancor meglio di come l’avevamo immaginato. Le
interviste, tutte documentatissime, mostravano una tale comprensione dell’oggetto
"canzone" che ci ritrovammo a leggere con interesse anche quelle
con musicisti che davvero non figuravano nell’elenco dei nostri preferiti.
E nel tempo il volume di Zollo è rimasto uno tra quelli che abbiamo preso
in mano più spesso, per motivi di documentazione o semplicemente per il puro
piacere di leggere.
Come nasce questa intervista? Molto semplicemente, alla
fine dello scorso mese di novembre abbiamo fatto la classica ricerca in Rete
a proposito di una serie di nomi, tra cui Zollo. Abbiamo trovato con facilità
un suo sito, letto delle sue innumerevoli attività, visto il suo indirizzo
e-mail. Zollo si è detto disponibile, e il tutto è stato realizzato via posta
elettronica nel corso delle scorse due settimane.
Anche se sono sicuro che hai
già risposto a questa domanda un’infinità di volte mi piacerebbe sapere
come hai cominciato a sviluppare un interesse per la musica e, in seguito,
un forte interesse per la musica.
Sono stato ispirato e catturato dalla musica fin
dai primi momenti che riesco a ricordare. Molte delle mie prime memorie hanno
carattere musicale. Ricordo distintamente il giorno del 1964 –
avevo sei anni – quando ho ascoltato per la prima volta i Beatles alla
American radio. I Want To Hold Your Hand. Era emozionante. Potevo dire che
si trattava di qualcosa di diverso e di speciale. Il suono di quelle voci
in un rapporto di armonia stretta, e quegli accordi e quella melodia. Già
allora era per me una cosa ammaliante. Sapevo che si trattava di qualcosa
di unico, e divenni un fan accanito dei Beatles. Ma amavo moltissimi altri
gruppi di quel periodo –
per esempio gli Herman’s Hermits, gli Association e naturalmente i Rolling
Stones. E poi entrarono nella mia vita Simon & Garfunkel – e mi
sentii così vicino alla loro musica. Mi ispirava e mi scaldava. Era intelligente,
romantica, divertente e di ottima qualità. Suonavo una batteria
"fai da te" mettendo dei secchi e dei bidoni della spazzatura su
un set di tubi nella mia cantina. Ho preso un po’ di lezioni di piano, all’età
di dieci anni ho iniziato a suonare la chitarra e quasi immediatamente ho
cominciato a scrivere canzoni. La prima che ho scritto erano solo delle nuove
parole per Sound Of Silence di Simon. La mia era The Look Of Absence. Dopo
di che ho cominciato a scrivere musica, oltre che parole, e non ho mai smesso.
I miei sono stati di grande incoraggiamento, e ho preso lezioni private di
teoria musicale – una cosa che mi è piaciuta molto – e anche
lezioni di piano e chitarra. Avevo un ottimo insegnante di chitarra che mi
ha incoraggiato a usare nelle mie canzoni tutti gli accordi e le tecniche
che stavo imparando, e a scrivere una canzone nuova alla settimana, cosa
che ho fatto. Alla media inferiore ho avuto anche un insegnante di musica
che ha molto lodato le mie canzoni, e ne ha insegnate due alla mia classe
perché le suonasse, cosa che mi ha molto entusiasmato. Nei primi anni ho
scritto canzoni tutte decisamente astratte ispirate da canzoni dei Beatles
come Fixing A Hole. Poi venne l’era dei cantautori, mi piaceva molto James
Taylor, e anche Carole King, Laura Nyro, Cat Stevens, CSN e moltissimi altri.
A Chicago, dove vivevo, c’era una scena fiorente di musica folk e mi innamorai
di performer e autori eccellenti come Steve Goodman, John Prine, Michael
Smith, Thom Bishop, Bob Gibson e molti altri. Ho suonato una delle mie canzoni
nel retropalco per Steve Goodman
– un atto di pura faccia tosta, ma lui fu molto gentile – e mi
disse, con franchezza, "Era buona, ma avrei potuto scrivere tutta quella
canzone usando un solo verso". E questo fu critico e cruciale, e di
estremo aiuto. La canzone che ho suonato per lui aveva delle parole molto
astratte. Capivo quello che intendeva dire, e da quel giorno ho cercato di
scrivere canzoni che avessero un senso ma che fossero allo stesso tempo anche
poetiche e avvincenti. A Chicago ho suonato in serate per dilettanti, sia
da solo che con amici. Sono andato all’università a Boston e ho formato un
gruppo. Poi sono andato a New York e a Hollywood, suonando con gruppi, scrivendo
canzoni, suonando. Non è mai stata mia intenzione essere un giornalista,
o un autore, che si occupa di musica – mi ci sono trovato – volevo
solo scrivere ed eseguire canzoni.
Sebbene la maggior parte dei
pezzi scritti da te che ho letto fossero originariamente apparsi su SongTalk,
io li ho letti quali parte del tuo libro intitolato Songwriters On Songwriting.
A dire il vero, non ho mai visto una copia di SongTalk! Vuoi dirmi qualcosa
in proposito?
SongTalk era il giornale della National Academy of Songwriters. Quando mi
avvicinai alla NAS, giusto per vedere di cosa si trattava, SongTalk era poco
più di un calendario di eventi. Riuscii a intrufolarmi e a scriverci, e mi
fecero direttore. Proposi di fare delle interviste approfondite a dei grandi
autori di canzoni. Si fecero beffe della mia proposta, dicendo che nessun
autore di canzoni importante avrebbe parlato con noi. Invece io sentivo che
se noi avessimo parlato con loro seriamente – come dei musicisti che
parlavano ad altri musicisti – loro si sarebbero aperti e avrebbero
apprezzato che i punti focali fossero la musica e la creatività, con nessuna
attenzione prestata a cose quali la celebrità o altre questioni non-musicali.
