Intervista a
Peter Hammill (1991)
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di
Beppe Colli
April
26, 2005
Asserire
che la carriera solista di Peter Hammill è stata messa in ombra
dal lavoro da lui svolto con i Van Der Graaf Generator fa un po’ sorridere:
Hammill non è certo un Mick Jagger o un Trey Anastasio, e l’appeal
del suo ispido e ostico gruppo è stato infinitamente più
"selettivo" di quello dei Rolling Stones o dei Phish; eppure
in questa affermazione c’è più di un fondo di verità,
se consideriamo che mentre qualunque enciclopedia "prog" che
si rispetti riserva sempre un posto d’onore ai VDGG la discografia del
leader è affare riservato a pochi aficionados; e non avrebbe
poi tutti i torti chi invece asserisse che, lungi dall’essere il motivo
della scarsa considerazione di cui gode la sua produzione solista, la
breve carriera dei VDGG è in realtà l’unica ragione per
cui i più (e sempre di pochi parliamo) si ricordano ancora di
Hammill. Un fatto è però certo: chi per motivi anagrafici
non c’era ha una splendida opportunità di fare un’interessantissima
scoperta (e sarà certo poi inevitabile chiedersi come mai in
un’epoca in cui pressoché tutto è stato riscoperto e rivalutato
anche più di una volta il nome di Hammill circoli così
poco e così svogliatamente).
Parallelamente
alla carriera dei Van Der Graaf Generator Peter Hammill aveva già
pubblicato degli ottimi album: se Fool’s Mate (1971) è lavoro
embrionale riservato ai completisti Chameleon In The Shadow Of The Night
(1973) e The Silent Corner And The Empty Stage (1974) sono opere mature
e coerenti seppur estremamente varie; "In Camera" (1974) è
il primo esempio di uno sperimentare in studio che darà successivamente
i suoi frutti migliori; Nadir’s Big Chance (1975) – album che qualcuno
ha voluto anticipazione del punk – incarna alla perfezione la grinta
dei Sixties; Over (1977) è splendida sintesi solo un po’ composita.
La
seconda stagione solista si apre con una splendida coppia di album:
The Future Now (1978) e PH7 (1979); per poi proseguire con A Black Box
(1980) e il maggiormente ritmico Sitting Targets (1981); la fondazione
di un "quartetto rock" – il K Group – produce quelli che a
nostro avviso sono gli ultimi album hammilliani da considerare "assolutamente
essenziali": Enter K (1982), Patience (1983) e il doppio dal vivo
The Margin (1985).
Qui
qualcosa va perduto, forse per una necessità avvertita di confrontarsi
con quella "tecnologia moderna" (= sequencer & drum machine)
che per più versi sembra definire tutto il suono di un’epoca
– ma non è forse vero che la maggior parte della produzione a
8 bit che in quegli anni viene assemblata in terra UK risulta oggi assolutamente
omogenea e per più versi decisamente inascoltabile? (Non per
i nostalgici, of course…) Qui si procede in maniera altalenante: Skin
(1986) lascia perplessi, And Close As This (1986) recupera una dimensione
più intima, In A Foreign Town (1988) è il punto più
basso e Out Of Water (1990) un accettabilissimo compromesso. Il doppio
Roomtemperaturelive (1990) è lo splendido e grintoso resoconto
di un tour in trio, con basso e violino.
Ed è proprio questo doppio a costituire lo spunto iniziale dell’intervista
che segue, realizzata telefonicamente il 25 febbraio del 1991 nell’ambito
del programma radiofonico Tough (curato e condotto da chi scrive) in
onda su Catania Teleradio e mandata in onda in due puntate il sette
e l’otto marzo. Il testo è poi apparso sul #10, Estate 1991,
della rivista italiana Musiche. L’album solista annunciato in questa
conversazione, Fireships, fu pubblicato l’anno successivo, ma la scelta
di una dimensione monocromatica – qui in chiave "meditativa",
e poi "rock" nell’album successivo, The Noise (1993) – disse
di scelte sicuramente comprensibili ma certo artisticamente non all’altezza
del cammino trascorso. Mentre gli album successivi – citiamo qui per
brevità Roaring Forties (1994) e This (1998) – testimoniarono
di una produzione fin troppo copiosa per quel linguaggio e quelle idee.
