Colin Stetson
Piccolo Teatro, Catania, Italy
Oct. 21, 2013
Tra i nomi di musicisti recentemente approdati a una
piccola celebrità quello di Colin Stetson è
senz’altro quello destinato a suscitare l’incredulità maggiore. Il perché è
presto detto: posto che è di piccoli numeri che qui si tratta, e non certo di
"hit album" e di folle oceaniche, va tenuto presente che gli album
che hanno reso "quasi celebre" il musicista statunitense – New History Warfare Vol. 2: Judges, apparso un paio di anni fa, e New History Warfare Vol. 3: To See More Light, pubblicato nella prima metà di quest’anno –
vedono quale protagonista quasi assoluto uno strumento ben poco
"commerciale" quale il sassofono; un sassofono piuttosto "scomodo",
tra l’altro, sovente in gamma bassa, dalla mole decisamente ingombrante.
Leggere del Vol. 2 ci aveva indotto a un supplemento di
indagine, e in una recensione seguita a un buon numero di ascolti ci eravamo
sforzati di esplicitare – con chiarezza e senza problemi di spazio – quelli che
a nostro avviso erano i punti di forza e i limiti del lavoro.
Ovviamente la molla in grado di portare il sassofono di Stetson all’attenzione dei più è esterna al suo lavoro
solista, e va individuata nelle sue collaborazioni. E qui, dando per scontato
il prestigio di nomi quali Tom Waits e l’appeal "laterale" di
formazioni quali TV On The Radio, diremmo che i nomi chiave per quanto stiamo
dicendo sono senz’altro quello degli Arcade Fire –
gruppo che è oggi considerato un "moderno classico" – e, più di
recente, quello dei Bon Iver, con Justin Vernon a
prestare la voce su alcuni brani del nuovo album di Stetson.
In chiusura di recensione avevamo auspicato di poter
ascoltare il sassofonista in concerto, così da poter fare il punto su una
dimensione esterna ai trattamenti cui un sapiente missaggio aveva sottoposto le
performance – sempre in tempo reale – di Stetson. La
nostra curiosità non si era spinta al punto da indurci ad ascoltare il lavoro
più recente, di cui abbiamo comunque letto un gran bene.
L’arrivo di Stetson in città fa
seguito a una serie di false partenze, e ci consente di tornare in un luogo che
ben conosciamo: dal concerto a sala piena dei Rachel’s,
una quindicina di anni fa – qualcuno ricorda ancora questa formazione di
"bizzarro rock" con archi apparentata a Michael Nyman?
– passando per Marc Ribot in solo per giungere, solo
qualche mese addietro, al trio dell’acclamata, ma all’atto pratico deludente
assai, chitarrista "jazz" statunitense Mary Halvorson,
questo è un luogo che – nel mutare degli organizzatori – ha avuto una non
piccola parte nel nostro tentativo di avere il polso della situazione, per quel
che oggi è possibile. Il numero di presenti è stimabile essere sul centinaio,
di certo lontano dai duecentoquaranta dei Rachel’s ma
superiore alla sessa/settantina della Halvorson. Ci
pare però assente una non piccola fetta della "città rock", se in
ragione di una partita di calcio a contendersi gli onori della serata o se per
altri motivi non sapremmo dire.
Sul palco si scorgono chiaramente un sax baritono e un sax
alto – niente sax basso, dunque, e qui vengono subito in mente motivi di
trasporto. Dall’aspetto "quasiquaranta", Stetson procede a indossare il microfono a contatto che
posiziona sulla gola mediante una striscia di materiale plastico, e si parte.
In una versione parallela a quanto già apparso su album, sono qui in azione
diversi pick-up: a quello canonico sulla campana dello strumento si affiancano
microfoni a contatto che hanno il compito di amplificare in maniera
iperrealista lo sbattimento delle chiavi e dei feltri – è la "sezione
ritmica-percussiva" – e il soffio dell’ancia; mentre un più comune microfono
con asta è il tramite delle piccole cose che Stetson – con respiro assai provato dalla tecnica di respirazione circolare e da un
impegno esecutivo che saggiamente contiene la durata dell’esibizione in un’ora
circa – riesce a dire.