E avevamo molti autori famosi di canzoni, da Paul Simon a Prince a Bacharach,
che erano
"gold member" della NAS. Pochi giornali musicali facevano ai musicisti
interviste serie e approfondite che trattavano di musica. Però mi fu detto
che potevo provarci, e mi fu dato un ufficio, e anche un salario e un’opportunità
di fare quello che avrei potuto. Per il mio primissimo numero sono riuscito
ad avere Frank Zappa, che mi ha dato una grande intervista. Dopo di che ho
avuto Pete Seeger, Willie Dixon e altri. Agli inizi Randy Newman
– che adoro – mi ha dato un’intervista meravigliosa; io conosco
molto bene il suo lavoro, e lui è così brillante e divertente che la nostra
intervista è venuta fuori splendidamente. Lui ha molto apprezzato il mio
modo di considerare il suo lavoro, e la mia conoscenza di esso sia dal punto
di vista musicale che dei testi. Così venne fuori un pezzo davvero bello
e approfondito, e la gente dell’ambiente musicale l’ha notato, e a poco a
poco quasi tutti i grandi autori di canzoni con i quali volevo parlare accettarono
di farlo. Mi ci vollero alcuni anni per avvicinare alcuni di loro – la
prima volta che ho contattato la gente di Dylan, beh, mi hanno riso in faccia.
Ma alla fine sono riuscito a parlare anche con Bob, cosa che è stata incredibile.
E con Simon – ho fatto molte interviste con lui, che poi ho messo tutte
insieme. La cosa molto bella a proposito di SongTalk, dato che era un giornale
stampato come un quotidiano con praticamente nessuna pubblicità, era che
avevamo un sacco di spazio. Così ho fatto dei pezzi enormi su questa gente,
interviste lunghe, approfondite. (Anche con foto molto belle – di solito
scattate da un mio amico, il leggendario Henry Diltz.) Spesso divise in due
parti, come ho fatto con Simon. Sin dagli inizi ho sempre avuto l’intenzione
di mettere tutte queste interviste in un libro, e in seguito quel libro è
diventato realtà. E’ Songwriters On Songwriting. Prima ancora di fare la
prima intervista ho fatto una lista ideale di tutte le persone che avrei
voluto per il libro. E le ho avute quasi tutte.
Sono sicuro di aver visto per la prima volta il tuo nome come autore sulle
pagine della rivista Musician – però non riesco a ricordare se era
il periodo di Bill Flanagan o di Robert L. Doerschuk. Ti dispiacerebbe
parlarmi della tua collaborazione con Musician?
Piango la perdita di Musician. Era un buon giornale. Ho lavorato sia con
Bill che con Robert. Ho lavorato nel corso di quella transizione. Non ho
mai fatto parte dello staff o cose del genere, ma ho scritto molte storie
per loro. Questa è stata una cosa importante per me, dato che era una delle
poche riviste di cui mi importasse, dato che facevano pezzi lunghi e validi
a proposito di artisti importanti. In effetti ho tentato per anni di scrivere
per loro venendo continuamente respinto. Finché non ho fatto il mio pezzo
su Dylan su SongTalk
– è stato allora che mi hanno preso sul serio. Volevano comprarlo e
stamparlo sulle loro pagine. Noi non l’abbiamo accettato, ma poi Bill ha
iniziato a incaricarmi di scrivere dei pezzi. Ho scritto dei pezzi su gente
della quale altrimenti con tutta probabilità non mi sarei occupato – come
i Soup Dragons e il gruppo chiamato James. Sono andato in tour sul loro autobus,
davvero pazzesco. Ho scritto un lungo pezzo su Me’Shell NdegeOcello, che
adoro. Doveva essere la storia di copertina – ma poi hanno cambiato
idea e in copertina hanno messo Danzig. Per loro ho scritto una storia che
è stata quella di copertina – Melissa Etheridge. E per loro ho scritto
anche molte altre storie.
Dato che in questo momento ho difficoltà a consultare la mia collezione
di Musician dovrò andare a memoria: sei stato tu a organizzare quelle "Tavole
rotonde di autori di canzoni" di cui Musician si è occupata un paio
di volte? Se è così, mi parleresti di quell’esperienza?
No, non ero io.
Ho qui a portata di mano il numero di Musician datato maggio 1997, e la storia
di copertina è The Greatest Songs Of All Time, dove i musicisti scelgono
– e discutono – la loro canzone preferita (il mio pezzo preferito è
quello di Andy Partridge degli XTC su Autumn Almanac di Ray Davis/The
Kinks). Tu hai scritto alcuni pezzi per questo numero. Sei rimasto
sorpreso nel vedere che diverse canzoni tra quelle scelte (da gente
appartenente a classi di età diverse) erano state scritte da Randy
Newman?
Un po’ sorpreso, e contento. E’ sempre stato evidente per me che coloro i
quali capiscono di cosa è fatto il grande scrivere canzoni apprezzano la
brillantezza di Randy Newman. Quello che lui ha prodotto è unico e stupefacente.
E un sacco di gente non ha idea di quello che ha fatto. Però quando ho intervistato
Dylan, lui fra tanti ha scelto proprio Randy per lodarlo. "Non c’è molta
gente che può essere considerata all’altezza di Randy", ha detto, e
ha ragione. Una canzone come Sail Away, ha detto Dylan, "è difficile
fare una cosa migliore di quella". Sono d’accordo. Spero di fare un
libro intero con Randy. Lo amo sia come autore di canzoni che come uomo.
