Intervista a
Corrie van
Binsbergen
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di Beppe
Colli
Apr. 25, 2017
I due begli
album recentemente pubblicati con la sigla Vanbinsbergen Playstation ci hanno
indotto a riflettere sulla figura di Corrie van Binsbergen, musicista che nel
corso di una ormai lunga carriera è riuscita a muoversi con freschezza e
spessore lungo un percorso che ha visto in azione le formazioni più diverse –
dal solo al quartetto all’ottetto e ancora oltre – con un amalgama stilistico
vario ma tutt’altro che privo di coerenza e uno spirito che nonostante il lungo
cammino riesce ancora a mantenere intatte verve e "joie de vivre".
Logico, quindi,
decidere di fare un’intervista a tutto campo. Corrie van Binsbergen ha
accettato la nostra proposta, e lo scambio epistolare è avvenuto la scorsa
settimana, via e-mail.
Data l’ottima
qualità dei due CD che hai pubblicato con la nuova formazione denominata
Vanbinsbergen Playstation, mi piacerebbe sapere di più sul modo in cui
l’ottetto è nato e sulle tue intenzioni al momento di formare questo gruppo, il
cui repertorio – se non vado errato – è un po’ un cambiamento di direzione per
te da un punto di vista compositivo.
E’ una combinazione di
diversi fattori. A partire dal 2003 ho partecipato a tanti lavori insieme a
scrittori e poeti. Raccontano le loro storie, sulle quali compongo uno scenario
musicale. Per il pubblico è come "un film per le orecchie". Ho anche
scritto musica per lavori ampi, un’opera, un film. E così mi è cominciata a
mancare una "semplice" formazione strumentale. Così dal 2010 al 2012
ho suonato in un "impro-trio" con il batterista Yonga Sun e il
bassista Hein Offermans, in seguito con Dion Nijland. E poi ho voluto mettere
su un ensemble più ampio. Ragionando sulla nuova formazione ho deciso che
avrebbe dovuto essere un po’ come il mio primo gruppo, Corrie & de Brokken
(1986-1989), un quintetto con due fiati (Angelo Verploegen alla tromba e Tobias
Delius al sax tenore) che dal 1988 è stato un sestetto con Joost Buis al
trombone. Per il mio nuovo gruppo volevo quattro fiati: due ance e due ottoni.
Conosco Joost da moltissimo tempo. Ho incontrato un giovane suonatore di french
horn, Morris Kliphuis, sul palco a una "impro-session" a un festival
e sono rimasta piacevolmente sorpresa. Non avevo mai suonato con Mete Erker e
Miguel Boelens ma li ho sentiti suonare e ho pensato che questi fiatisti insieme
avrebbero fatto un figurone. Ed è proprio così!! Alla prima prova con il
settetto dopo aver suonato il primo pezzo ci siamo tutti guardati in faccia e
abbiamo detto "WoW! questo è qualcosa di veramente speciale!".
Ho usato il BrokkenBal 2014
(un happening annuale con scrittori e musicisti che ho organizzato dal 2006 al
2016 al Bimhuis di Amsterdam) come opportunità per provare questa combinazione
di musicisti. A dire il vero per il mio nuovo gruppo non avevo in mente il
pianoforte, ma per questa edizione del BrokkenBal con tanta narrazione avevo
bisogno di Albert van Veenendaal e del suo modo così speciale di suonare il
piano preparato. Ed eccolo lì: BAM! una bella combinazione. Tutti noi volevamo
fare dell’altro con questo ottetto, ma abbiamo dovuto aspettare un anno, dato
che nel frattempo tutti quanti avevano altri gruppi e altri lavori.
Il repertorio è soprattutto
mio. Abbiamo suonato un pezzo di Joost e uno di Albert.
Hai
pubblicato due album con l’ottetto, Live e Tales Without Words. Vorrei che me
ne parlassi, dato che a mio avviso sono per molti versi alquanto differenti.