Comincerei
con il chiederti qualcosa del tuo nuovo disco, che è il frutto
di un tour. Penso che la formazione sia parecchio insolita: come ti
è venuta in mente?
Beh, di
solito mi piace cambiare formazione, in modo da apportare un elemento
di freschezza al materiale suonato in tour; con Nic Potter ho collaborato
per molti anni, mentre Stuart Gordon ha suonato su alcuni dei miei dischi,
ma mai dal vivo con me prima d’ora; mi sembrava che questo trio offrisse
molte possibilità di suonare sia materiale pacato sia materiale
più aggressivo; in effetti è un trio insolito, particolarmente
per il fatto di non avere un vero e proprio percussionista, ma in un
certo senso questa scelta ci ha permesso un ampio grado di libertà
nel suonare una musica iperattiva, e in effetti questa è stata
la ragione principale per farlo.
Sempre
a proposito del nuovo disco: i doppi dal vivo che hai pubblicato in
passato, Vital con i Van Der Graaf e The Margin con il K Group, sembravano
segnare la fine di un periodo…
… E perciò
mi stai chiedendo se anche questo disco è la fine di un periodo?
…
O non piuttosto un nuovo inizio, con la nuova formazione.
In effetti
penso che sia un nuovo inizio, o per meglio dire la foto di una situazione.
Hai ragione sul fatto che Vital era alla fine dei Van Der Graaf e The
Margin alla fine del K Group, ma stavolta è una via di mezzo;
sicuramente non è la conclusione di un ciclo, piuttosto un punto
intermedio.
Non
ci sono testi nel CD, non c’è un libretto…
E’ vero;
ciò è dovuto al fatto che il punto in comune tra questo
disco e Vital e The Margin è di essere completamente dal vivo;
la registrazione è stata fatta direttamente su DAT, e quindi
non ci sono sovraincisioni o cambiamenti di sorta; in effetti c’è
una canzone, non mi ricordo quale, che è il frutto della combinazione
di due diverse performance, ma a parte ciò si tratta di performance
complete. Di solito vedo gli album dal vivo come completamente diversi
da quelli di studio, dove è ovvio che i testi sono molto importanti
e dovrebbero sempre essere inclusi; il mio atteggiamento nei confronti
delle registrazioni dal vivo è che esse dovrebbero essere tali
e quali l’originale, compresi gli errori, perché se eliminiamo
gli errori (ride)
quello che ci resta non sono i picchi che abbiamo raggiunto, perché
gli errori contengono le informazioni di cui abbiamo bisogno per giungere
ai picchi, i momenti migliori; e allo stesso modo è in fondo
appropriato che i testi non siano inclusi nella confezione, dato che
nessuno che assista a un concerto dal vivo legge i testi mentre guarda
lo show (ride).
Vorrei
chiederti qualcosa a proposito di alcuni errori e stranezze che ho sentito…
… Time
To Run è l’errore più grosso su questo disco; dovrebbe
essere, ovviamente, Time To Burn (ride);
tutto ciò a causa del fatto che la lista dei brani è stata
spedita in California, da dove ci hanno mandato i provini; abbiamo detto
loro di rimediare all’errore, ma non l’hanno fatto.
A prima
vista mi era sembrato un brano inedito.
(ride) Temo di no.
Ti ho
chiesto della mancanza di testi perché la maggior parte dei tuoi
vecchi dischi che sono stati ristampati su CD sono privi di testi, il
che non costituisce un problema per chi ha i vecchi album…
… Ma
per chi li compri adesso per la prima volta può essere un handicap;
tutto quello che posso dirti in proposito è che probabilmente
l’anno prossimo verrà nuovamente pubblicato un libro di testi;
ciò potrebbe costituire una risposta al problema, perché
le riedizioni su CD sono un capitolo in cui tutto è al di fuori
del mio controllo: quando le case discografiche vogliono pubblicare
i CD, come vogliono pubblicarli, quanta confezione vogliono metterci
e via dicendo; a dire il vero non ho alcuni dei CD che sono stati ristampati,
è una cosa totalmente al di fuori del mio controllo; posso solo
dire che ci sarà un libro di testi; ce n’erano due, ma da molto
tempo ormai sono fuori catalogo, e penso che questo dovrebbe risolvere
il problema.
