Han-earl
Park/Bruce Coates/Franziska Schroeder
io 0.0.1 beta++
(Slam)
Una volta
di più, un CD trovato nella cassetta della posta ci ricorda in modo (s)piacevole
quanto poco conosciamo di quanto c’è in giro (il vero problema, ovviamente,
essendo che la nostra è una condizione tutt’altro che atipica). Dei tre
musicisti in carne e ossa presenti sull’album (una distinzione il cui senso
diventerà chiaro tra un istante) l’unico con il quale abbiamo una pur minima
familiarità è il sassofonista Bruce Coates (diremmo per la sua collaborazione
con Paul Dunmall); mentre a onta di curricula ampi e prestigiosi questa
è la prima volta che ascoltiamo il chitarrista Han-earl Park e la sassofonista
Franziska Schroeder.
Posto
in chiusura, Return Trajectory è una buona illustrazione del rapporto fra
i tre, con un procedere parallelo cui non sembra estranea una buona dose
di telepatia – si veda la chiusa, verso la quale i due fiati viaggiano
spediti con spirito che diremmo teleologico. Questo ci è parso il brano
in cui è più facile scorgere influenze formative, con il sax soprano della
Schroeder a riportare alla mente Evan Parker (altrove sull’album la musicista
ci è parsa più personale) e il sax alto di Coates a ricordare l’incedere
zigzagante tipico di Anthony Braxton (un’influenza che diremmo nettamente
percepibile anche in altre parti dell’album, sia all’alto che al sopranino).
La chitarra di Han-earl Park si situa in un’ideale terra di mezzo tra Joe
Pass e Derek Bailey: cosciente del vocabolario jazzistico e del ruolo di "accompagnamento",
pur interpretato con disinvoltura innanzitutto timbrica, non raggiunge
le vette di
"indifferenza" tipiche del secondo.
E se
l’album si fosse mantenuto a questi livelli avremmo avuto un buon album
e nulla più. Invece, come da titolo, si aggiunge qui quella "quantità
misteriosa" che prende il nome di io 0.0.1 beta++: un "automa
musicale" creato da Han-earl Park il cui improvvisare – ricco nei
timbri (ma con un che di old-fashioned che ben si accoppia con il bizzarro
aspetto fisico da film di fantascienza degli anni cinquanta), misterioso
nel procedere decisionale – funge da prezioso stimolo per gli altri musicisti.
Se un
parallelo (che speriamo utile al lettore) potrebbe essere tracciato con
certe pagine della Company degli anni ottanta, qui l’attenzione ci pare
attribuita soprattutto ai processi decisionali che stanno dietro all’improvvisazione
quale
"disciplina delle scelte". E nelle note di copertina di Sara Roberts
ci è parso di individuare più di un’assonanza con le discussioni che sorgono
intorno al famoso (?) Test di Turing. La veloce descrizione della musica
che proviamo a tracciare qui di seguito pone quindi sullo sfondo la questione
del
"mistero" concernente le decisioni – "uomo o macchina",
potremmo dire, poco cambia, anche se da parte nostra avremmo preferito un
minimo di corredo tecnico alla maniera del Voyager di George Lewis (ma qui
c’è una bibliografia con testi consultabili in Rete).
Venticinque
minuti in due, Pioneer: Variance e Pioneer: Dance, posti in apertura di
CD, sono forse i nostri episodi preferiti. Apertura del synth con timbriche
"bizzarre", con fischi e modulazioni "vintage"; poi ingresso
del sax soprano con note "split" e un buon procedere dialogico;
si aggiunge la chitarra con pedale di volume, armonici e accordi arricchiti
dall’eco. Il secondo brano vede la comparsa del sax alto, non poco braxtoniano
(dei quattro musicisti qui presenti, Coates è senz’altro quello al quale
è più agevole attribuire la definizione di "jazzista"); interessante
la risposta dell’automa, con onda quadra animata da LFO; belle le corde basse
della chitarra che entrano sul canale sinistro, come tom o bonghi, con le
corde sottili a destra nello stereo (un’idea interessante, quella della distribuzione
della chitarra nello spazio, impiegata con gusto); un sereno soprano si affianca
poi a un synth "rumoristico" e a una chitarra
"flamenco"; synth con "battimenti", e bella coda lunga
a chiudere.
Discovery:
Intermodulation ha un sopranino frenetico e un soprano "scuro",
con
"l’automa" a produrre note ora lunghe ora contratte; chitarra
"pizzicata", con arpeggi "stretti". Discovery: Decay
apre con il solo io 0.0.1 beta++ con timbro che ricorda una voce filtrata
tramite un vocoder; poi la chitarra, e un soprano "barocco" e
"rinascimentale" per un insieme consonante che è senz’altro il
momento più accattivante dell’album.
Laplace:
Perturbation apre con timbri a metà strada tra il trombone e dei piatti
filtrati, e una lunga parte in solo di io 0.0.1 beta++; chitarra dialogica,
sax alto braxtoniano, con i tre a percorrere con efficacia strade parallele:
ottimo. Laplace: Instability dice molto in tre minuti; sax alto e sfera
sintetica mantengono le coordinate del brano precedente, si aggiunge però
un soprano meditativo per un contrappunto che ha non poco di cameristico;
il tutto si spegne su una nota consonante.
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net
| Sept. 4, 2011