E’ un tipo davvero fuori dal comune – così intelligente, così divertente,
così dotato. Dopo aver fatto il mio libro con Petty (Conversations with Tom
Petty) gli ho chiesto se sarebbe stato disposto a fare un libro. "Credi
che si possa fare un libro intero in proposito?" ha chiesto. Beh, sì.
Si può. Spero di scriverlo.
In quello stesso numero uno dei pezzi principali è sui Ben Folds Five.
Solo curiosità personale: Hai ascoltato Songs For Silverman di Ben Folds?
A mio parere era davvero molto buono, ma da un punto di vista commerciale
sembra essere colato a picco senza lasciare traccia…
A dire il vero non conosco quell’album. Ma ho scritto un pezzo per Oxford
American su Ben quando aveva appena cominciato con il suo gruppo e aveva
quella canzone Brick e altre ugualmente buone. E mi piacevano molto le sue
cose
– è molto, molto bravo. Sa quel che fa, ed è molto intelligente e dotato.
L’edizione di Songwriters On Songwriting che posseggo è quella che è uscita
nel 1997 per la Da Capo. Sono sicuro che è stata seguita da un’altra edizione
– che non ho mai visto: Cosa aggiunge/sottrae?
Aggiunge soltanto, non sottrae. C’è una versione ampliata che la Da Capo
ha pubblicato nel 2003, che ha più di settecento pagine. Non è lunga quanto
l’autobiografia di Clinton ma è discretamente corposa. Ha alcune delle prime
interviste che ho fatto, per esempio con Roger McGuinn, Mark Knopfler, John
Hiatt e altri. E anche interviste che ho fatto successivamente all’edizione
del 1997, con Me’Shell, Lou Reed, Becker & Fagen (nel primo libro c’era
Becker ma non Fagen – per il secondo ho fatto un’intervista a tutti
e due), Alanis Morissette e altri.
Quando
ho ricevuto il libro sono rimasto sorpreso (e non so davvero il perché)
nel vedere che uno dei miei musicisti preferiti di sempre, Frank Zappa,
era stato incluso. Lo hai intervistato nel 1987. Qual è il tuo ricordo
personale di quell’incontro?
Incontrarlo e parlargli è stato come
un sogno che si avvera. Come ho già detto, era una delle prime grosse interviste
che ho fatto. Mi ha invitato a casa sua – aveva dormito – erano
circa le otto di sera, e ha dato istruzioni al suo tecnico di fare dei missaggi
mentre lui sonnecchiava. Sono rimasto impressionato dall’operosità che c’era
lì nel suo studio casalingo – la musica continuava letteralmente ventiquattro
ore al giorno. Quando riposava si assicurava che del lavoro venisse fatto.
Era incredibilmente creativo, concentrato e produttivo. Frank fu molto generoso
con il suo tempo. Apprezzò la mia conoscenza della musica, sebbene fosse
molto duro con il mondo degli affari che circonda la musica. A quel tempo
ero abbastanza inesperto al riguardo – era il 1987 – e questo
mi colse di sorpresa. Ora capisco. Ma lui era molto brillante e divertente
e sardonico. Un genio. Essere alla sua presenza fu un onore. Stava lavorando
a della musica sul Synclavier – che a quei tempi era nuovo
– musica che divenne il suo album Jazz From Hell. Era stimolato dal
fatto che lo strumento fosse potenzialmente in grado di suonare tutto quello
che lui era in grado di concepire. Gli lanciava delle piccole sfide. "Vediamo
come suonerebbero ventiquattro note in una misura su un fagotto", diceva,
e lo strumento lo faceva. E lui amava questo. Fumava un sacco di sigarette,
il suo unico vizio, ed era arrabbiato con me per il fatto che SongTalk aveva
pubblicato una piccola storia su Al Gore, la cui moglie Tipper, a quel tempo,
aveva formato il PMRC – genitori che cercavano di censurare e bandire
quella che per loro era musica sconveniente. Il tizio che c’era prima che
io diventassi direttore aveva messo in copertina una foto di Gore. E così
apparentemente questo è stato il motivo per cui Frank ha fatto l’intervista,
per fare delle obiezioni in proposito – "perché [Gore] dovrebbe
essere sulla copertina di un giornale di musica?" Io tolsi di mezzo
la questione, gli dissi che condividevo il suo sentire – il che era
vero
– e spostai l’oggetto della conversazione da Tipper alla musica. E
fu a partire da lì che le cose si svilupparono, in modo splendido. Retrospettivamente
posso vedere che ero un po’ intimidito da Frank – e che sarei potuto
andare più in profondità con lui di quanto non feci. Ma considerando che
ero abbastanza inesperto feci un buon lavoro, ed è utile avere quello che
ho fatto. Lui ha prodotto così tanto; credo davvero che avesse in qualche
modo la sensazione che il suo tempo sulla terra sarebbe stato breve, e così
in una vita breve infilò molto più lavoro di quanto la maggior parte della
gente non riesca a fare in una vita lunga.
Parlando della sua reazione all’album The Complete Works Of Edgar Varèse,
Volume I, Zappa dice: "L’ho portato a casa e l’ho ascoltato giorno
e notte per anni." Direi che questo tipo di comportamento fosse
abbastanza comune a quei tempi (e ovviamente ancor di più se parliamo
di individui che in seguito sono diventati artisti). A giudicare dalla
tua esperienza personale, l’attuale
"condizione di permanente sovraccarico multimediale" ha reso casi
come questo un’eventualità rara?
