Intervista
a
Roscoe
Mitchell (2001)
—————-
di Beppe Colli
Jan. 26, 2003
Il 1999 era
stato per Roscoe Mitchell un anno di luci e ombre. Molte soddisfazioni
erano venute dalla pubblicazione di Nine To Get Ready, il bell’album
inciso da Mitchell con una Note Factory in formazione allargata. Poi
la grave malattia che aveva colpito il trombettista Lester Bowie aveva
costretto l’Art Ensemble Of Chicago ad andare in tour con il membro
aggiunto Ari Brown ai sassofoni e al pianoforte. Ed era stato in occasione
di uno di quei concerti che avevamo avuto l’opportunità di intervistarlo.
Mitchell aveva parlato a lungo di un progetto che sembrava stargli molto
a cuore: l’incisione di alcune sue composizioni arrangiate per strumentazione
barocca.
Il 2000 vede due date italiane della Note Factory in formazione larga:
due batterie/percussioni, due contrabbassi, due pianoforti, una chitarra
e i fiati del leader. Al festival di Roccella Ionica il gruppo fa faville,
con una lunghissima versione di The Flow Of Things a rappresentare il
lato più scuro e sperimentale della poetica di Mitchell e con
due brani più "leggeri" (il beguine di Choco Poro Merilina
e il funky di The Bad Guys) che si riascolterebbero volentieri su disco.
Il che dovrebbe avvenire di lì a poco, dato che pare imminente
la pubblicazione del concerto di Fano, dove compare la tromba di Leo
Smith, aggiuntosi per l’occasione.
Il
2001 ha appena avuto inizio che giunge notizia di un tour primaverile
di Mitchell con gruppo. Ed è qui che le cose iniziano a complicarsi.
Viene dapprima annunciato un sestetto (e il nome del pianista è
quello di Craig Taborn). Poi si parla di un quintetto (e il pianista
diventa Matthew Shipp). Giungono infine le date: nove concerti in otto
città.
Ed è così che il 29 marzo, alle sei del pomeriggio, ci troviamo
ad assistere alle prove del concerto di Catania. Qui scopriamo che il
pianista è Vijay
Iyer, con il quale abbiamo modo di scambiare qualche parola. Con nostra
grande sorpresa, Iyer ci dice di non aver mai avuto occasione di provare
col gruppo prima dell’inizio del tour!
Il concerto
è comunque molto buono, anche se molto del peso viene forzatamente
a ricadere sulle spalle di Mitchell. Gli altri musicisti sono volti
noti già dai tempi di Snurdy McGurdy And Her Dancin’ Shoes (Nessa
1981): la chitarra di Spencer Barefield, la batteria di Tani Tabbal,
il contrabbasso di Jaribu Shahid. Il repertorio privilegia l’impatto,
con il secondo brano – una composizione che ci sembra di non avere mai
ascoltato, dal tema eseguito al flauto – quale unico momento "cameristico".
L’indomani
ci rechiamo a Messina, dove è previsto un altro concerto della
formazione. Un teatro dall’acustica che favorisce decisamente le atmosfere
più meditative e raccolte e un Vijay Iyer che sembra già
cresciuto in sicurezza e – conseguentemente – in quantità del
contributo danno modo a Mitchell di non replicare se non in minima parte
i titoli eseguiti la sera precedente. A fine concerto Mitchell si dice
disposto a fare un’intervista. L’appuntamento è per l’indomani
mattina, nella hall dell’albergo. E sono passate da poco le 11 quando
il dialogo ha inizio.
Durante
la nostra conversazione di due anni fa in occasione del concerto dell’Art
Ensemble Of Chicago a Catania mi hai detto che quella era l’unica opportunità
che ti veniva data di suonare in Italia – come Art Ensemble Of Chicago,
piuttosto che con le altre tue formazioni. Ma l’anno scorso hai fatto
delle date con la Note Factory – la formazione a nove elementi – e adesso
questo tour con questa nuova formazione: è un segnale che le
cose stanno cambiando?
Beh, sì,
sono stato in alcuni paesi e tornerò a maggio con l’Art Ensemble
Of Chicago e… sì, alcuni paesi… molto numerosi… (ride)
Non so cosa sia cambiato, non so davvero cosa sia cambiato.
Beh… per dare un contesto alla mia domanda, quando ne abbiamo parlato hai
detto che i paesi europei erano diventati molto conservatori…
E’ vero.
…
per ciò che riguarda quale musica d’avanguardia volevano far
vedere in giro. E quindi ti chiedo se le cose a questo riguardo sono
migliorate o no.
Beh, no.
Vedi… c’è un nuovo pubblico che vuole ascoltare questa musica
– intendo dire dal vivo. C’è un bisogno. Vedi, la musica non
è mai stata, per così dire, una cosa che prendi e metti
su uno scaffale, non è così, la musica deve andare tra
le persone. Ma quello che sta accadendo oggi, credo, è che le
persone hanno raggiunto – come dire… un punto di saturazione nei confronti
di coloro i quali fanno questa musica per loro. E questo accade spesso
nell’arte, e quindi come risultato hai un allontanamento da tutto ciò
che è scontato, il che è proprio quello che sta accadendo
negli Stati Uniti, dove ci sono queste popstar che sono in giro per
alcuni mesi e poi spariscono dalla circolazione. Voglio dire, come la
maggior parte delle persone anch’io credo che dobbiamo ritornare a…
a un’arte pura, piuttosto di avere una… un’arte imitativa.