Ho notato
che sul libretto che accompagna il disco c’è una piccola mappa
del palco, dove si notano alcuni sound module per la tastiera; il violino
è stato collegato ad alcuni di questi moduli?
No, il
violino è collegato al sound system di Stuart, che ha un Midiverb
e tre multiprocessori di effetti.
Quindi
sul violino ci sono solo effetti.
Solo effetti,
ma gli effetti sono veramente insoliti; anche il basso è collegato
a effetti. Ritornando alla domanda precedente sulla natura del trio,
come ti dicevo è possibile con un trio come questo, che ha uno
spettro tonale ampio, ma anche, se vuoi, uno strumento solista al vertice
e uno alla base, con il ritmo della mia chitarra o della mia tastiera
nell’area di mezzo, è possibile suonare sia materiale placido
che aggressivo; sono stato molto favorevole al fatto che Stuart e Nic
suonassero con gli effetti, di modo che in certi momenti è veramente
impossibile individuare chi stia suonando una certa linea melodica,
se sia il violino, il basso o la tastiera. E a volte quando eravamo
sul palco ci guardavamo intorno e non eravamo certi di chi stesse suonando
cosa, il che è bizzarro ma estremamente eccitante al contempo.
Ti ho
posto questa domanda perché in alcuni brani come The Comet, The
Course, The Tail o Happy Hour in certi momenti sembra di sentire un
sax campionato.
No, i suoni
sono dovuti agli effetti del violino; non ci sono affatto campionamenti:
niente campionamenti, niente sequenze; i moduli che uso sono il Roland
Digital Piano, il TX della Yamaha e il Roland D 110, ma con misura,
e tutto il resto, tutti gli altri suoni, sono dovuti agli effetti.
Alla
fine di The Unconscious Life c’è un suono di piatti rovesciati.
Sì,
è l’unico campionamento; sono davvero piatti rovesciati, e sono
io (ride); viene suonato dalla tastiera.
E’ un
campionamento o un programma di synth?
E’ il D
110, quindi è in parte campionato e in parte frutto di sintesi;
la master keyboard è una Akai MX 73; il TX è in rack,
e contiene molti suoni customizzati; per lo più uso queste cose
per produrre suoni di pianoforti, mentre quando ho cominciato a usare
questo sistema, che adesso uso da parecchio tempo, avevo un mucchio
di effetti, un sacco di suoni differenti in funzione per tutto il tempo,
ma poi ho capito, specialmente in un certo senso, che dovevo limitarmi,
che l’effetto è più efficace quando viene inserito di
tanto in tanto, piuttosto che di continuo.
Adesso
vorrei chiederti qualcosa sulla tecnologia; ho ricevuto per parecchio
tempo la tua newsletter dal Sofa Sound…
… Oh,
sì! E’ una cosa che ricomincerà probabilmente quest’anno…
…
E dopo l’uscita di Skin ho avuto modo di esprimerti il mio disappunto
per come parecchia roba è stata usata sul disco. Qui non si tratta,
ovviamente, di avere un atteggiamento antitecnologico, ma penso che
anche se il nuovo disco, o un album come And Close As This, fanno uso
di tecnologia, il modo in cui è stata usata mi è risultato
esteticamente più gradevole che su Skin o su In A Foreign Town.
Che mi
dici di Out Of Water?
Penso
che su Out Of Water sia usata molto meglio, e che l’elemento tecnologico
sia usato in modo sempre migliore, partendo da Skin per arrivare a Out
Of Water.
In un certo
senso sono d’accordo con te; senza volermi giustificate troppo, il punto
è che suonare e registrare rimangono per me per una certa parte
un processo di esplorazione; e in effetti è stato solo con Skin
che ho iniziato ad avere a che fare con la nuova tecnologia, per sé;
ovviamente avevo fatto lavori sperimentali in passato, ma per ciò
che concerne l’usare veramente la nuova tecnologia la prima volta è
stato con Skin; And Close As This, come dici, è qualcosa che
si situa al di fuori, dato che ho cercato di applicare un aspetto teorico
alla tecnologia, cosicché l’elemento umano fosse imposto dall’esterno.