Ritengo di sì. Suppongo che quello
che intendi dire è che al giorno d’oggi la maggior parte delle persone
non cercherebbero qualcosa come Varese? E’ importante capire che all’epoca
di Zappa lui era certamente una rarità per il fatto di andare a cercare
Varese. E’ una cosa che lo distingueva. Non era una cosa che gli altri
ragazzi facevano! Diceva che lo suonava ai ragazzi che incontrava e poteva
immediatamente capire se valeva la pena di conoscere un ragazzo vedendo
se gli piaceva o no Varese. Al tempo di Frank gli altri ragazzi ascoltavano
la radio pop e il rock and roll. E Frank era unico, perfino allora. Ovviamente,
come ha avuto modo di dirmi, amava anche Louie Louie e altri classici del
rock.
Credo davvero che la durata del tempo in cui la gente
– e specialmente i teenager e i ragazzi ancora più giovani – riesce
a prestare un’attenzione continua si sia rimpicciolita rispetto a quando
io ero giovane. Eravamo soliti bearci della possibilità di ascoltare un solo
album di continuo, di assorbire la musica finché era nella nostra anima e
nel nostro sangue. Ora so che è piuttosto raro per chiunque – ma specialmente
per i ragazzi
– ascoltare un album per intero. I miei nipoti e le mie nipoti mi dicono
che loro non comprano più CD, ma scaricano solo canzoni singole. Così invece
di sedersi di fronte allo stereo, di lasciare che la musica li conquisti,
di esaminare attentamente le copertine degli album, di studiare attentamente
i testi, di vivere dentro le foto come facevamo noi, loro ascoltano canzoni
sui loro iPod mentre navigano in Internet o fanno altre cose. Noi eravamo
soliti soffermarci in profondità all’interno delle canzoni. Non so se la
gente va ancora spesso così profondamente dentro la musica. So che ci sono
alcuni che certamente lo fanno, ma penso che le cose siano cambiate. L’avvento
di MTV, ormai alcuni decenni or sono, ha cambiato l’esperienza musicale aggiungendo
a essa una dimensione visiva che ha diminuito le aspettazioni della gente
nei riguardi della possibilità che fosse la musica stessa, le canzoni, le
parole e la musica, a dipingere le immagini. Questo ha ridotto l’immaginazione
musicale delle persone.
E dunque, sì, credo che molto sia cambiato dai giorni in cui un giovane Frank
Zappa dava il benvenuto a Varese nella sua casa, nel suo cuore e nei suoi
pensieri, e sebbene Zappa fosse allora certamente unico tra i suoi pari,
sarebbe persino più unico oggi. Comunque, allo stesso tempo, vedo che la
musica non è stata segregata in un passato e in un presente tanto drasticamente
come quando noi eravamo ragazzi; grazie alla capacità da parte di Internet
di procurarsi qualunque pezzo del passato con cristallina chiarezza digitale,
ci sono moltissimi ragazzi e adulti che stanno scoprendo e abbracciando
la grande musica del passato, così che Zappa, per esempio, o i Beatles,
o Laura Nyro, rimangono molto vitali nella vita della gente, il che è molto
diverso dal modo in cui la musica che i miei genitori amavano, per fare
un esempio – come Sinatra o Judy Garland – esisteva nella
mia vita. Quelli erano LP vecchi, polverosi e graffiati sulla mensola.
Ora la musica è lì, immacolata, nuova, elettrica e viva per quelli che
la vogliono. E conosco ragazzini che amano Zappa con la stessa intima e
segreta ferocia con la quale lui amava Varese. Li distingue come Varese
distingueva il giovane Frank. E’ un rifugio privato.
E così, sebbene la durata dell’attenzione prestata si sia certamente rimpicciolita,
la possibilità di entrare in contatto con tutti i tipi di grande musica
si è aperta in un modo tutto nuovo. E nonostante quello che molti dicono
a proposito del suono digitale contrapposto all’analogico, io ritengo che
non ci sia alcun dubbio che la chiarezza e la profondità di un suono digitale
– come è possibile ascoltarlo in un iPod, per esempio – sia stupefacente
e di ottima qualità. A volte le cose vecchie vengono rimasterizzate in maniera
poco accurata, e il bilanciamento e la dinamica diventano sballate. Ma la
maggior parte delle cose vecchie, dai Beatles a Mose Allison a Muddy Waters
alla Chicago Symphony a Dylan e così via, suona incredibilmente bene, meglio
che mai.
Hai intervistato un gran numero di grandi artisti. Per esempio, Laura
Nyro (se ricordo bene, estratti dalla tua intervista sono poi diventati le
note di copertina della sua Anthology), un’artista la cui personalità al
tempo del suo primo album (pubblicato nel 1967, quando aveva appena diciannove
anni) sembrava essere apparsa già pienamente formata. Parla di lei.
Un altro grande onore nella mia vita è stato incontrare Laura. Era una dea.
Come Frank, lei percorreva una traiettoria assolutamente personale, e come
lui ha avuto una vita tragicamente breve. A differenza di Frank, lei ha rifiutato
di parlarmi per anni. A quel tempo io non lo sapevo ma lei non aveva concesso
nessuna intervista per molti anni dato che si era ritirata dal music business.
Ma il mio interesse non era mai incentrato solo sul lavoro corrente – è
sempre stato, ed è, sui risultati senza tempo. E dato che lei aveva sedici
anni quando ha scritto And When I Die – miracolosamente la sua prima
canzone!