Beh,
sul fatto che ci sia bisogno di un accesso diretto a queste cose non
c’è dubbio; tra l’altro negli anni settanta la radio trasmetteva
spesso cose di qualità – quella pubblica e non poche tra le private
– ma oggi non è più così… e i concerti sembrano
essere rimasti il momento in cui il pubblico ha accesso alla musica
e può vedere come essa si sviluppa durante la serata. Il che
credo sia un’esperienza insostituibile.
Anch’io
lo credo. E’ un’esperienza completa. Anch’io… è così
che mi piace ascoltare la musica quando vado… voglio dire, puoi ascoltare
gli artisti per radio, ma poi puoi anche andare a vederli – in concerto.
E quindi
tornerai in Italia a maggio con l’Art Ensemble Of Chicago?
Sì,
per un concerto a… Venezia.
Se non
vado errato mi avevi parlato di un nuovo album dell’Art Ensemble che
doveva essere registrato in febbraio…
… sì,
ma l’hanno rinviato a settembre, quindi non verrà registrato
prima di settembre. Sarà un disco-tributo a Lester Bowie e uscirà
per la ECM.
A proposito di ECM, non c’era qualche altra cosa che doveva uscire
per loro?
Beh, c’è
il disco dell’Art Ensemble e ce n’è anche un altro che devo fare
per loro con le mie composizioni scritte.
…
perché due anni fa mi hai detto che avevi arrangiato per una
strumentazione barocca alcune tue composizioni …
E’ così.
…
e quindi è quello che uscirà, giusto?
No, no,
quello che uscirà è… ho un pezzo per solo piano – il
titolo è 8/8/88 – e poi un altro per violino e piano chiamato
9/9/99; poi c’è un pezzo per piano e voce baritono con un testo
di Charles Baudelaire – il titolo è Hymn To Beauty – e un altro
per voce baritono, violino, piano, sax alto e contrabbasso, intitolato
The Remorse Of The Dead, anch’esso con un testo di Charles Baudelaire.
L’altra
volta mi avevi parlato di alcuni testi di e.e. cummings…
E’ vero.
…
che dovevano essere usati…
… sì,
sono già stati usati, sono su Full Spectrum Voice di Tom Buckner.
Il pezzo che abbiamo fatto l’altra sera – non ieri sera, la sera prima
– era uno di quelli, il primo pezzo, era una delle poesie di e.e. cummings,
è quello che ho suonato al flauto, l’altra sera.
E così stai usando
testi di Charles Baudelaire.
Esatto.
Cos’è che ti ha
interessato… il senso, l’aspetto fonetico…
Beh…
mi piace la sua poesia – è scura, è una poetica scura.
Quello che faccio quando voglio scegliere delle poesie è leggere
molte poesie, e quello che mi piace di più decide la direzione
nella quale andrò. In questo caso, una mia amica… stavamo parlando
e mi ha suggerito che potrebbe essere stato interessante usare dei testi
di Baudelaire e così mi ha dato delle cose da leggere e per molto
tempo è stata mia intenzione realizzare questo progetto. Adesso
ho completato uno dei pezzi, Hymn To Beauty, e finirò The Remorse
Of The Dead quando sarò di ritorno a casa, tra una settimana.
Queste composizioni avranno la prima a New York a novembre, nella serie
di concerti che si tengono alla Merkin Hall.
Qual è
la strumentazione?
Baudelaire è
per piano e voce, l’altro è per voce, violino, pianoforte, sax
alto e contrabbasso. I musicisti sono Thomas Buckner, voce baritono,
Joseph Kubera, piano, Vartan Manoogian, violino, e poi c’è Leon
Dorsey, che è uno dei bassisti della Note Factory.
Vartan
Manoogian… ricordo un tuo CD su Victo dove lui suonava…
Sì,
Songs In The Wind…
… e suonava
anche…
… sì,
suonava sul CD della Lovely Music… Four Compositions… e suona anche
sull’altro CD della Lovely Music…
…
Pilgrimage.
Esatto.
Ascoltavo questi dischi proprio un paio di giorni fa.
In realtà questo tour avrebbe dovuto vedere la
loro presenza, ma poi non se n’è fatto niente, purtroppo.
Questo tour con…
Sì, dovevano essere in questo tour, ma… ed
erano previsti altri concerti che… che poi in realtà non ci
sono stati, così poi non li ho usati… quello che era nelle
mie intenzioni era di avere un ensemble con una batteria leggera che
mi rendesse possibile suonare dei tipi diversi di musica però…
poi…
E che ne è stato del duo con Thomas Buckner?
Il duo… verrà pubblicato più avanti quest’anno.
Ho la copertina a casa ma… il disco verrà pubblicato… presto.
Su che etichetta?
Uscirà su Mutable Music.
Sei rimasto soddisfatto dei due concerti che ho visto – intendo dal
punto di vista dell’acustica?
Beh, la sala di ieri sera aveva un suono migliore. Credo che la
sala avesse un suono migliore di quella della prima sera. Mi piace…
mi piacciono le sale da concerto.