A essere onesto penso che… non intendo denigrare questi due dischi,
ma penso che nel corso della realizzazione di Skin e di In A Foreign
Town una gran parte del lavoro sia consistita nell’imparare l’uso della
tecnologia; dapprima tutto appariva nuovo, e penso, forse, di essere
stato sedotto dall’immediatezza, o sedotto da suoni semplici, in modo
tipicamente tecnologico e forse sotto questo aspetto ho peccato di rigidità;
ma ora mi ci sento a mio agio, e sento che è diventata trasparente,
per nulla differente dal suonare la chitarra, o suonare le tastiere
dal vivo, o registrare usando la tecnologia; ma ovviamente non avrei
raggiunto questo stadio (ride)
se non fossi passato per lo stadio di Skin o In A Foreign Town, capisci
quello che voglio dire? Allo scopo di raggiungere lo stato di familiarità
e, mi auguro, personalizzazione, in cui mi trovo adesso dovevo passare
per quella fase e… ho cercato disperatamente di non essere "meccanico",
ma c’è un elemento, quando si comincia a usare la tecnologia,
per cui le cose hanno una tendenza a suonare meccaniche, particolarmente
sotto l’aspetto ritmico.
Tra
parentesi, non volevo denigrare i due dischi…
… Se
non sotto il profilo dei suoni e dell’uso della tecnologia, capisco.
…
Perché, per esempio, sei stato molto creativo in passato su dischi
come Sitting Targets o Enter K, dove in un brano come Accidents usi
suoni molto particolari, come la batteria rovesciata o a doppia velocità,
e a volte mi domando se il vecchio registratore usato insieme a…
… A pochi
strumenti non possa… sì, capisco dove vuoi arrivare; infatti
è una cosa cui ho pensato molto, perché c’è tutto
un aspetto peculiare a questa nuova tecnologia; in teoria la possibilità
di creare suoni è molto più ampia; ma in un certo senso
quando la tavolozza diventa più limitata, a causa dello spettro
dei suoni che sono immediatamente disponibili… voglio dire che se
hai pochissimi strumenti devi puntare a… finisci per arrivare a suoni
molto sperimentali, a volte, semplicemente cercandoli; ho fatto altri
due dischi in questo campo, The Future Now e PH7, in cui gli strumenti
a mia disposizione erano molto limitati, e così, allo scopo di
creare suoni diversi, ho dovuto essere originale nel loro uso. Al giorno
d’oggi ci sono così tanti suoni a nostra disposizione che si
corre il rischio di non essere originali, il che è una cosa che
sto cercando di evitare; in particolare (e qui sto ritornando alla tua
domanda se questo sia uno stadio intermedio o uno conclusivo) penso
che il punto in cui mi trovo, in quanto artista, sia di trovarmi a mio
agio con la nuova tecnologia; ho iniziato una nuova fase, penso di poter
affermare, con Out Of Water, laddove il mio approccio alla tecnologia
è tale che posso usarla, ma sovrapporre altri strumenti, altre
stranezze all’elemento tecnologico, e continuare a lavorare così;
è di sicuro quanto sto facendo al momento, il prossimo disco
naturalmente.
Se non
ti spiace, vorrei parlar del modo in cui il tuo lavoro è recepito.
In passato hai discusso di come una canzone, Four Pails, sia stata male
interpretata, perché alcuni hanno preso il senso dei primi versi
per quello della totalità della canzone; è una cosa che
ti capita spesso?