I singoli pick-up essendo ovviamente collegati a canali
"discreti" del mixer, ogni "voce" strumentale è in grado di
ricevere un "trattamento personalizzato", con un sapiente uso di riverberi
e volumi a fornire l’apporto necessario. Di tanto in tanto, soprattutto sui
primi pezzi, Stetson guarda in alto a segnalare l’opportunità
di un trattamento – vista dal palco la sala del teatro ha una disposizione in
salita, quindi il mixer è in posizione sommitale – ma non distinguiamo l’interlocutore.
A fine concerto parleremo – separatamente – con un competente fonico al seguito
del service e con una giovane donna che riteniamo funga da "personal technician" di Stetson –
quella, per essere chiari, che conosce i pezzi – ricavando informazioni
preziose.
La musica è quella miscela di ambient e minimalismo già
ascoltata su album. Potremmo essere in errore, ma ci pare di poter dire che in
questa occasione – soprattutto sui pezzi tratti dal CD più recente, che Stetson presenta scusandosi per la mancanza di esemplari da
poter acquistare, i CD essendo stati tutti venduti nel corso dei (pochi)
concerti che hanno preceduto quello di stasera e invitandoci perciò a un
acquisto in Rete – l’apporto delle parti vocali esce molto più nettamente di
quanto ricordiamo. Sono melodie dal sapore "etnico" che a tratti
assumono un ruolo di non timido protagonista, rendendo il tutto senz’altro più
accessibile. Il pubblico è – comprensibilmente? – entusiasta già dal primo
brano, con applausi calorosi a segnalare l’avvenuta sintonia.
Diciamo subito che è una cosa che non ci fa onore, ma
dobbiamo ammettere che durante il concerto ci è capitato di rivolgere il nostro
pensiero se non in direzione di Roscoe Mitchell o di
Anthony Braxton certamente in quella dell’Evan Parker "trattato" di lavori quali Hall Of Mirrors, inciso con Walter Prati, e Solar Wind, inciso con Lawrence Casserley, e non certo per motivi di somiglianza! Ed
è vero che molto spesso critici e fan tendono a incolpare un musicista per il
mancato successo di un altro, ovviamente "ben più meritevole". Ed è
anche vero che una buona parte delle recensioni dei due lavori in solo di Stetson cui abbiamo fatto riferimento è stata scritta da
gente che con tutta evidenza non ha alcuna conoscenza di jazz e spara nomi a casaccio
quando non li copia dal foglio per la stampa – Albert Ayler!
La piccola conversazione con la signora di cui sopra ci ha
detto di concerti dal folto pubblico ovunque, da Zagabria a Roma, con i CD
esauriti dopo solo quattro date. Il concerto di stasera essendo a suo dire
quello in cui il pubblico è meno folto.
"Facile" qualora ascoltata in una prospettiva braxtoniana o mitchelliana, la
musica che Stetson presenta in concerto non è però
"facile". Il suo è un successo che dovrebbe quindi contribuire a
risollevarci il morale. Però dobbiamo ammettere che il minimalismo presente in
questa musica è molto lontano dal possedere quell’impatto – cui non erano
estranee le filosofie "contro il logorio della vita moderna" tanto
diffuse al tempo – che tendiamo ad attribuire ai primi Riley,
Reich o Glass. E che anche "la vita vista al rallentatore" di un
gruppo come The Necks tende ormai a somigliare
pericolosamente alla "carta da parati" o ai famosi film di durata
"eterna" di Warhol. E qui ognuno avrà la sua opinione.
Ben consapevoli di disegnarci un bersaglio sulla schiena,
dobbiamo ammettere di rimpiangere quei concerti del passato quando il pubblico
rumoreggiava, esternando in modi evidenti il suo mancato gradimento. Fu una
rivelazione, qualche anno fa, vedere il pubblico che assisteva a un concerto
della formazione denominata Zeitkratzer intenta a
eseguire roba che un tempo avrebbe provocato un tumulto dimostrare un’assoluta
impermeabilità mediante l’esternazione di un gradimento esagerato e rumoroso.
Un pubblico "televisivo", avremmo detto. E certo, se la mancanza di
"trasferibilità" del gradimento può essere considerata misura di una
mancata comprensione, il verdetto è chiaro.
Sorrisi beati, un bis, e tutti soddisfatti della bella
serata. Stetson è però musicista onesto, che si fa
fatica a considerare con antipatia. Attendiamo il seguito.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2013
CloudsandClocks.net | Oct. 23, 2013