Anche il pianoforte mi è sembrato migliore.
Sì, quello cambia sempre… cambia da una sera all’altra… a
meno che tu non sia qualcuno ricco che porta in giro il suo piano personale.
Se non mi sbaglio si era parlato di Matthew Shipp – ma non è
potuto venire?
No, Matthew non è potuto venire, così ho preso…
Vijay. Vijay Iyer.
Non lo avevo mai sentito nominare, mi sembra che si stia inserendo bene
nella musica…
Beh, ha studiato… al college ha studiato con dei miei amici…
c’è una tradizione di questa musica che viene trasmessa. Vijay
è… era uno studente eccezionale, è un buon musicista,
e quindi…
Quanti anni ha?
Non lo so, direi senz’altro meno di trenta. Non lo so. Non gliel’ho
mai chiesto. (ride)
E così tu credi che le cose per la musica avant-garde stiano
migliorando?
Sì, certo – negli Stati Uniti. Voglio dire, in Europa credo che
ci si stia sforzando di farle andare meglio. Ho sentito dire che ci
sono molti concerti di avant-garde in Europa. E’ quello che sento dire.
Com’è la situazione della radio negli Stati Uniti?
Nella città dove vivo è senz’altro molto buona, dato che
abbiamo una stazione radio finanziata a livello locale, quindi è
come la radio dei vecchi tempi, hanno una programmazione molto varia,
ma in altri posti dove non ce l’hanno… non ce l’hanno. A Madison,
nel Wisconsin, la radio di cui ti parlo è attiva da quando io
ci abito, non ti saprei dire esattamente da quanto… saranno venticinque,
trent’anni. Ed è sostenuta dalla comunità, così
un paio di volte l’anno raccolgono fondi e la comunità la sostiene.
Questo è molto importante, perché i soli meccanismi
di mercato ti portano…
… da nessuna parte.
Ho comprato la ristampa su CD di Sound, su Delmark, e recentemente
un amico mi diceva che pare che la Sackville dovesse ristampare il tuo
album per solo sassofono…
… no, no, non l’album in solo, non il solo. Hanno detto che non avrebbero
ristampato il solo, credo che sia un trio con George Lewis e Muhal Richard
Abrams, credo che abbiano detto che vogliano ristampare quello, dato
che io ho i nastri dell’album in solo, che mi hanno mandato. Ho chiesto
loro che me li rimandassero.
E quindi quello non verrà ristampato.
No, non credo. Almeno, questa è l’impressione che ho avuto quando
ho parlato con John Norris, circa… forse quattro mesi fa.
Andando a memoria, su Sackville ho il solo di sassofono, poi un album
dalla copertina verde con Muhal Richard Abrams…
… Sì, è quello.
… George Lewis e Spencer…
… e Spencer Barefield – credo proprio sia quello che ristamperanno.
E poi c’è il duo con Anthony…
… Anthony, sì.
… Braxton – quello con la copertina argentata.
Sì, mi piacerebbe trovarlo. Un mio amico me ne ha fatto un nastro.
Ce l’avevo, ma non so dov’è finito. Tu dove l’hai trovato?
L’ho comprato allora.
Ah, tanto tempo fa.
Era appena uscito.
Sì, capisco.
Ci sono tante persone in Italia che stanno scoprendo questa musica
per la prima volta, per esempio Sun Ra: la Evidence ha fatto davvero
un buon lavoro di ristampare – o stampare per la prima volta – cose
alle quali non era mai stato possibile accedere. In Italia gli LP della
Saturn erano impossibili da trovare, e anche quelli su Impulse! non
erano esattamente in ogni negozio. Conosco gente di vent’anni che li
sta scoprendo adesso e che quando li paragona a molte cose che escono
adesso quasi non riesce a credere che quelle cose così avanzate
venissero fatte negli anni cinquanta o nei sessanta…
Certo, sicuramente.
… perché la musica è indubbiamente andata avanti,
ma se pensiamo che Free Jazz è uscito quarant’anni fa e che Sound
è uscito nel sessanta…
… sei.
… ma se li ascolti adesso suonano davvero freschi se li affianchi
a molte cose che ci sono alla radio o sui giornali.
Lo so, lo so… è incredibile. Voglio dire, la gente è
andata indietro. Non lo capisco proprio. Però, d’altra parte,
credo anche che… sì, questi dischi erano grandi ma questa è
l’epoca in cui i musicisti si sono davvero sviluppati, e ci vuole davvero
tanto tempo per arrivare a certi risultati, quindi credo che questo
sia il momento migliore, lo credo davvero.
Beh, non intendevo dire "quelle erano le vette"…
… oh, sì, sì, lo capisco, lo capisco.
… ma ci sono persone di vent’anni che non sono molto impressionate
da cose nuove alle quali è per loro agevole avere accesso e quando
ascoltano Free Jazz si rendono conto che la storia raccontata dai media
è incompleta.
Sì, certo.
Ma tu, quando riascolti Sound, come lo vedi adesso, alla luce del
tuo sviluppo?