Sì, sono molto diversi, sono
proprio l’opposto. Il primo CD è un album dal vivo pieno di energia, puoi
metterlo sul giradischi e iniziare la giornata con una bella spinta ballando in
giro per casa con il tuo aspirapolvere. Tales Without Words è più
introspettivo, ed è anche un "concept album". Mettilo alla fine della
giornata e ascoltalo seduto vicino al caminetto con un bel bicchiere di vino.
I pezzi che sono su LIVE
sono stati registrati al nostro primissimo concerto al BrokkenBal 2014, quando
in realtà ancora non esistevamo come gruppo, e al nostro primo concerto a un
festival nel 2015 come gruppo Vanbinsbergen Playstation. L’album ha davvero
questo spirito: "Yoohoo, eccoci qui!". Tales Without
Words è un album di studio il cui spirito è "siediti, rilassati, e
ascolta le nostre storie".
Vorrei che mi
parlassi della formazione chiamata Corrie en de Grote Brokken. Conosco solo
Vier! – il CD "Best" che è uscito nel 2011, dove nelle note di
copertina dici che avevi messo su il tuo primo gruppo venticinque anni prima! E
quindi mi farebbe piacere che mi parlassi di questo gruppo.
Ho messo su il mio gruppo
Corrie en de Brokken nel 1986 e dieci anni più tardi ho fondato Corrie en de
Grote Brokken, con il doppio di musicisti. Era una collaborazione tra musicisti
rock e jazz.
Prima di mettere su il mio
gruppo ho fatto tante cose diverse, a dire il vero cose che la gente mi
chiedeva di fare. Mentre studiavo chitarra classica al Conservatorio suonavo
già il basso elettrico e la chitarra elettrica. Mi limitavo a fare quello che
capitava e guadagnavo dei soldi con la musica ma non facendo qualcosa che
consideravo speciale, che era davvero connessa alla mia individualità.
Poi, in occasione del mio ventisettesimo compleanno, all’improvviso ho capito
che il tempo passava e che tre anni dopo avrei avuto trent’anni! Ed è
stato a quel punto che ho deciso di mettere su il mio gruppo.
La formazione
che appare su Vier! – quattro fiati, tastiere, marimba, vibrafono, e inoltre
voci, chitarre e sezione ritmica – e anche una parte della musica – soprattutto
Zootsuit I & II e This Suits You II – mi hanno ricordato Frank Zappa, sia
la sua musica che l’ampia formazione che ha girato in Europa nel 1988. Mi
sbaglio? Me ne vuoi parlare?
Sì, qui hai perfettamente
ragione. Ho ascoltato Zappa quando ero una teen-ager, e mi è piaciuto
moltissimo. One Size Fits All, Roxy & Elsewhere, Zappa In New York,
fantastici! Poi a un certo punto ho perso il filo – continuava a pubblicare
tanti di quegli album! – e io seguivo maggiormente il jazz e la musica
classica, ma poi ho incontrato un vecchio amico (lui ha davvero tutti i CD di
Frank Zappa!) e ho visto Make A Jazz Noise Here. Me lo sono
portato a casa e sono rimasta di nuovo colpita. E quindi, una nuova
"era" di ascolti zappiani nella mia vita.
La formazione di Corrie en
de Grote Brokken è una diretta ispirazione zappiana.
E ho composto ZOOT-SUIT
(part I – V) come tributo a Frank Zappa.
Parlando di
chitarra, ho notato delle somiglianze – ma più in passato, ora sono di meno –
tra alcuni dei tuoi assolo di chitarra e alcuni assolo suonati da Zappa. Qui il
migliore esempio che posso farti è il pezzo chiamato Stories From The Girl Who
Couldn’t Talk, che ho visto in Rete (non so su quale album si trovi).
L’articolazione, le scale, la densità variabile delle note, tutto questo mi
dice che devi aver studiato la sua logica compositiva molto da vicino. Me ne
vuoi parlare?