– lei ha scritto così tanti classici senza tempo. Alla fine, dopo molti
sforzi e molti, molti canali, la convinsi a fare un’intervista. Ricordo bene
– lei disse, "Ma se non avessi niente da dire?". Ora sento
che lei aveva paura che io mi fissassi su domande come "Perché ora non
scrivi? Che cosa ti è successo? Una volta tu…" Ma quello non era affatto
il taglio di quello che volevo fare, e le ho assicurato che ci saremmo fatti
una bella chiacchierata. Cosa che abbiamo fatto. Siamo entrati splendidamente
in sintonia. Amavo lei e le sue incredibili canzoni. Come Randy – e
Frank
– lei ha fatto qualcosa che era completamente personale. Giocava secondo
le sue regole. Era una vera artista. Così la nostra prima chiacchierata è
stata di circa tre ore – stimolante, divertente, calda e meravigliosa.
E quando quel giorno ha finito lei ha chiesto se avremmo potuto parlare nuovamente
il giorno dopo. Certo! E l’abbiamo fatto. E parlammo dei suoi sentimenti
a proposito dell’arte e della creatività, come nell’arte c’è gioia, c’è gioco
– ma è serio. Lei lo chiamava il suo "serio campo di gioco".
E come non ci fossero limiti. Era bello. Raggiungemmo un luogo di intimità
e bellezza – un luogo che la sua musica tocca, un luogo di gioia –
che non sapevo saremmo stati in grado di raggiungere. E lei fu molto contenta
dell’intervista, e poi l’ha usata nella sua Anthology, come tu ricordavi
– cosa che è stata per me un onore – e anche nel suo songbook.
Io amo il fatto di essere entrato in sintonia con lei. Lei era bella. E mio
figlio è nato il giorno del suo compleanno, il 18 ottobre. "And when
I die", ha scritto, "there’ll be one child born and a world to
carry on, carry on." Carry on.
Parlando di "talenti precoci",
sono curioso di sapere se hai mai ascoltato Nellie McKay.
No, non ho familiarità con Nellie. Ma ora l’ascolterò. Quasi tutti questi
autori di canzoni hanno iniziato a scrivere più o meno a dieci o undici
anni. Tutti loro sono stati catturati dalla musica da ragazzi. Amavano
la musica, e sognavano di fare della musica la loro vita. E lo hanno
fatto. Quasi tutti hanno scritto le loro prime canzoni da ragazzi – quasi
alla stessa età. Ma all’inizio la maggior parte di loro non ha scritto
buone canzoni. Ha scritto canzoni imitative. Canzoni come quelle che
ascoltavano. Imparavano il mestiere e l’arte facendo. Che è il solo modo
di imparare a scrivere canzoni. Facendolo. Imitando ed emulando quello
che ci coinvolge finché non troviamo la nostra voce e il nostro stile.
Laura Nyro è l’unica che conosco la cui primissima canzone è stata un
classico. Il che è molto poco usuale. La maggior parte di chi scrive
canzoni – includendo me stesso – necessita di molti anni
prima di riuscire a trovare il proprio sentiero e iniziare a scrivere
canzoni di un certo spessore. Scrivere canzoni non è una cosa che può
essere insegnata, ma può essere appresa facendolo. E questo è il modo
in cui tutti loro hanno imparato a farlo. Facendolo. E scrivendo dapprima
canzoni scadenti, per poi diventare migliori. E ancora migliori.
Joni Mitchell è un’artista la cui musica è molto più complessa di quanto
non possa apparire a un orecchio pigro. L’hai mai incontrata?
Sì, l’ho incontrata. In più di un’occasione. E una volta ho scritto un tributo
per lei, compreso un discorso pronunciato da Graham Nash, sebbene lui lo
abbia graziosamente emendato. Joni si è esibita nel corso del tributo, e
così ho avuto modo di trascorrere del tempo con lei. Non credo che la sua
musica suoni semplice neppure a orecchie pigre. Ritengo che suoni complessa
quasi a tutti, e che lo sia. Lei ha inventato un suo linguaggio musicale
personale. Lei ha inventato i suoi accordi alla chitarra, e le sue accordature.
Questo è decisamente poco comune. Perfino al piano fa cose che sono davvero
insolite, mettendo insieme accordi e modi di formarli che sono davvero molto
strani, ma che funzionano così bene e risuonano in modo splendido nelle sue
canzoni. E lei è una dei pochi la cui musica e i cui testi sono ugualmente
inventivi e di ottima qualità. La maggior parte di quelli che scrivono canzoni
di solito sono più bravi o a fare la musica o a fare le parole – che
è il motivo per cui chi scriveva canzoni in passato era di solito un team:
uno faceva le parole, uno la musica. Ma sebbene io abbia provato davvero
molto duramente per molti anni – direttamente e indirettamente attraverso
una moltitudine di canali con Joni – e sebbene lei una volta mi abbia
promesso personalmente che avrebbe fatto un’intervista con me e abbia detto
che parlare con me sarebbe stato una "catarsi", lei non l’ha mai
fatto. Cosa che io rimpiango, dato che amo il suo lavoro e lo conosco molto
bene. Potremmo fare una gran conversazione. Mia moglie è una pittrice, e
mio padre colleziona arte, e io so molto di pittura. Lei è una pittrice molto
dotata, e sarebbe molto bello poter parlare con lei della intersezione di
arti visive e musicali. So che un giorno accadrà. Mi dispiace che Joni abbia
permesso al music biz di renderla disgustata della musica, e che come conseguenza
lei si sia ritirata dalla musica. Grandi artisti come lei hanno bisogno di
trascendere il mercato, e di non permettere ai ghiribizzi del mondo degli
affari di influenzare la loro arte. Ci sono quelli come Paul Simon il cui
grande album Hearts And Bones non ha venduto grandissime cifre come invece
ha fatto la maggior parte dei suoi lavori, e lui lo ha considerato un fallimento;
però poi lui ha fatto un lavoro ancora più grosso – il suo album successivo
è stato Graceland. Gli artisti importanti devono sollevarsi al di sopra del
mercato, dell’industria. A Brubeck fu detto che Take Five era un’idea patetica
perché nessuno riusciva a ballarlo. E poi è diventato l’album di jazz più
venduto di tutti i tempi. A Petty fu detto che Full Moon Fever era un album
che non valeva la pena neppure di pubblicare, che non era buono e che non
conteneva successi. E’ diventato il suo album più venduto e più celebre.