Beh, una cosa che credo a proposito dei musicisti dell’AACM è
che mi sembra che la gente dell’AACM sia stata espulsa dalla musica
per quanto riguarda l’avere accesso ai concerti e le opportunità
di lavoro e l’essere in grado di produrre quello che ci si aspettava
da loro. Voglio dire, tu hai visto che io sono venuto con questo quintetto,
questo e quell’altro e così via, ma abbiamo altri progetti dei
quali la gente non sa assolutamente nulla. Potrebbe essere diverso con
questo nuovo pubblico – forse – rispetto a quello che era il pubblico
del passato, per esempio quando Coltrane ha cominciato a cambiare la
sua musica tra chi lo ascoltava c’è stato chi lo ha seguito e
chi no. Ma adesso c’è un pubblico in grado di capire uno spettro
di musiche più vasto, a mio parere, ed è a questa gente
che dovremmo portare la nostra musica, voglio dire, se parliamo di opera,
Muhal Richard Abrams, Anthony Braxton, Wadada Leo Smith, e così
via, questi sono musicisti monumentali, che possono indicare la via
nell’opera, nella musica da camera, in quella da big band, ma non vengono
date loro le giuste opportunità, perché c’è chi
pensa che al posto loro si possano portare degli imitatori che ne possano
seguire le orme, il che non è affatto avvenuto, e questo è
il motivo per cui la musica in questo momento è in uno stato
disastroso, perché quello che vedo provenire da un sacco di persone
che copiano la musica e che ne hanno compreso solo un po’ e quindi…
vedi, è quello che succede con quelli che… che non guardano
dentro se stessi, perché se tu guardi dentro te stesso e scopri
cosa c’è dentro di te allora puoi andare avanti all’infinito,
ma se io guardo dentro di te e cerco di fare quello che fai tu allora
non sarò mai nulla, perché starò sempre ad aspettare
di vedere quello che farai. E questo non è il modo giusto di
insegnare alle persone: le università hanno avuto una parte importante
nel distruggere un sacco di gente, nel distruggere le loro vite e…
li hanno preparati per… per delle situazioni irrealistiche che in
realtà non esistono… e quello che adesso vediamo è una
sorta di ribellione da parte degli studenti, che in un certo senso si
sentono frodati, perché vanno in queste università dove
pagano delle rette esorbitanti – almeno negli Stati Uniti è così,
non so com’è qui – pagano queste rette enormi e poi quando escono
pensano "E adesso che faccio?". Mentre in posti dove gli studenti
hanno ricevuto un insegnamento diverso, ad esempio il Creative Music
Studio a Woodstock…
… dove c’era Karl Berger, sì…
… ho appena ricevuto un messaggio da un musicista che mi diceva che
è bello adesso cominciare a preservare l’eredità che ha
ricevuto lì; ma quello che vedo a proposito di quella scuola
è che… i musicisti che provengono da lì e che adesso
hanno una carriera hanno delle basi molto più solide proprio
perché hanno avuto accesso al giusto tipo di insegnamento.
L’anno scorso ho intervistato un musicista che aveva frequentato
quella scuola, Nick Didkovsky – è un chitarrista e compositore
che scrive anche software – che mi diceva che era stato pubblicato un
libro a proposito di quella scuola. Ma molta gente non sa nemmeno che
queste cose siano avvenute – se non ricordo male l’Art Ensemble Of Chicago
una volta ha fatto una settimana di insegnamento lì…
Sì, è vero.
… se ne parlava in uno dei primi numeri che ho visto di una rivista
chiamata Musician: c’era un lungo servizio a proposito dell’Art Ensemble
Of Chicago, firmato da Rafi Zabor, e l’Art Ensemble era in copertina…
Sì, sì, me lo ricordo.
… insieme a George Clinton, il che credo sia molto importante per
il lettore…
… oh, sì, sicuramente molto importante per il punto di vista
del lettore. Oggi tutto è così confuso, devi davvero andarti
a cercare le cose per trovarle – ma la cosa buffa a proposito dell’arte
è che l’arte di qualità torna sempre alla superficie…
vedi, non importa quello che la gente cerca di fare – è una cosa
che è successa spesso nel corso della storia, che la gente abbia
cercato di sopprimere l’arte e così via, ma non vincono mai,
perché l’arte di qualità riesce sempre ad emergere.
L’accesso è molto importante, perché se la gente deve
già sapere dove cercare, spesso non verrà mai a contatto
con…
E’ vero.
Albert Ayler è molto conosciuto, dato che alcuni gruppi –
soprattutto americani, e di estrazione rock – affermano di essere stati
influenzati dalla sua musica, anche se devo dire che mi sembra un classico
caso di fare un nome che ti dà lustro – ho visto qualcosa dal
vivo e il collegamento mi è parso inesistente. Ma se non sbaglio
tu hai conosciuto Ayler, quando eri…
… nell’Esercito, in Germania. Io ero ad Heidelberg, lui lì
vicino, e quindi a volte ci si riuniva e si mettevano insieme dei gruppi,
e si suonava. Sì, Albert Ayler era… c’erano tante persone,
allora, che erano straordinarie, e che non hanno avuto l’opportunità
di fare niente, così spero che… non so se le cose cambieranno,
ma spero di sì, sarebbe bello, perché mi piace andare
ai concerti e vedere artisti che mi stimolano musicalmente, quindi sarebbe
bello che ai veri creatori di questa musica venissero date maggiori
opportunità. So che… negli Stati Uniti ci sono dei club dove
questa musica viene suonata molto spesso, e c’è questa spinta
a fare musica improvvisata, la chiamano "European Improvised Music".