Non cerco mai di studiare
quello che suonano gli altri chitarristi, so che la maggior parte dei musicisti
lo fa, ma io no. Nonostante ciò l’idioma mi affascina. Ed è anche una cosa alla
quale devo stare attenta! Certamente ci sono delle somiglianze. Zappa una volta
ha detto "sono un tipo da un accordo", e anch’io sono così. Mi piace
il wah wah, e suonare sulle note basse per poi esplodere in quelle alte, e
anche lui fa così. E mi piace molto il suo uso delle scale modali, in special
modo, come hai giustamente notato, nel periodo in cui suonavo con Corrie and de
Grote Brokken.
Prima c’è stato I
Wasn’t Talking (Corrie en de Grote Brokken, il primo album del 1997), di
fatto solo un groove e un lungo assolo di chitarra. Il titolo è un riferimento
a Shut Up And Play Your Guitar di Zappa. Poi ho fatto alcuni
concerti in solo e ho realizzato una colonna sonora con moltissime citazioni di
Zappa. Li ho chiamati Stories From The Girl Who Wasn’t Talking e
poi More Stories From The Girl Who Wasn’t Talking. Il
video che hai visto era dal festival tedesco Zappanale 2006.
Per quanto riguarda la
composizione, quando studiavo chitarra classica al Conservatorio ho dovuto fare
uno studio approfondito di un compositore classico. Ho scelto Zappa!
Ho un debole
per un album in solo che hai pubblicato qualche anno fa, Self Portrait In Pale
Blue, che a differenza di altri tuoi album offre una dimensione strumentale
alquanto spoglia che suona decisamente personale e intima. Vuoi parlarmi di
questo album così bello?
Sono davvero contenta di
sapere che hai "un debole" per quest’album. Molta gente ama questo
CD. Non devi amare il jazz per apprezzare questa musica. Potremmo dire che
piace sia al mio vicino che a Ernst Reijseger. Queste sono le note di copertina
che ho scritto per l’album.
"Nell’agosto del 2013
avevo prenotato delle date per fare una registrazione allo studio Fattoria
Musica. Però quello che doveva essere realizzato è stato cancellato. Il
pianista Albert van Veenendaal, mio buon amico, mi ha suggerito di usare quei
giorni in studio per registrare un mio album. Un album solo. Dopo i dubbi
iniziali (a chi può interessare e quali pezzi devo registrare?), mi sono
abituata all’idea. OK, ci andrò, ma senza avere preparato nulla. Tabula Rasa.
Mi seggo a suonare e vedo che cosa viene fuori. L’unico suggerimento che ho
dato a me stessa è stato quello di prendere il tempo, accogliere il tempo.
Farlo durare e suonare il minor numero di note possibile. Nel corso della
primavera del 2012 un periodo di auto-scoperta arrivò più o meno per caso. A
causa di una frattura alla mano destra non ho potuto suonare per mesi, e non
era sicuro che avrei potuto più farlo. Dopo aver vissuto in città per
trent’anni ci siamo trasferiti in campagna. Io ero diventata più vecchia. Mia
madre era morta. Posso sentirlo nelle registrazioni: è diventato un documento
temporale, un auto-ritratto."
C’è un album
in cui suoni che mi piace molto: For A Dog, pubblicato a nome Cram. La musica
suona fresca, e ho visto un paio di video del gruppo che suona due pezzi
dell’album – Breakfast e Blues For Penelope – che vengono davvero bene. E’
stato l’unico album che ha fatto il gruppo?
Sì, abbiamo pubblicato un
solo CD. CRAM si è formato quando sono stata invitata a suonare al
"Rencontres Musicales The Rabat" (in Marocco). Mi è stato chiesto di
partecipare con il quartetto che avevo a quell’epoca, il CVB4 (una formazione
speciale con Pieter Jan Cramer alla fisarmonica e Ernst Glerum al contrabbasso)
ma due dei musicisti non erano disponibili. Invece di cercare due rimpiazzi ho
cominciato da zero con un nuovo quartetto e ho messo insieme dei musicisti: il
batterista Arend Niks, Rutger van Otterloo al
sassofono e Mick Paauwe al contrabbasso. E’ venuta una cosa
davvero bella, e dopo aver fatto un concerto in Italia abbiamo deciso che
eravamo un gruppo. Suonavamo pezzi brevi dal sapore pop. Abbiamo fatto solo un
tour in Olanda (tra le altre date, una al North Sea) e abbiamo suonato
soprattutto all’estero, in Brasile, nei Paesi Baltici, in India e in Cina.