Naturalmente
penso che riguardo a qualunque canzone sia improbabile che qualcuno
afferri tutte le allusioni che cerco di suggerire o colga l’esatto…
in effetti la prima cosa che dovrei dire è che molto raramente
ci sono significati semplici, precisi ed esatti per qualunque canzone
io scriva; quando ho intenzione di scrivere una canzone di solito è
perché c’è un certo numero di significati ai quali punto;
e avendo detto ciò, penso sia altamente improbabile che qualcuno
afferri tutte le allusioni che suggerisco; ma ciò mi sta bene,
perché la natura dello scrivere canzoni o perfino del suonare
è che tu cerchi di fare qualcosa con cui la gente possa mettersi
in rapporto, il che ha a che fare con loro, piuttosto che con "me",
se afferri il mio pensiero. Penso sia improprio generalizzare il caso
di Four Pails, dove la direzione della canzone è una, e a causa
di un verso la gente capisce il significato esattamente opposto; una
situazione così non capita tanto spesso, ma in generale penso
che le canzoni siano entità misteriose in ogni caso, e così
spesso il fraintendimento ha luogo.
E così
tu affermi che il caso di Four Pails costituisce un caso estremo, non
una reazione tipica alle cose che scrivi?
… D’altra
parte devo dire che ci sono stati dei casi in cui ho scritto una canzone
pensando che parlasse di qualcosa e in un secondo tempo qualcuno è
venuto fuori con una interpretazione completamente diversa, che io ho
trovato sensata; penso in particolare a una canzone come When She Comes
di cui qualcuno mi ha fornito un quadro totalmente diverso, e una volta
che mi è stato spiegato mi sono accorto che anche questa interpretazione
è contenuta nella canzone. Non voglio certo rinunciare alla mia
responsabilità di essere un autore, ma la natura dello scrivere
canzoni è tale che si ha a che fare con misteri… cerco di rendere
le cose chiare a me stesso. Questo è quanto intendo dire: scrivendo
una canzone non cerco di dire… non ho un’idea e poi penso: "Ora
dì questo alla gente". Cerco di esplorare un’idea, o una
combinazione di parole, o un’immagine che abbia un valore emotivo; cerco
di esplorarla per me stesso, e parimenti gli altri possono venir fuori
con le loro interpretazioni, che hanno lo stesso valore della mia.
A volte,
oggi, si dice che il pubblico è maggiormente uso a un formato
più rigido in termini sia di testi che di musiche (e questo è
un argomento di cui hai parlato nella tua newsletter), e che perciò
le cose che tendono a porsi al di fuori del "normale" sono
soggette a essere considerate strane e il più delle volte male
interpretate. Pensi che il pubblico degli anni settanta fosse più
ricettivo di quello di oggi? O dipende?
Dipende.
Penso che il pubblico di oggi sia in un certo qual modo più ricettivo
musicalmente; per quanto riguarda i testi oggi la situazione è
più difficile, semplicemente perché si è persa
l’abitudine ad avere dei testi che siano in qualche modo complessi o
poco immediati; quando ho parlato di questa cosa ho detto infatti che
non si tratta solo di un problema che riguarda la musica, ma di un problema
comune alla maggior parte delle forme d’arte, un problema che riguarda
il cinema, la pittura e in un senso generale la narrativa; la gente
vuole le cose sempre più "bell’e pronte", o, detto
meglio, la gente è stata abituata ad avere le cose "bell’e
pronte", e così poi le chiede "bell’e pronte".
Penso che, se parliamo in termini puramente musicali, ci sia oggi un
pubblico altamente minoritario, ma comunque preparato ad ascoltare tipi
diversi di musica, e forse più oggi che non negli anni settanta;
ma in termini di idee che stanno dietro le canzoni, probabilmente meno.
Vorrei
chiederti qualcosa sui tuoi rapporti con le case discografiche.
Aha! Sì!
(ride)
Ti aspettavi
questa domanda?
No, ma
è una buona domanda.
Mi sembra
che tu goda di un’ampia dose di indipendenza, considerata la situazione
odierna; come fai a ottenerla, in un mercato come quello di oggi?
