Intervista a
Peggy Lee (2005)
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di
Beppe Colli
Feb.
13, 2005
L’ascolto
a distanza ravvicinata di due album di recente pubblicazione che la
vedono presente quale "compositore istantaneo" (il CD Intersection Poems, a nome Horvitz/Samworth/Lee/Clark/van der
Schyff) e compositore tout court (Worlds Apart,
terzo lavoro della Peggy Lee Band) ci ha convinto che i tempi erano
maturi per fare una conversazione con Peggy Lee.
Violoncellista
da noi incontrata per la prima volta su un album del chitarrista e compositore
canadese René
Lussier che vedeva la partecipazione della NOW Orchestra (Le Tour Du
Bloc, 1995), e poi su due album del trombonista George Lewis che vedevano
presente la suddetta formazione: Endless Shout (2000) e The Shadowgraph
Series (2001). Se il trio di improvvisazione con il batterista Dylan
van der Schyff e il sassofonista e clarinettista Michael Moore presente
sul live Floating 1…2…3 (2002) la mostrava perfettamente a suo agio,
gli album a nome Peggy Lee Band da noi ascoltati – Sounds From The Big
House (2002) e Worlds Apart – dicevano di una scrittura pulita decisamente
degna di nota.
Quello
che segue è il risultato di una conversazione avvenuta la scorsa
settimana tramite posta elettronica.
Mi piacerebbe
sapere come hai iniziato a sviluppare un interesse per la musica – che
tipo di musica trovavi stimolante, il motivo per cui hai scelto il violoncello
e così via.
Beh,
ho cominciato a suonare il violoncello all’età di tredici anni
perché la scuola alla quale mi ero iscritta era nota per il suo
programma orchestrale. Avevo già preso lezioni di piano e di
chitarra ma il violoncello divenne rapidamente il mio strumento. Naturalmente
ascoltavo molta musica classica, ma ascoltavo molto anche i Beatles,
Joni Mitchell e Bob Dylan. La musica improvvisata e il jazz vennero
molto più avanti, quando capii che non ero tagliata per suonare
nelle orchestre e che intendevo avere voce in capitolo nel mio viaggio
musicale.
Il primo
disco che ho comprato nel quale suoni è Le Tour Du Bloc di René
Lussier. Vuoi parlarmi di quell’esperienza – come ha avuto luogo, come
la vedi oggi, eccetera?
Le
Tour du Bloc è stato un progetto davvero stimolante. Sono rimasta
davvero conquistata dalla scrittura di René e dal modo in cui
incorporava in essa le improvvisazioni. Ho anche pensato che è
riuscito a trovare il posto giusto per mettere in ottima luce ciascuna
delle personalità individuali (davvero un’impresa notevole, se
consideriamo che non risiede a Vancouver e che per lui eravamo tutti
degli sconosciuti).
La NOW
Orchestra ha collaborato con grandi musicisti come Barry Guy, George
Lewis (su Endless Shout e The Shadowgraph Series), Vinny Golia… sono
sicuro che ce ne sono state altre che non conosco. Me ne vuoi parlare?
Ciascuna
collaborazione della NOW Orchestra ha tirato fuori dalla band un suono
diverso, e abbiamo imparato da ciascuno di questi artisti. Barry ha
un’energia incredibile dalla quale è impossibile non essere trascinati.
Le performance sono sempre molto stimolanti. Durante le prove George
ci ha messo davvero alla prova con le sue composizioni, ma ha anche
un’energia esecutiva molto dinamica, e lo stesso vale per Vinny. Ritengo
che sia Wadada Leo Smith che Butch Morris abbiano adottato un approccio
più interno, spingendo verso tessiture più sottili. Sono
state tutte buone esperienze.
Compari
su molti CD in compagnia di Dylan van der Schyff – so anche di un CD
in duo (che non ho mai ascoltato). Mi è molto piaciuto il CD
che avete inciso in trio con Michael Moore, Floating 1…2…3. Vuoi
parlarmi del tuo rapporto musicale con la sua batteria?