"European…"?
"European Improvised Music". Voglio dire, ho sentito il nome
che usano loro. E quindi è sicuramente un periodo in cui nella
musica verrà tracciata una linea, e alcuni saranno in grado di
giungere a quella linea… e altri no. E questa è… questa è
la differenza, credo.
Ma sui media – penso al periodo di Ornette Coleman – alla fine degli
anni 50, ai primi dei 60, c’era uno spazio di gran lunga maggiore sulla
stampa…
… oh sì, certamente.
… e c’era questa cosa chiamata "avant-garde" cui si dava
ampio spazio, come un importante evento culturale da andare a vedere,
e poi ciascuno poteva farsi la propria idea in proposito e decidere
se gli piaceva o no, ma il New York Times, ad esempio, segnalava la
presenza di un fatto, e quando vedi la domanda – "E’ arte o no?"
– sei stimolato ad andare a farti un’idea. Ma oggi questo tipo di rilevanza
sui media non c’è più, a meno che non siano dei media
specializzati, ma a quel punto bisogna già sapere dove andarsi
a cercare le informazioni.
Sì, quello di cui abbiamo bisogno nei media sono persone che
seguono un loro percorso, sembra quasi che i media siano annoiati o…
non so cosa sia… molto tempo fa c’erano molte più persone che
avevano la loro idea su come presentare i materiali sui media. Ora sembrano
tutti dei cloni, tutti dicono le stesse cose su tutte le stazioni di
notizie… Credo che i giovani abbiano paura di fare qualcosa di diverso,
perché se lo fanno saranno molto probabilmente licenziati. Credo
che ci sia una tendenza a cambiare questa situazione in cui tutti sono
uguali, perché noi non siamo tutti uguali, ognuno di noi è
diverso, e quello che ci rende speciali è che siamo tutti diversi.
E credo che ci siano dei segni di cambiamento, nei media, nella musica,
nell’arte che vedi nelle gallerie, nei libri…
Oggi James Joyce non troverebbe un editore.
No, no, no, no… no, probabilmente no. E’ più interessante quando
hai qualcosa che ha un’ampia risonanza, che raggiunge un ampio spettro
di persone, e poi, come dicevi, ognuno si fa la propria idea – vai a
vedere qualcuno e se ti piace ti piace, se non ti piace non ti piace.
Se posso vado a vedere anche cose per le quali non vado pazzo, ma
devo dire che il livello di abilità tecnica media di chi suona
è sceso parecchio; negli anni 60 c’erano dei gruppi rock, ad
esempio i Cream, che avevano un alto livello di capacità tecnica
e di intelligenza e che ascoltati oggi sembrano suonare una musica strana
e incomprensibile… oggi molti sono abituati a dei formati brevi, compatti
e ripetitivi, e i Cream sembrano quasi un gruppo jazz. E mi chiedo quanto
il video sia responsabile.
Sì, ma c’è un’altra cosa: quelli che fanno video potrebbero
salvare la gente, ma quando guardi alcuni di questi video ti sembrano
davvero stupidi. Credo che… forse non riuscirò a vederlo (ride)
ma credo che le cose avranno un sovvertimento, e credo che non sia giusto
che i giovani non lancino delle sfide, non va bene, perché allora
non stai preparando chi viene dopo di te; e questo è ciò
che vedo nei giovani, che sono in cerca di qualcosa che sia in relazione
alle loro vite, e questo è giusto.
Parlando di media, recentemente ho letto un articolo su una serie
televisiva in dieci puntate andata in onda negli Stati Uniti, chiamata
Jazz, che al momento non ricordo da chi fosse diretta…
Ken Burns.
Sulla P… B…
P.B.S.
L’hai vista?
No, non l’ho vista, ma della gente che conosco l’ha registrata e forse
ne vedrò delle parti. Ho sentito dire che alcune cose sono buone,
mentre altre sono ovviamente dirette a promuovere le idee del Lincoln
Center, di Stanley Crouch e dei Marsalis. E non hanno… mi è
stato detto che non hanno dedicato molto tempo a dire qualcosa sulla
musica degli anni sessanta, c’era giusto qualche cosa, mi pare, su Cecil
Taylor, Ornette Coleman e forse sull’Art Ensemble. Moltissimi non sono
stati nemmeno nominati. E in conseguenza di ciò ho ricevuto molte
e-mail da tanta gente che mi diceva quello che ne pensava. Credo che
alla base ci sia stata una ricerca su quali dei "dischi classici"
vendono di più. Ma la situazione negli Stati Uniti è che
i giovani stanno cercando di suonare… avant-garde (ride), i
giovani suonano avant-garde, e così il Lincoln Center… ovviamente
ha un’enorme quantità di soldi a disposizione, ma ha tolto soldi
ai migliori, perché la gente dà tanti soldi al Lincoln
Center e poi ci sono tanti che ricevono salari enormi per essere artisti
che ri-creano. Così è interessante vedere che succederà;
come ho detto, da un lato ci sono i giovani che cercano di fare qualcos’altro
e dall’altro hai il Lincoln Center che cerca di… non so cosa stia
cercando di fare… beh, non è collegato in alcun modo allo sviluppo
del jazz – per come lo ricordo io. Il jazz non è mai stato una
musica che a un certo punto si è fermata. Sarà interessante
vedere che succederà e anch’io sto ad aspettare. E tutta questa
serie di nuovi pezzi che sto scrivendo sono a un alto livello di complessità
tecnica, così anch’io credo che la gente dovrà essere
all’altezza. Staremo a vedere come andranno le cose.