E’ molto,
molto difficile nel mercato odierno, e a dire il vero l’unica ragione
di ciò è il fatto che quel che faccio lo faccio da tanto
tempo; con qualunque disco, prima lo realizzo e poi lo presento alla
casa discografica con la quale lavoro al momento, e quindi in termini
di indipendenza, di fare quel che voglio da un punto di vista musicale,
è chiaro che io godo di controllo e libertà assoluti,
naturalmente entro certi limiti di tempo, budget e via dicendo; e questo
è indubbiamente il lato positivo. Quello negativo è che
sono stato con tante case discografiche, dato che risulta molto difficile
per loro accettare questo fatto; e sicuramente è molto difficile,
credo, che qualcuno che abbia iniziato cinque o sei anni fa possa passarla
liscia, dato che il sistema è molto più rigido oggigiorno;
mentre è quello che io ho sempre fatto, e quindi è molto
difficile per chiunque cambiare il mio modus operandi. Purtroppo il
risultato è che per le case discografiche è molto difficile
lavorare sul mio materiale, e così continuo a cambiare casa discografica;
a volte le lascio io, a volte sono loro a lasciarmi andare, e così, come per ogni cosa, ci sono lati positivi e negativi.
In effetti voglio essere giusto nei confronti delle case discografiche:
per loro è molto difficile lavorare sul mio materiale, dato che
non sanno mai che tipo di disco sarà il successivo; inoltre su
ogni disco ci sono almeno tre o quattro stili diversi, il che sicuramente
non è quello che "si suppone" un artista debba fare.
C’è
un’altra ragione per cui ti ho fatto questa domanda: ci sono artisti
che erano già attivi negli anni sessanta – come Dylan o la Mitchell
– e a volte quando si ascolta un loro nuovo disco e ci sono sequencer
e batterie elettroniche non si è mai sicuri se ciò sia
dovuto a un processo di crescita da parte dell’artista – che dopo vent’anni
può essersi stufato di suonare la chitarra acustica, e vuole
sperimentare dell’altro – o se, dato che il mercato è quello
che è e le case discografiche non sono sicuramente istituzioni
di carità, quest’uso di strumenti à la mode sia imposto.
Penso che
in questi due casi, i casi specifici cui hai fatto riferimento… certamente
nei suoi termini di artista mainstream Joni Mitchell ha fatto dei lavori
parecchio sperimentali varie volte in passato; penso per esempio a un
disco come The Hissing Of Summer Lawns, che era alquanto innovativo,
nell’uso dei suoni e anche nell’uso della tecnologia; e quindi a mio
parere quando nel suo lavoro compare una nuova tecnologia penso sia
frutto del tentativo di trovare una prospettiva differente, e con tutta
probabilità il processo viene guidato in gran parte direttamente
da lei. Nel caso di Dylan penso che l’apparire di nuove tecnologie abbia
più a che fare con chi è il produttore, dato che il suo
modo di lavorare sembra essere quello di affidarsi a un produttore e
seguirlo nella direzione in cui vuole dirigersi, allo scopo, anche qui,
di cambiare l’ambientazione, la prospettiva. Naturalmente non sono a
conoscenza di nessun’altra circostanza personale, ma so per certo che
anche artisti di questa notorietà hanno problemi con le case
discografiche; per esempio, so che Neil Young ha avuto dei problemi
in certi momenti, dato che alcuni volevano che seguisse una certa direzione.
Di altri non so dirti nulla, ma suppongo che la condizione abituale
sia quella di guerre e belligeranza.
In questo
momento ci sono musicisti il cui lavoro consideri importante o fonte
d’ispirazione?
Nel rock,
jazz o…
In qualunque
campo.
Al momento
lavoro, passo la maggior parte del mio tempo a lavorare, e adesso ho
il mio studio qui a Bath e così vengo qui e lavoro tutto il giorno,
e quindi il tempo a mia disposizione per ascoltare musica è alquanto
limitato; inoltre ho una famiglia, il che comincia a fare differenza:
il fatto di avere figlie in giovane età che corrono dappertutto
rende molto difficile sedersi e concentrarsi. Quando ascolto musica
si tratta di solito di musica classica, più che di rock o jazz;
se un’influenza c’è credo che al giorno d’oggi venga più
dai compositori che dai musicisti; in particolare al momento mi piacciono
compositori inglesi del sedicesimo, diciassettesimo secolo, ma il fatto
non ha molto a che vedere con quello che faccio; più che altro
è un ascoltare in quanto membro di un pubblico. Non direi che
costituisca un problema, ma è un fatto innegabile che quando
fai qualcosa per vent’anni e più, come ho fatto io, le influenze
non sono più evidenti come quando si comincia; paradossalmente
le mie influenze quando ho iniziato erano il blues, Hendrix e roba simile,
il che non è affatto evidente adesso. E vorrei aggiungere che
così come, immagino, i miei fan o i fan dei Van Der Graaf stanno
comprando i vecchi dischi nelle riedizioni su CD, io sto comprando John
Lee Hooker, Muddy Waters, Howlin’ Wolf su CD; in un certo senso è
da loro che ho tratto ispirazione; è piuttosto bizzarro che sia
musica di trenta o trentacinque anni fa che continua a ispirarmi, ma
John Lee Hooker, Muddy Waters, Buddy Guy in un certo senso mi ispirano.