Dunque gli artisti non devono avere fiducia nel giudizio che l’industria
esprime sul loro lavoro. Ma non è una cosa facile da fare, specialmente quando
sei abituato al fatto che la tua arte provoca un immenso entusiasmo in milioni
di persone. Quando questi numeri decrescono gli artisti hanno spesso la sensazione
che il loro lavoro abbia adesso un valore minore, o perdono la loro inclinazione
a mettere il loro lavoro nel mercato. Vedono lavori di minore caratura venire
celebrati e ciò penetra nel loro spirito creativo e lo danneggia. E questo
è quanto è accaduto a Joni, il che è un peccato, dato che lei è uno dei più
grandi autori di canzoni di sempre. E alcuni dei suoi lavori più grandi e
stupefacenti, come per esempio il suo album intitolato Mingus, non sono mai
stati ben accolti né da un punto di vista critico né da un punto di vista
della popolarità quanto i suoi
"successi". Però questo fatto non cambia la circostanza che parliamo
di un grande lavoro senza tempo. E’ stupefacente. Assolutamente magistrale.
Un lavoro che durerà per sempre. Certo, è una grande pittrice, e il mondo
ha bisogno di grandi dipinti. Ma lei è anche uno degli autori di canzoni
viventi di maggiore talento, e il mondo ha un disperato bisogno di altre
grandi canzoni. A dispetto di quello che alcuni potrebbero dire.
Un’altra intervista che mi è piaciuta molto è stata quella con Burt Bacharach
e Hal David. Cos’hai pensato del fatto che la musica del loro "periodo
classico" sia stata abbracciata come musica "stylish cocktail/lounge" da
un pubblico di atteggiamento "post-moderno"?
Posso capire come il tipo di canzone
che Bacharach e David hanno scritto potrebbe essere considerata cocktail
e/o lounge music, dato che in un certo senso è uno stile che si riallaccia
a un’epoca precedente – un’era nella quale non uno ma due uomini – un
autore di testi e un compositore – scrivevano canzoni non perché
venissero eseguite da loro stessi ma da altri cantanti, e creavano il loro
lavoro non con una chitarra per il rock & roll ma su un piano per un
cantante che lo eseguisse con un’orchestra. Bacharach ha più cose in comune
con George Gershwin di quante non ne abbia con Bob Dylan. Dicendo questo
non intendo denigrare la grandezza delle canzoni che ha scritto con Hal
David. Sono meravigliosi classici senza tempo. E neppure sono semplici
o semplicistiche da un punto di vista musicale – una canzone come
Alfie, per esempio, possiede una bella complessità, e come tutta la musica
di Bacharach è decisamente sofisticata. E nel contesto degli anni sessanta,
quando Dylan, i Beatles, Paul Simon e altri stavano allargando i confini
di quello che una canzone poteva fare e di quello che una canzone poteva
dire, Bacharach & David scrivevano in questo stile più vecchio, questo
stile che non parlava di una nuova rivoluzione ma di un "romance" all’antica,
sebbene con delle melodie splendide. E così la grandezza di quello che
loro hanno prodotto ha potuto dapprima essere sottovalutata, dato che non
era così apertamente rivoluzionaria. Ma con il passare del tempo, come
accade per ogni grande canzone, il valore di una cosa come Alfie non è
diminuito, e la sua grandezza continua a risuonare in un modo rimarchevole.
Così nuove generazioni l’hanno scoperta, e l’hanno abbracciata di nuovo.
Direi che i testi di Hal David, scritti come sono stati in quello stile
old-fashioned nel quale i testi romantici venivano creati allo scopo di
adattarsi a una melodia, non sono invecchiati così bene come le melodie
di Bacharach. E’ come per George Gershwin con Ira Gershwin – sono
le melodie di George, non i testi di Ira, che erano davvero rivoluzionari
e nuovi, ed è George che è celebrato come il genio, non Ira. Ma i testi
di Ira, come quelli di Hal David, si adattano perfettamente a quelle melodie,
cavalcano la parte musicale, ascendono e cadono linguisticamente con le
melodie in modo perfetto e senza cuciture, e hanno reso quelle melodie
più gustose e facili da apprezzare per il pubblico. Il testo di Hal per
Alfie, sebbene per certi aspetti possa apparire semplicistico, si attaglia
a quella melodia complessa in un modo ideale. E’ un bravo artigiano. E
così, sebbene non tutte le loro canzoni continuino ad avere risonanza,
le grandi canzoni di Bacharach & David sono certamente diventate degli
standard senza tempo, e risuonano con la grazia della bellezza delle più
belle canzoni mai scritte dai grandi autori di canzoni.
Nel corso dell’intervista che hai fatto con lui, Randy Newman parla di come
il ritmo accoppiato a una mancanza di complessità sia melodica che
armonica (sto riassumendo con parole mie) rendono le cose sempre più
difficili per la musica maggiormente sofisticata. Capisco che è una
questione complicata, ma qual è oggi la tua opinione in proposito?