Ho letto un articolo su questa serie, scritto da Francis Davis.
Sì, Francis Davis, sì.
L’ha scritto un paio di mesi fa per The Atlantic – l’ho letto sul
loro sito – e nell’articolo diceva che il programma aveva un’agenda
dettata in parte dal Lincoln Center…
… sì! ha ragione.
… e che non rappresentava, dagli anni 60 in avanti…
No, non l’ha fatto. Vedi, Francis Davis è in giro da un sacco
di tempo, ha scritto un mucchio di articoli – ed è questo ciò
che voglio dire, c’è tanta gente in giro che sa come stanno davvero
le cose, e questa gente è stata… sottovalutata, ma è
ancora attiva. C’è gente che aveva una visione personale ed è
rimasta percettiva, e Francis Davis è uno di loro. Ha scritto
molti articoli, su di me e sull’Art Ensemble Of Chicago, tanto tempo
fa.
Ora che ci penso, credo proprio che sia stato lui a scrivere il primo
articolo su di te che ho visto su un giornale ad alta tiratura, Musician,
mi pare nel 1984, e l’articolo è stato poi ristampato nella sua
prima raccolta, In The Moment. Ma per tornare all’argomento della padronanza
dello strumento, credo che per molti essa equivalga a suonare più
velocemente dentro gli accordi, e quindi molti – specialmente in campo
rock – respingono l’idea come vuoto virtuosismo… come un andare più
veloce che è privo di uno scopo musicale.
Sì, non va bene, non va bene. Ma credo che sia di nuovo venuto
il momento di sfidare i musicisti, in un certo senso; voglio dire, con
brani che siano tecnicamente… che chiedano loro molto. E ci sono musicisti
che magari non suonano molto spesso (ride) ma che sono ancora
in giro, e questi altri pezzi che sto facendo adesso sono tecnicamente
molto difficili – specialmente per Joseph Kubera, ma lui è un
grande, grande pianista; e anche il pezzo per violino e piano è
tecnicamente difficile e naturalmente Vartaan è un grande violinista.
Per molto tempo non sono più riuscito ad ascoltare rifacimenti
di pezzi di Monk: lui mi piace molto, ma le interpretazioni sono spesso
scolastiche e banali, con una certa fretta di correre verso gli assolo
dopo il tema, a spese della composizione.
Lo so, lo so. Ma vedi, molti hanno dentro tanta confusione, ed è
un tratto generazionale proprio a tanti. Sfortunatamente tutto ciò
non ha nulla a che vedere con un vero contenuto, e quindi… è
ora che tutto questo finisca, non credi? Tanti musicisti seri non vogliono
più suonare in pubblico. Io, per esempio. Io voglio stare a casa
a lavorare. Se vado a suonare per fare qualcosa che… che non ha senso
allora faccio meglio a starmene a casa, perché ci sono delle
cose alle quali sto lavorando. E se guardo me stesso devo dire che questo
è un periodo importante, e devo essere attento nei riguardi di
come uso il mio tempo, altrimenti non riuscirò a portare a termine
quello che mi sono prefisso di fare. E così, questo è
un atteggiamento attualmente molto diffuso. Molti musicisti non vogliono
più tornare in Europa…
In Europa?!
… non ci vogliono tornare, se l’Europa dev’essere un posto dove, in
primo luogo, si dice che non abbiamo creato la musica che abbiamo creato
e, in secondo luogo, se l’unica cosa che la gente vuole ascoltare sono
delle band di principianti, allora… sì, questo è un
modo di pensare diffuso, perché questo è un periodo molto
importante… e suonare tanto per suonare… non è un modo molto
sensato di impiegare il tuo tempo.
Ma scusa, credi che in Europa girino storie false su chi ha inventato
cosa?
Sì, certo, credo che non si riconosca il giusto credito a che
ha davvero creato le cose. Dimmi, ti capita di vedere Muhal Richard
Abrams da queste parti?
No.
E’ così che vanno le cose, e questo è male, perché
il pubblico sta seduto a vedere gente che non sa quello che fa e così,
per molti le cose sono diventate… di scarso interesse.
Vedo su Down Beat che alcuni musicisti europei suonano a Chicago…
… grazie a John Corbett – hanno un club lì, mi pare che si
chiami The Empty Bottle. E quindi ci vanno. Non penso affatto che ci
sia nulla di male, ma credo che anche la gente che è musicalmente
creativa dovrebbe essere invitata – e questo non accade. Ma c’è
anche un’altra cosa: un sacco di musicisti giovani lavorano per niente
– niente soldi. I musicisti avrebbero bisogno di organizzarsi, di tornare
ai principi dell’AACM, del Creative Music Studio, del CAC, del BAG,
dove i musicisti avevano dei ruoli attivi nel controllo del loro destino,
perché in caso contrario… la gente se ne accorge, vede che
i musicisti non sono uniti e questo rende più facile approfittare
di loro.
