Phish
Round
Room
(Elektra)
E così i Phish si sono riuniti
e – fatto decisamente inatteso – hanno immediatamente pubblicato un
nuovo album. Era quella separazione (durata due anni) qualcosa di cui
il gruppo aveva davvero bisogno? Per rispondere è sufficiente
(ri)ascoltare Farmhouse (2000), ultimo album di studio: lavoro che dice
di un gruppo decisamente esausto e che per molti aspetti è prova
solista di Trey Anastasio sotto un nome collettivo, Farmhouse mostra
i quattro decisamente bisognosi di una lunga pausa, anche se Live In
Vegas – il DVD registrato nel corso del tour effettuato in quell’anno
– testimonia di una buona tenuta dal vivo ed è perciò
fonte preziosa di informazioni per chi non ha mai visto un concerto
del gruppo. E Round Room? Anche questa è una domanda facile.
Basta ascoltare un brano qualsiasi – va benissimo Pebbles And Marbles,
posta in apertura: una bella canzone la cui jam mostra un gruppo che
procede intuitivamente con acuto senso dell’insieme; il brano offre
inoltre un tocco tecnico semplice ma decisamente ingegnoso: man mano
che la jam procede aumenta la proporzione di suono dell’ambiente ripreso
dai microfoni panoramici situati nella stanza; e più i singoli
suoni perdono definizione più concentrato si fa l’ascolto, che
così focalizza la nostra attenzione su una performance di potenza
non comune.
Ha fatto discutere la celerità con cui il gruppo ha registrato
e prodotto il disco: venti canzoni nuove provate in undici giorni, quattro
giorni per registrare, meno di due per realizzare le sovraincisioni,
una settimana per missare. Ovvie controindicazioni: qualche nota stonata,
alcune parti vocali malferme, "p" e "b" che fanno
"pop", scricchiolii provenienti dal manico della chitarra.
Alcune parti di batteria non sembrano ancora assestate, ed è
facile immaginare che cambieranno non appena i pezzi saranno rodati
dal vivo. Alcune recensioni lette in Rete sembravano quasi suggerire
una truffa ai danni dell’ascoltatore: dopo due anni di assenza il gruppo
avrebbe potuto benissimo ripresentarsi con un prodotto migliore e decisamente
più curato. E questa è una questione di ben più
ardua decidibilità (oltre che indubbiamente di grande interesse),
anche se non è difficile immaginare che questo sia un ordine
di problemi che il giornalista di professione – sottoposto com’è
a scadenze numerose, stringenti e ultimative – non necessariamente può,
stante le condizioni presenti, concedersi il lusso di esaminare.
Decisamente agevole riconoscere Round Room quale un album dei Phish.
Ma il fatto non implica necessariamente il ricorso a vecchie strategie.
C’è anzi da dire che quando il gruppo si trova a percorrere territori
familiari, ad esempio nel brano dall’andamento funky 46 Days (che più
di un recensore ha citato come il preferito dell’intero album e quale
prova del fatto che il gruppo è ritornato in piena forma)…
beh, è probabile che il pezzo farà la sua bella figura
in concerto ma a parere di chi scrive, ascoltato nel contesto del nuovo
materiale, risulta quasi fuori posto (e perfino dal sapore un po’ stantio).
Naturalmente i quattro risultano essere immediatamente riconoscibili.
Ma crediamo che Trey Anastasio abbia consapevolmente evitato di ripetere
i suoni che lo hanno caratterizzato in passato – il classico suono della
solista con humbucker non compare se non al pezzo # 4 (American Cousin);
e le belle assolvenze realizzate mediante il controllo di volume ricevono
un nuovo significato dall’essere poste nel contesto della Mock Song
di Mike Gordon. L’assolo di chitarra su Seven Below, dal fraseggio caratterizzato
da inflessioni sassofonistiche, mostra che il suo approccio allo strumento
è lungi dal fossilizzarsi. Ovviamente non abbiamo modo di sapere
se è la natura delle sue composizioni a essere mutata o se –
molto più semplicemente – le canzoni scelte per il disco sono
quelle che meglio si prestavano a un veloce apprendimento da parte del
gruppo, ma ci è sembrato di cogliere più di un’eco dei
Jefferson Airplane nella malinconica All Of These Dreams e nella trascinante
seconda parte di Walls Of The Cave (pensiamo all’album Volunteers, che
ospitava il bellissimo lavoro di piano dello scomparso Nicky Hopkins);
ci pare inoltre che Waves – il brano posto in chiusura di Round Room
– non sarebbe risultato fuori posto su Burgers degli Hot Tuna.
Lo studio non è necessariamente il posto più adatto per
fare musica. Era l’opinione di Robert Fripp ai tempi dei King Crimson
storici – e va detto che in studio i King Crimson se la cavarono decisamente
meglio di quanto non fosse finora riuscito ai Phish. Perfino gli album
venuti meglio – quel Billy Breathes dall’approccio a strati curato da
Steve Lillywhite (1996) e lo Story Of The Ghost frutto di jam ritagliate
(1998) – appaiono privi di un che di indefinibile. La domanda da porsi
è dunque la seguente: l’approccio più casuale adottato
per Round Room ha meglio servito il materiale? Detto altrimenti: un
approccio più "leccato" avrebbe reso maggiormente credibili
i sentimenti espressi nelle canzoni? A pare di chi scrive stavolta il
gruppo ha centrato il bersaglio: se le jam suonano intense e non timorose
di attardarsi, ad avere tratto maggiore e decisivo beneficio sono le
canzoni – vedi la malinconia di Anything But Me e di All Of These Dreams,
la fragile bellezza di Friday (una delle più belle ballad dei
Phish, gode di un apporto di sensibile economia à la Ringo, estremamente
appropriato, da parte del batterista Jon Fishman) e Thunderhead.
In un certo senso Round Room suona davvero vecchio – e senz’altro fuori
posto tra quel che passa in radio. Ma i Phish hanno sempre fatto a modo
loro. Possiamo senz’altro esser grati del fatto che un gruppo di tale
peso abbia avuto il coraggio di privilegiare quel che ha ritenuto essere
più appropriato per la propria musica – e che nel far questo
ci invita a mettere in discussione le nostre abitudini di ascolto –
in un’epoca in cui le tracce audio vengono allineate, le parti vocali
reintonate a macchina e la realizzazione dei master dei CD tende ad
appiattirne ogni dinamica – e così facendo ne elimina ogni sembianza
di vita – nel tentativo di ottenere un suono dal volume "più
forte del forte".
Beppe Colli
© Beppe Colli 2002
CloudsandClocks.net |
Dec. 22, 2002