Hemlock
ha un feeling blues…
E’ vero,
ma penso che nel corso degli anni ci siano stati parecchi brani che
avevano un feeling blues variamente modificato; ma in fondo questa è
stata la musica che per prima mi ha veramente entusiasmato; naturalmente
non ho mai avuto in alcun modo la pretesa di sembrare un bluesman di
Chicago, ma ho sempre cercato di mettere nelle mie cose elementi di
soul e di feeling.
Progetti
discografici a breve?
La prima
cosa a essere pubblicata, in aprile, dovrebbe essere finalmente The
Fall Of The House Of Usher, che è completamente finita, e aspetta
solo di essere stampata e pubblicata; in questo momento sono nel bel
mezzo delle registrazioni del nuovo, o dei nuovi, album; sto lavorando
su un certo numero di canzoni, e non sono sicuro se si tratti di un
singolo o di un doppio o chissà cosa; ma il progetto dovrebbe
essere completo nel corso dei prossimi due o tre mesi, e il tutto dovrebbe
essere pubblicato a luglio, ma penso in effetti che settembre sia la
data più probabile; e più o meno a settembre conto di
andare nuovamente in tour, spero anche in Italia, da cui manco da parecchio,
ma come sai non dipende da me, si tratta di trovare il promoter adatto
e così via.
C’è
gente che conosciamo su The Fall Of The House Of Usher?
I cantanti
sono Andy Bell, degli Erasure, Lena Lovich, Sarah Jane Morris, Herbert
Grönemeyer, un cantante tedesco, e io.
Ci sono
altri musicisti sul nuovo album?
Certo,
finora ci hanno suonato Nic Potter e Stuart Gordon; David Jackson ci
sarà di sicuro; lo sto coproducendo con David Lord, così
c’è anche lui; questo è quanto, finora; nei prossimi mesi
forse ci sarà dell’altra gente e forse no.
Per
concludere: sei rimasto soddisfatto di come è stato accolto l’ultimo
disco?
Quello
dal vivo? A essere sincero me ne sono procurato una copia a dicembre
(è uscito a novembre); in effetti non sono rimasto molto contento
della confezione, dato che la parte grafica non è venuta affatto
come mi avevano promesso né come io immaginavo; infatti è
stato il mio ultimo lavoro per la Enigma. Non penso che abbiano fatto
un buon lavoro nel promuoverlo e pubblicizzarlo. D’altro canto ne sono
soddisfatto, nel senso che lo vedo come un documento di un periodo live,
dunque penso dovrebbe avere un certo grado di longevità; tutto
considerato, la risposta è: non troppo soddisfatto (ride).
C’è
un effetto veramente sconcertante sul CD nella canzone After The Show
(7’33")…
… Non
è il CD!
Immaginavo
fosse un problema della master keyboard.
E’ così,
è la master keyboard che stona: ma è esattamente quello
che è accaduto nello show, non nel CD; infatti durante il processo
di masterizzazione c’è stato chi ha pensato che qualcosa non
andasse nel nastro master (ride)
ma non è affatto così: sono stato io che ho premuto il
bottone detuning (ride).
E’ strano, ma intenzionale!
L’hai
fatto apposta?!
Sì!
(ride)
©
Beppe Colli 1991 – 2005
CloudsandClocks.net
| April 26, 2005