E’ da molto che non sento di un tour di Muhal Richard Abrams.
E di un tour di Anthony Braxton?
No.
E di un tour di Peter Brötzmann?
Qualcuno.
E di John Zorn, ne hai sentito parlare?
Sì.
E di Tim Berne? Sai se suona? Così cominci a capire come vanno
le cose.
Ma tu consideri davvero John Zorn come qualcuno che non ha fatto
mai nulla di valido?
Beh, non ho troppa familiarità con la sua musica, sono andato
ad ascoltarlo quando ero a Madison, una volta, e non è stato
un buon concerto; non so, può capitare a tutti di avere una serata
no, però… non era… Guarda, l’unico modo di giudicare la gente
è questo: questa gente, cos’hanno fatto, cos’hanno dato – di
originale? E allora, se non hanno fatto nulla di originale, a mio modo
di vedere, devo metterli in un’altra… categoria: c’è chi ha
creato… e chi è venuto dopo… e ha imitato. Ed è così…
per me. E’ così che sono cresciuto. Voglio dire, se qualcuno
cercava di cantare come Nat King Cole la gente diceva: hey, aspetta
– sta cercando di cantare come Nat King Cole. Sta cercando di imitare
Charlie Parker. E per me la cosa non cambia, sarà sempre così.
Saremo sempre misurati da quello che facciamo. E se tu non ha mai fatto
niente… vedi, gente come Muhal, Anthony Braxton, George Lewis non
esaurirà mai le idee, ma chi non è come loro sì,
perché non ha mai avuto un’idea. Ed è questo l’insegnamento
che do ai miei studenti: guardare dentro se stessi. E’ facile essere
te stesso, è difficile essere un altro. Non puoi essere un altro,
è facile essere te stesso, perché in un certo senso tu
addestri te stesso, sviluppi le tue idee, e la stessa fonte che ti ha
dato quelle idee continuerà a dartene di nuove.
Scusa, a chi si ispira John Zorn secondo te?
E’ uno studente di Julius Hemphill. E anche Tim Berne. E John Zorn è
anche uno studente di Anthony Braxton.
Guarda, mi trovo in una posizione difficile, perché a me Zorn
piace poco…
… io non conosco molto bene la sua musica.
… ma lui ha fatto molte cose, come le "scored improvisations"…
… ma quella è una mia espressione, "scored improvisations"!
… stavo solo cercando di farmi capire…
… ok, ok, continua.
… Zorn ha lavorato in molti campi, e ha riconosciuto parecchie
influenze, ad esempio Carl Stalling…
… vedi, il fatto è che quello che lui fa l’AACM l’aveva già
fatto, negli anni 60. Ma… credo che ci sia uno sforzo per sopprimere
gli artisti creativi, e sfortunatamente… questo ha fatto prendere
una strada sbagliata a tanta gente. Quello che accade a molti miei coetanei
è che insegnano nelle scuole, dove hanno a che fare con tutte
queste faccende di corridoio, non hanno mai ricevuto il giusto credito
per la musica che hanno creato, e quando gli studenti finiscono gli
studi danno più soldi a loro che alla persona che ha creato la
musica. Nel caso di Jackie McLean, i suoi studenti guadagnavano di più
di quanto davano a lui quando suonava. E questo è un problema
che va risolto.
Vorrei tornare a un argomento precedente. I tuoi progetti quindi
erano di portare una strumentazione più ampia di questa formazione
a cinque?
Avrebbe dovuto essere il New Chamber Ensemble insieme ad alcuni altri
musicisti, avrei dovuto avere Craig Taborn al piano, e Leon Dorsey al
basso, e inoltre… Gerald Cleaver alle percussioni, come il vibrafono…
E cosa è successo, problemi di budget?
Non lo so cos’è successo, so solo che non è stato quello
che si diceva dovesse essere. E’ tutto quello che so. La gente ha detto
una cosa e poi… non è avvenuta.
Perché l’anno scorso, a Roccella Ionica, il concerto della
formazione con due pianoforti è stato molto stimolante, e la
tavolozza timbrica era molto ampia…
Vedi, avrei voluto dire: questa è una delle cose che facciamo,
con i giusti mezzi possiamo… possiamo fare grandi cose. Recentemente
ho fatto una serie di pezzi per percussione, e quando un giorno la gente
si accorgerà di tutto quello che abbiamo fatto… siamo stati
polistrumentisti, compositori, insegnanti, uomini d’affari… Infatti
ci vuole tutto il nostro tempo per creare la nostra arte (ride).
Però, vedi, i miei amici che non ti avevano mai sentito dal
vivo e che ti hanno visto adesso, a Catania, due sere fa, a meno che
non si vadano a cercare i tuoi dischi – e quelli della Lovely, per esempio,
non erano facili da trovare nemmeno quando sono usciti – non possono
situare quello che è stato presentato nella giusta prospettiva,
quindi per loro quel concerto è tutto quello che tu fai.