Ma capita spesso che dopo alcuni anni arrivo a conoscere i musicisti molto bene
e quando compongo per quella formazione so già cosa verrà fuori. E allora, che
gusto c’è a comporlo? Per me la cosa perde completamente di attrattiva, non c’è
più bisogno di farlo.
L’album a
nome Cram è stato il primo pubblicato dalla Brokken Records, etichetta che hai
fondato. Se non ti spiace vorrei che mi parlassi della "dimensione
finanziaria", per così dire, del tuo lavoro. Dato che i tempi sono quelli
che sono, come fai a mantenere a galla tutte queste imprese musicali?
Mi trovo nella situazione fortunata
di ricevere un sostegno finanziario da parte del Dutch Performing Arts. Però
per portare a termine tutti questi progetti mi faccio lo stesso un culo così.
Sono davvero
curioso di sapere come hai iniziato. Come hai sviluppato un interesse per la musica,
i tuoi studi musicali, quali sono state le tue prime influenze. Scommetto
che quando eri una teen-ager ascoltare la radio doveva essere davvero
entusiasmante!
Sebbene nessuno dei miei
genitori fosse un musicista, credo di aver ereditato il mio lato artistico da
mia madre, che cantava in un coro, e da mia nonna, che aveva delle belle doti
letterarie e scriveva poesie. Nel corso della mia infanzia tutti i tipi di
generi musicali coesistevano e si mescolavano. Ho incontrato la musica in
tenera età in modo informale. Ho preso in mano la chitarra all’età di sette
anni, a casa c’erano due chitarre, dato che avevo due fratelli più grandi che
la suonavano. Avevano anche un sacco di dischi! Così ho ascoltato Jimi Hendrix,
i Traffic, i Blind Faith, Joni Mitchell, i Jethro Tull, Randy Newman, gli
Steely Dan, Zappa, anche i Beatles ovviamente, e molto, molto altro. Anche
Bach, Bartók, Gershwin, Debussy, Ravel. Quando ero una teen-ager i miei
fratelli suonavano in gruppi. La cosa mi piaceva moltissimo! Quando sono andata
via di casa e sono andata nella "grande città" non avevo molti soldi,
ma avevo un grosso registratore con dei nastri dove mettevo tutti i tipi di
musica che prendevo in biblioteca. Lo tenevo acceso tutto il giorno: Perotinus,
African music, flamenco, Stravinsky, Zappa, Varèse, Carla Bley, Jaco Pastorius,
Joni Mitchell, Miles Davis, Mingus, Sonny Rollins, Herbie Hancock, Ornette
Coleman, Ry Cooder, Captain Beefheart, The Art Ensemble of Chicago, per farti
solo qualche nome… Era una miscela pazzesca.
In chiusura,
mi piacerebbe che mi dicessi qualcosa su come vedi la situazione corrente per
ciò che riguarda l’apprezzamento della musica da parte del pubblico.
Oof, una domanda difficile.
Forse il pubblico è più aperto a stili diversi? Meno propenso ad appioppare
etichette? Non so chi ha detto (forse Ellington?): "L’unica cosa
importante è che sia buona musica." Amen. Quello che non mi piace è che
coloro i quali curano la programmazione dei festival non sembrano più inclini a
correre dei rischi. Vogliono avere il successo garantito. E a me piace sempre
correre dei rischi, provare cose nuove, fare scoperte.
©
Beppe Colli 2017
CloudsandClocks.net | Apr. 25, 2017