Beh,
lavoro con Dylan da quando improvviso, quindi la sua influenza sul mio
sviluppo di musicista creativo è immensa. Gli devo molto ma è
sempre stato tutto così facile… Ricordo quando ha suggerito
che registrassimo un duo di improvvisazioni e io non ero affatto sicura
ma non appena abbiamo iniziato a suonare la musica ha cominciato a fluire
senza sforzo. Mi godo ogni opportunità che abbiamo di suonare
insieme, il che sfortunatamente si è verificato meno nel corso
degli anni dato che abbiamo figli. (Il che non è una sfortuna!
Sono incredibili.)
Non
ho mai avuto modo di ascoltare il primo CD della Peggy Lee Band. Vuoi
parlarmi dei motivi che ti hanno spinto a formare un gruppo?
Ho
formato la mia band perché amavo quegli strumentisti e a quel
tempo essi non avevano lavorato molto insieme in altri contesti. Volevo
cominciare a scrivere musica e trovavo che fosse più facile se
riuscivo a sentire in testa ciascuno dei loro suoni. Le loro voci individuali
riflettono le differenti influenze nella mia scrittura.
Sebbene
il secondo CD della Peggy Lee Band, Sounds From The Big House, mi sia
piaciuto, mi è piaciuto di più il recente Worlds Apart.
Parlami di come vedi la progressione del sestetto fino a ora.
Ritengo
che nel corso di tre album l’improvvisazione collettiva abbia raggiunto
nuove vette. Naturalmente le cose si svilupperebbero molto di più
se andassimo in tour, ma anche qui entrano in gioco fattori familiari.
Quando suoniamo dal vivo propendo maggiormente per spazi più
aperti in modo che la musica non diventi troppo prefissata.
Mi è
sembrato di scorgere l’influenza di Wayne Horvitz sul brano che dà
il titolo all’album Sounds From The Big House. Hai suonato con lui in
un concerto che è stato recentemente pubblicato sul CD Intersection
Poems. E’ stato davvero un’influenza sul tuo modo di comporre?
E’
strano. Pensavo proprio a Wayne quando ho scritto la contromelodia di
quel pezzo ma nessuno lo ha mai detto prima d’ora. Credo che fossi appena
tornata da una serata a Seattle in cui avevo suonato sue composizioni.
La sua musica è certamente un’influenza, come pure quella di
sua moglie, Robin Holcomb.
Com’è
la situazione a Vancouver se parliamo di avanguardia, jazz e musica
sperimentale in genere?
Vancouver
ha fama di avere una scena molto aperta se parliamo di relazioni tra
le varie comunità musicali e ritengo che ciò risponda
al vero. Il festival jazz di qui offre sempre una prospettiva ampia
sulla musica. E c’è anche del sostegno per l’improvvisazione
da parte della scena della "nuova musica".
Chi
è oggi il tuo violoncellista preferito? E che mi dici dei bassisti?
Non
credo che in questo preciso momento mi possa venire in mente nulla di
preferito…
La composizione
è stata dichiarata morta già diverse volte. A tuo parere,
quali sono gli elementi che fanno sì che una composizione suoni
fresca?
Per
me, se sto eseguendo della musica composta allora suonarla come se la
stessi improvvisando la rende fresca. Se il pezzo incorpora l’improvvisazione,
allora improvvisare davvero e assolutamente senza alcun preconcetto
è una cosa che lo mantiene interessante.
Cosa
c’è in serbo per la musica sperimentale? Più soldi, un
pubblico più numeroso – oppure (ahi!) una discesa nell’oscurità?
Non
ritengo affatto di suonare musica sperimentale. E’ solo musica che ha
senso per me considerato chi sono e da dove vengo. Continuerò
a suonarla indipendentemente dalla grandezza del pubblico o del danaro
che c’è in ballo. Suppongo che questa sarebbe la risposta della
maggior parte di noi al di fuori dal mainstream. A ogni modo non penso
affatto che stia morendo!
Il modo
in cui vedi il Web (nei suoi vari aspetti) se parliamo degli schemi
di consumo, in continua evoluzione, del pubblico.
Non sto collegata quanto potrei – o forse dovrei – ma posso vedere il
potenziale per ciò che concerne il fare arrivare la musica a
quelli che sono interessati in modo più efficiente che in passato.
©
Beppe Colli 2005
CloudsandClocks.net
| Feb. 13, 2005