Bobby Previte & Coalition Of The Willing
Centro Zo, Catania
March 15, 2006
Diremmo
altamente probabile l’eventualità che il nome Robert/Bobby Previte
richiami alla mente, per associazione di idee, quelli di "Downtown
Jazz" e di "Knitting Factory": laddove la prima era l’espressione
di comodo che nei primi anni ottanta ambiva definire – e pubblicizzare
– un gruppo di musicisti dall’approccio altamente fluido qualora considerato
singolarmente, ma del tutto inesistente se visto nel suo (presunto)
aspetto sommatorio; mentre il secondo era il nome del piccolo locale
che di tali musiche d’avanguardia divenne in breve tempo il luogo deputato
e, più avanti, anche un "marchio di garanzia" di discreto
successo. Diremmo anche assolutamente inevitabile che il nome di Previte
vada pressoché automaticamente a collegarsi a quelli di John
Zorn, Elliott Sharp e Wayne Horvitz, per citare solo tre dei musicisti
che ben ne impiegarono le notevoli abilità strumentali. Ma oltre
che batterista e percussionista Previte era anche un compositore, come
dimostrarono – a partire dalla metà degli anni ottanta, e nel
giro di pochi anni – album quali Bump The Renaissance, Pushing The Envelope,
Claude’s Late Morning ed Empty Suits. Fu grosso modo a quel punto che
sospendemmo la nostra frequentazione: la musica di Previte non ci suonava
mai priva di meriti, ma dato che denaro e (soprattutto) tempo sono (ahimè!)
grandezze per definizione finite, i due bei volumi incisi dal collettivo
denominato The New York Composers Orchestra (l’album omonimo del 1990,
e il First Program In Standard Time di due anni dopo) costituirono l’ultima
occasione in cui lo ascoltammo all’interno di un continuum coerente.
Ritroviamo
Bobby Previte in compagnia del chitarrista a otto corde Charlie Hunter
sulla copertina del numero di gennaio del mensile statunitense Down
Beat. Buona parte dell’intervista è dedicata al rapporto tra
i due, con particolare attenzione al gruppo a identità variabile
denominato Groundthruther. Tra i progetti futuri, un gruppo (e un album)
denominato Coalition Of The Willing, dove Hunter suonerà per
la prima volta una chitarra a sei corde (una Telecaster). "Non
hai veramente vissuto se non hai sentito Charlie suonare una chitarra
normale. E’ un dio della chitarra": così Previte. E quando
ci accorgiamo che il gruppo suonerà a due passi da casa nostra
(il concerto fa parte della rassegna della Provincia di Catania denominata
EtnaFest) decidiamo immediatamente di arricchire la nostra vita e acquistiamo
il biglietto. E’ però con un certo disappunto che ci accorgiamo
che il concerto non godrà dell’apprezzabile acustica del Teatro
Sangiorgi ma sarà tenuto al Centro Zo, che coproduce l’evento.
Ora, se l’acustica di Zo fosse di qualità paragonabile alla gentilezza
del personale del suo bar forse la Carnegie Hall avrebbe trovato un
concorrente; ma così non è, come tre anni di concerti
effettuati in condizioni acustiche in gran parte disastrose hanno ormai
dimostrato. E’ pur vero che di recente le lunghe e meticolose prove
del quartetto di Phillip Johnston (che però era privo di batteria)
erano apparse avere ragione di quell’antro. Si sarebbe ripetuto il miracolo?
La
formazione: Hunter, Previte, Steve Bernstein (lo conosciamo: The Lounge
Lizards, Spanish Fly, Sex Mob) alla tromba (anche "a coulisse"
– o "slide") e il giovane (ma con curriculum già ricco)
Marco Vincent Benevento alle tastiere in luogo di un prima annunciato
Jamie Saft. Il pubblico: circa duecentocinquanta persone, con la celebre
"tribuna estraibile" al completo e gente sparsa qua e là.
Il palco: sembra uno showroom della Fender; da sinistra, un Deluxe Reverb
e dietro un altro combo più piccolo; poi la batteria, e un altro
combo Fender; poi un organo – che pare proprio… un Hammond C3! (il
telaio ha visto giorni migliori, e si vedono le valvole) con Leslie
– e una piccola tastierina, più un classico Ampeg per basso,
del tipo testata più cassa; un altro combo Fender, e due aste
con microfoni, uno dei quali è un microfono normale, mentre l’altro
ci sembra in stile "bullet" della Shure (quello, per intenderci,
che di solito viene usato per l’armonica a bocca). Per come l’abbiamo
capita, la cosa funziona così: Hunter, con Telecaster, usa il
primo amplificatore; il tastierista manda i tasti bassi dell’Hammond
all’Ampeg, e per il resto usa Leslie e Fender; fatto ingegnoso, la tromba
va (alternativamente) nel microfono "normale" quando deve
suonare "acustico" e nel "bullet" quando deve suonare
"elettrico": verrà sovente adoperato un pedale wha-wha,
e anche un digital delay a pedale, con il tipico effetto campanulare
da modulatore ad anello nello spegnersi del delay.
I
musicisti salgono sul palco, Previte va al microfono e – dopo i convenevoli
– dice: "Questo è il primo concerto che facciamo, e siamo
davvero belli carichi". Poi si siede e partono. E’ un disastro:
bassi che distorcono, chitarra scarsamente udibile, batteria assordante
(in uno spazio piccolo!), tromba così. (Ma l’avranno fatto il
sound-check?) Fatta l’abitudine al suono, una logica viene fuori: Hunter
si divide tra un accompagnamento incolore e delle rare uscite con un
minimo di grinta; il basso funge da continuo "pedale" (e sarebbe
gustabile se non suonasse sempre distorto), mentre l’organo si ricorda
spesso di Jimmy Smith e talvolta della psichedelia made in USA; Bernstein
fa i temi, le parti melodiche, gli assolo con wha-wha, il Miles acustico
e i loop con il delay; Previte fa un casino: bravo è bravo, sciolto
è sciolto, ma soffoca tutto e tutti. I pezzi sembrano scritti
in modo "modulare" – parte A, parte B, poi suoni tu con me
e poi rifacciamo A tutti insieme, e così via – e si vedono le
cuciture che è un piacere; il materiale è tutto già
sentito, e non ha nessuna ambizione se non quella di piacere (così
si è ridotta l’America?). Rock è rock, però come
quello che suonano i musicisti che non sono rock: insomma, è
fusion. A un certo punto Hunter parte con un riff che più che
rock-blues è boogie metà anni settanta e Previte lo spinge
con ammirevole grinta: è davvero orribile. Bernstein fa un figurone;
in certi momenti pare quasi a disagio, ma forse la sua è solo
umana timidezza.
A
concerto finito ci piacerebbe scambiare quattro chiacchiere, o ascoltare
qualcuno. Ma i tempi non sono più quelli: vanno tutti fuori a
fumare (tabacco: dentro, ovviamente, non si può). Chissà
se nelle date dopo la prima hanno suonato così.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net | March 31, 2006