Jack
Bruce: Composing Himself
By Harry Shapiro
Jawbone Press 2010, $19.95/£14.95, pp319
Durante una recente passeggiata ci è capitato di scorgere
nella vetrina della nostra edicola di riferimento – settore riviste straniere
– la copertina del più recente numero di Rolling Stone (Issue #1099, March
4, 2010). A fissarci divertiti erano Jeff Beck ed Eric Clapton, ai quali
era dedicata la cover story (opera di David Fricke) intesa a celebrare
la piccola serie di concerti che di lì a poco avrebbe visto i due chitarristi
suonare insieme, o quanto meno condividere lo stesso palco.
Ci siamo ritrovati a notare
"l’ordine di apparizione". Sulla copertina Beck è a sinistra, e
i nomi vengono indicati come Beck & Clapton. La bella foto (in bianco
e nero su due pagine) che apre il servizio vede Clapton a sinistra, e qui
i nomi appaiono come Clapton And Beck. Salomonica la scritta nella pagina
del sommario: Cover Story. Beck, Clapton and the Way of the Guitar: Eric
Clapton and Jeff Beck talk old rivalries, blues heroes and the secrets of
their craft.
Se una
doverosa signorilità si sforza di mettere i due su un piano di parità,
è ovvio che quello di gran lunga più famoso è Clapton. Che non vuol dire
soltanto quello che ha venduto di più, ma anche quello che è apparso più
di frequente su media che non trattano strettamente di musica ma che ospitano
sulle loro pagine chiunque sia una "personality", meglio ancora
se una "colourful personality". Qui ovviamente ogni fan di (Jeff)
Beck farebbe immediatamente osservare che il musicista in questione è senza
ombra di dubbio una personalità decisamente colorita. Ma il fan di (Jeff)
Beck capirà immediatamente che ci sono modi e modi di essere noti quali "colourful
personality", e che alcuni sono molto più comprensibili di altri.
E che la musica è spesso e volentieri solo un pretesto, come qualunque
giornale è immediatamente in grado di mostrare.
(Qui la
scusa è che "bisogna andare incontro al pubblico", notoriamente
bue. Ma ci piacerebbe sapere quanti di quelli che scrivono di musica sanno
individuare – visto che parliamo di chitarre – un "armonico artificiale" o
un armonico prodotto con il "taglio del plettro"
("side of the pick") o con la "carne del pollice"
("flesh of the thumb")).
Se i
"veri fan" considerano Clapton un grande chitarrista soprattutto
per il suo lavoro con i Cream, moltissimi "normali acquirenti" vedono
Clapton come quello che fa Layla "unplugged", o Tears In Heaven.
E poi ci sono quelli che non sanno neppure che Clapton è un chitarrista,
conoscendolo e apprezzandolo solo come cantante. Da cui il ventaglio di possibilità
a disposizione di chi intenda scrivere una biografia di Clapton.
Ma una
biografia di Ginger Baker? Baker è stato un grandissimo batterista, soprattutto
con i Cream. Una personalità colorita? Senza alcun dubbio. Ma quale potrebbe
essere il taglio di una sua biografia? Ce lo siamo chiesto dopo aver visto
più di un servizio che ne trattava, foto incluse.
Ginger Baker – Hellraiser (sottotitolo: The Autobiography
of the World’s Greatest Drummer), by Ginger Baker and Ginette Baker (John
Blake 2009, £18.99, ppxi-291), è un vero disastro. E la cosa più assurda
è che Baker non ci dice mai nulla di interessante a proposito del suo essere
batterista (e in più di un senso non ci dice proprio nulla di interessante
a proposito di musica), preferendo trattare di droghe, donne, cavalli,
rally, disavventure finanziarie e problemi di salute. Qualunque il motivo
(un editore miope? la considerazione che tanto la musica che conta la conoscono
tutti? una bassa soglia di noia da parte dell’autore?), un’occasione sprecata
e una lettura che è una vera agonia.
Abbiamo
saputo quasi per caso dell’uscita di Composing Himself, la recentissima
"authorized biography" di Jack Bruce scritta da Harry Shapiro,
e a oggi non ci è capitato di leggere nessuna recensione, né tanto meno servizi
discretamente ampi come quelli dedicati all’autobiografia di Baker. La cosa
in sé non ci sorprende più di tanto: Bruce è senz’altro una "colourful
personality", ma più nel senso di un Jeff Beck. E se la sua vita ha
conosciuto momenti decisamente "coloriti" (dei quali il libro tratta
estesamente ma senza compiacimento gratuito) ciò è evidentemente avvenuto
lontano dai riflettori, e in maniera subordinata rispetto alla musica.
Diciamo
subito che Shapiro ha scritto un buon libro (una sola svista individuata,
a pag. 111: la versione live di I’m So Glad non è su Wheels Of Fire) del
quale è agevole enunciare lestamente i principali pregi.
La cornice
della narrazione contempla sia l’elemento biografico che quello musicale,
senza privilegiarne alcuno. Preziosa la narrazione dell’infanzia e adolescenza
di Bruce, anche per il quadro storico-sociale che essa ci offre. La parte
musicale propriamente detta è ricca senza mai essere tecnica in un modo
che potrebbe forse risultare respingente per un lettore medio (bassisti
e musicisti in genere avranno già intere collezioni di interviste e articoli
fortemente tematizzati), ma a volte piccoli particolari si rivelano preziosi
per una percezione meno superficiale dell’insieme.
Il libro
dedica un certo spazio all’avventura dei Cream, e giustamente, ma è bello
notare che ciò non avviene a spese di cose molto meno note quali il Tony
Williams Lifetime, la partecipazione a Escalator Over The Hill o il quintetto
con Mick Taylor e Carla Bley, a proposito dei quali molto viene detto.
Se è ovvia la valorizzazione degli album classici di Bruce – Songs For
A Tailor, Harmony Row e Out Of The Storm – è bello leggere degli inizi
illustri con la Graham Bond Organization, del controverso trio West Bruce & Laing,
del quartetto con Simon Phillips e Tony Hymas, dell’esperienza con Kip
Hanrahan, del trio con Gary Moore e Ginger Baker, del gruppo "latino" dei
tempi più recenti e della reunion dei Cream.
La narrazione
in prima persona da parte di Bruce è generosa e mai reticente. Ma non meno
preziose sono le altre voci, tra le quali citiamo qui il paroliere Pete
Brown, vero alter ego narrante in tutto il corso del libro; il batterista
John Marshall e il chitarrista Chris Spedding, sugli album che li hanno
visti partecipi; Carla Bley e Ronnie Leahy, che forniscono particolari
inediti su quel quintetto dalla così breve vita; Phillips e Hymas, su un
periodo fertile ma di scarso successo, e quindi solitamente poco trattato;
Kip Hanrahan, su una formazione i cui album vale senz’altro la pena di
riascoltare. E poi manager, tecnici e produttori, figure varie. Completano
il volume una piccola parte
"tecnica", una lunga e curata discografia completa e una cronologia
che da sola è in grado di insegnare molte cose.
Nonostante
gli sforzi, non siamo riusciti a trovare difetti in questo libro. Gli amanti
di Bruce ne faranno senz’altro tesoro. Chi conosce solo qualche capitolo
della sua lunga carriera verrà stimolato a esplorare gli altri.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2010
CloudsandClocks.net
| Mar. 28, 2010