Beh, nel mio libro sia Randy Newman che
Paul Simon hanno espresso il convincimento che la fame di melodia è diminuita
– Simon ha detto che noi siamo "usciti da tempo dall’epoca della
melodia", e che riteneva che nella "popular music" il ritmo
fosse più importante e che la melodia non avrebbe più fatto ritorno. Io pensavo
che avesse torto, ed era così. (Naturalmente, questo convincimento lo ha
condotto a realizzare un lavoro tra i suoi più convincenti – canzoni
basate sul ritmo come tutte quelle contenute in Graceland.) Randy ha detto
che per quanto riguardava la musica lui sentiva che, con il trascorrere del
tempo, i rapper avrebbero voluto introdurre delle melodie nella musica, e
ha ritenuto che questa sua opinione si è rivelata vera quando l’hip-hop ha
incominciato ad abbinare ritornelli melodici a strofe rappate. E nella nostra
epoca presente vediamo che canzoni dotate di belle melodie hanno ancora una
grande risonanza, e che la gente ama una bella melodia quando ne sente una.
E’ la ragione per cui la stupefacente ballad Hurt di Christina Aguilera è
tanto apprezzata. E’ una melodia straziante di grande bellezza con un bel
testo. (Ed è anche la sua stupefacente interpretazione che contribuisce molto
a far estasiare la gente con questa canzone ammaliante.) E’ il motivo per
cui le canzoni dei Beatles continuano a essere altrettanto importanti, se
non più, di quanto non fossero al tempo in cui sono state create. Grandi
melodie con armonie sapienti, creative – sono qualcosa che non andrà
mai fuori moda. E’ mia ferma convinzione che la gente sia affamata di grandi
melodie. Vogliamo parole che ci coinvolgano e che parlino ai nostri cuori
e alla nostre menti, vogliamo ritmi che ci facciano muovere e che scuotano
i nostri animi, e vogliamo melodie che siano viscerali, eteree ed eterne.
Ci sono poche combinazioni più potenti della fusione di una melodia potente
e di un testo toccante. Aggiungi a tutto ciò un ritmo che dà vigore e il
risultato è puro paradiso. Oggi io credo che fin dalla nascita del rock and
roll, quando la chitarra è diventata lo strumento prevalente al posto del
piano e le canzoni rock di tre o quattro accordi basate sul blues divennero
la "popular music" del tempo, la raffinatezza degli autori di canzoni
che usavano il pianoforte – da Gershwin a Bacharach e oltre – non
sia stata adeguatamente apprezzata e che la
"popular music" sia divenuta meno sofisticata. Per esempio, al
giorno d’oggi molti chitarristi non suonano accordi diminuiti, aumentati
o estesi. Per molti versi un’armonia sofisticata è più facile da ottenere
sulla tastiera di un pianoforte che su una chitarra. Ma al tempo stesso ci
sono stati molti esempi di autori di canzoni che usavano la chitarra che
hanno scritto canzoni di grande bellezza melodica e di grande raffinatezza,
l’esempio più ovvio ed evidente essendo i Beatles. Fin dagli inizi la loro
musica è stata cromatica, originale e decisamente sofisticata. Hanno realizzato
una fusione tra la sofisticata e complessa canzone melodica e la base viscerale
e terrena del blues e del rock & roll. E nessuno l’ha davvero fatto meglio,
sebbene ci siano stati molti autori di canzoni che usavano la chitarra – come
per esempio Paul Simon, Joni Mitchell, James Taylor e altri – che hanno
composto musica decisamente complessa e sofisticata con la chitarra. E allo
stesso tempo ci sono stati gli autori di canzoni che hanno usato il piano,
come per esempio Randy, e anche Elton John, Bruce Hornsby e altri che hanno
utilizzato le complesse possibilità e anche il potenziale dinamico del piano
per comporre "popular songs". Quindi è certamente vero che non
ci sono molte persone che scrivono il tipo di canzoni che scrivevano Gershwin
o Cole Porter, o che scrivevano i Beatles, ma io ritengo che la "popular
music" sia ciclica, e che il nostro appetito e il nostro apprezzamento
per canzoni melodiche e sofisticate non scomparirà mai, e che quindi arriveranno
dei grandi autori di canzoni a scrivere grandi nuove canzoni.
So che hai realizzato un libro di interviste con Tom Petty. Parlamene.
Si chiama Conversations with Tom Petty,
ed è un libro tutto di interviste che ho fatto a Tom in una delle sue due
case a Malibu nel corso di molti sabati pomeriggio consecutivi. Questo è
avvenuto durante il periodo in cui stava realizzando l’album Highway Companion
e si trovava in un momento felice – creativo, felicemente sposato,
concentrato, in forma. L’avevo già intervistato molte volte e avevamo sviluppato
un rapporto caldo e felice, e io provo molto rispetto per lui e provo davvero
molta ammirazione per quello che lui ha prodotto. Conoscevo bene il suo lavoro – la
totalità di quello che ha prodotto è davvero stupefacente
– un flusso durevole di canzoni incredibili, genuine, sentite, autentiche,
toccanti e potenti nel corso di circa trent’anni. Così ho studiato per bene – il
che è stato una gioia – e ho ascoltato molte canzoni che neppure conoscevo.
E sono rimasto stupito dal fatto che ce ne fossero così tante che erano altrettanto
buone dei suoi più grandi successi – canzoni che sarebbero certamente
potute diventare dei successi se solo fossero state pubblicate come singoli.