Sì, lo so. Lo so. Lo so. Vedi… non so, forse ci sono problemi
in questo tipo di situazioni, ed è per questo motivo che ho deciso
di rivolgermi a più di un tipo di situazione, più di un
tipo di posti… i posti dove la gente ascolta davvero musica da camera,
musica da camera moderna. Ho fatto pezzi anche in quei contesti. Ma
sicuramente il pubblico di oggi è pronto ad ascoltare cose molto
diverse tra loro.
Insegni, a Madison?
No, non insegno. Imparo (ride) – di questi tempi ho del lavoro
da fare. Non capisco come si possa insegnare. Imparo. Ho solo qualche
studente di tanto in tanto.
Hai idea di cosa stia facendo Henry Threadgill?
Credo che sia tornato a New York, per dei concerti. E’ da molto che
non gli parlo. Credo che lo chiamerò non appena sarò a
casa.
Ha fatto tre CD di fila per la Columbia con la produzione di Bill
Laswell…
… non credo che incida più per loro.
L’ho visto in concerto molto tempo fa, col Sextett, negli anni 80,
quando era con la RCA, ed è stato un bel concerto – l’impianto
era scadente, ma il pubblico ha risposto. Ed è un peccato, perché
credo che se porti le cose in giro la risposta c’è.
Sono d’accordo. Ho mandato della musica a una delle più grosse
case discografiche e un dirigente mi ha scritto una lunga lettera nella
quale mi diceva che a lui la musica era piaciuta molto (ride)
ma che non credeva che gli altri nella casa discografica sarebbero stati
disposti a fare nulla; ha detto che poteva sentire che si trattava di
una musica diversa, di ottima qualità, ma che l’etichetta aveva
intenzione di riportare alla ribalta gli Young Lions o chissà
chi. Era molto bello quando c’erano più etichette indipendenti,
forse gente come Chuck Nessa farà qualcosa.
Ed è esattamente a questo punto che termina il secondo lato della
C60 usata per l’intervista. Chiediamo a Mitchell se possiamo inserirne
un’altra nel registratore, ricevendo risposta negativa ("Non credo
di avere più molto da dire"). Poi parla per altri venti
minuti buoni. Si informa del bilanciamento dei suoni del primo dei concerti
cui abbiamo assistito ("Si sentiva troppo la chitarra rispetto
agli altri strumenti?" Sì. "Era quello che sospettavo"),
esprime il suo disappunto per il fatto che il CD con il concerto della
Note Factory a Fano non sia stato ancora pubblicato ("Avrebbe dovuto
essere in vendita in contemporanea al tour…") e dice tante altre
cose che non ricordiamo. Oggi è un giorno libero ("e piove!"),
domani si parte per Roma.
Discografia selezionata
Per la serie "l’ottimo è nemico del bene" abbiamo privilegiato,
tra gli album a nostro avviso maggiormente validi, quelli (ri)stampati
su CD. Solo qualche eccezione, per titoli fondamentali – il mercato
delle ristampe è in continua evoluzione.
Art Ensemble Of Chicago
1967/68
(5 CD) (Nessa)
People In Sorrow
(’69) (rist. insieme a Les stances à Sophie come 1969-1970) (Emi Jazztime)
Bap-Tizum (’72) (Atlantic)
Fanfare For The
Warriors (’73)
(Atlantic)
Nice Guys (’78) (ECM)
Full Force (’80) (ECM)
Urban Bushmen (’80) (ECM)
Roscoe
Mitchell
Sound (’66) (Delmark)
Solo Saxophone Concerts (’73/’74) (Sackville) (fuori catalogo)
Nonaah (’77) (Nessa) (f.c.)
L-R-G/The Maze/S II Examples (’78) (ristampato Chief)
Snurdy McGurdy And Her Dancing Shoes (’80) (Nessa) (f.c.)
3X4 Eye (’81) (Black Saint)
New Music For Woodwinds And Voice (’81) (1750 Arch, rist. Mutable
Music)
And The Sound And Space Ensembles (’83) (Black Saint)
An Interesting Breakfast Conversation (’84) (1750 Arch, rist.
Mutable Music)
Four Compositions (87?) (Lovely Music)
Duets And Solos (with Muhal Richard Abrams) (’90) (Black Saint)
This Dance Is For Steve McCall (’92) (Black Saint)
Pilgrimage (’94?) (Lovely Music)
Hey Donald (’94) (Delmark)
Sound Songs (’94) (Delmark)
First Meeting (with Borah Bergman) (’94) (Knitting Factory)
In Walked Buckner (’98) (Delmark)
Nine To Get Ready (’98) (ECM)
8 O’Clock: Two Improvisations (with Thomas Buckner) (2001) (Mutable
Music)
Song For My Sister (2002) (PI Recordings)
Partecipazioni
Anthony
Braxton – Creative Music Orchestra (’76) (rist. RCA Bluebird)
George Lewis – Shadowgraph (’77) (Black Saint)
George Lewis – Voyager (’93) (Avant)
Tom Hamilton – Off-Hour Wait State (’95?) (O O Discs)
Matthew Shipp – Duo (’96?) (2.13.61)
© Beppe Colli 2001 – 2003
CloudsandClocks.net
| Jan. 26, 2003