Così ho fatto le mie ricerche e ho imparato le canzoni sia come musica che
come parole – una delle cose che ci univa era il fatto che dato che
sono un musicista posso parlare con lui di musica con un certo grado di comprensione,
e imparo sempre le canzoni per davvero – e spesso gli facevo una domanda
a proposito di una canzone che magari lui non ricordava troppo bene – dopo
tutto, ce ne sono così tante – e lui mi chiedeva di fargli di nuovo
la domanda la settimana successiva, dopo che l’aveva riascoltata. E così
tutti e due ci siamo preparati bene per questa cosa. E sono felice di poter
dire che il risultato è un libro molto ricco. L’idea di partenza era di fare
delle interviste che trattassero solo del suo lavoro, della sua musica, delle
sue canzoni. Non di andare su un piano personale. Ma mano a mano che procedevamo
nelle discussioni è diventato evidente che la sua vita era contenuta nella
sua musica, e quindi questa è diventata la storia della sua vita, dato che
è una vita in musica. E poi siamo tornati indietro e abbiamo parlato della
sua infanzia – come ha cominciato con la musica, il suo primo gruppo,
il suo importantissimo incontro con Elvis, l’arrivare a Hollywood, l’ottenere
un contratto discografico e così via. Fino ad arrivare a quello che è davvero "mega-stardom". "E’
diventato tutto molto mega a quel punto", ha detto di quando la sua
carriera ha davvero cominciato a salire vertiginosamente. Così questo libro
è una "success story" americana. Un "sogno americano" che
si avvera. Ed è stato accolto molto caldamente dai suoi fan. Incredibile
a dirsi, finora non aveva autorizzato nessun libro su di lui prima di questo.
Quindi i suoi fan erano affamati di una cosa così, e con poche eccezioni
(alcuni hanno desiderato che questo avesse più "sporco" su di lui – ma
questo non è un libro sporco) lo hanno amato per davvero. E io ho amato farlo,
e amo la sua musica, e lui.
Che farà Paul Zollo nel 2007?
Un sacco di cose. Ho messo assieme un nuovo
gruppo – The Zollo Group – e abbiamo suonato nell’area di Los
Angeles e nelle immediate vicinanze. E’ il mio miglior gruppo da sempre –
mi sento davvero fortunato per il fatto di poter lavorare con questi ragazzi.
Tutti musicisti meravigliosi, e anche delle ottime persone. Hai bisogno di
tutt’e due le cose. Ho scritto un sacco di canzoni nuove, di cui sono molto
contento, e non vedo l’ora di registrare un nuovo CD con questo gruppo. Potremmo
anche incidere dei pezzi dal vivo in modo da conservare il suono che abbiamo
in concerto. (Puoi sentire alcuni di questi pezzi man mano che vengono completati,
e anche dei pezzi vecchi, a www.myspace.com/paulzollo e anche a www.paulzollo.net.) Ho anche composto molte canzoni
con altri – ne ho appena finito una chiamata Baltimore, su Edgar Allan
Poe, con Darryl Purpose, che è una persona davvero eccezionale, e un’altra
chiamata Flying Machine, su uno sfortunato pioniere dell’aviazione, con Bob
Malone, anche lui una persona di grande valore. Ho appena finito un lavoro
di grandi dimensioni – compilare un Rhyming Dictionary che ha oltre
90,000 rime per la Schirmer Books. E’ stata una loro proposta, e l’ho accettata – ed
è stata davvero un’impresa. Nel capitolo introduttivo analizzo l’uso delle
rime nella canzone e nella poesia, e uso esempi che vanno da Shakespeare
e Byron per arrivare a Dylan e Simon e oltre. E direi che è questo il capitolo
che contraddistingue il libro. Sto anche lavorando a un libro di fotografie – sono
stato molto coinvolto dal mondo magico e miracoloso della fotografia digitale.
Il potenziale che offre, unito al fatto che vivo nel cuore di un luogo di
personaggi colorati, Hollywood, mi ha reso possibile creare una ricca panoplia
di fotografie di losangelini di tutti i tipi
– alcuni attori e musicisti famosi, molti performer, inclusi molti
che provengono dal fiorente campo del burlesque e del vaudeville, gente comune
– in realtà, di tutto. Giovani, vecchi, ricchi, senza casa e tutte
le tappe intermedie. Si chiama Caras de Los Angeles; Faces of the Angels.
Spero di ultimarlo per la fine del 2007, e spero di poter avere delle mostre
delle mie foto. Il mio lavoro ha fatto parte per tre volte di un festival
d’arte di Los Angeles chiamato Cannibal Flower, che si tiene in una galleria
nella downtown L.A. (Puoi vedere molte delle mie foto all’indirizzo www.flickr.com/photos/zollo.)
Sto anche lavorando in qualità di Senior Editor per la rivista American Songwriter,
e per loro scrivo storie, interviste e recensioni, e sarò il direttore e
il fotografo principale di una nuovissima rivista online di musica chiamata
Bluerailroad che verrà lanciata nel gennaio del 2007 all’indirizzo Bluerailroad.com.
Avrà interviste serie e approfondite con musicisti, dello stesso tipo di
quelle che facevo con gli autori di canzoni a SongTalk. Spero di convincere
Randy Newman a fare un libro di Conversazioni con me. Continuerò anche a
scrivere storie come freelancer per altre riviste e, se tutto va come spero,
il mio romanzo, Sunset and Cahuenga, potrebbe essere pubblicato. Passerò anche un sacco di tempo
con il mio meraviglioso figlio, Joshua Zollo, il ragazzo più radioso del
mondo. Dovrebbe essere un grande anno. Per me e per chiunque altro. Come
sempre, mantengo viva la speranza.
© Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net | Dec.
15, 2006