Intervista a
Ed Palermo
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di Beppe Colli
July 12, 2006
Come già asserito in sede di recensione, l’ascolto
di Take Your Clothes Off When You Dance –
il recente CD che vede la Ed Palermo Big Band eseguire brillantemente
pertinenti arrangiamenti di composizioni di Frank Zappa – è stato
per chi scrive una gran bella sorpresa. E’ ovvio che un lavoro così
ricco necessiti di una lunga preparazione. Ed è parimenti ovvio
che cercando in Rete prima o poi qualche notizia si trova senz’altro.
Ma perché non tentare un approccio diretto?
Detto fatto. Sassofonista,
arrangiatore e leader della formazione, Ed Palermo ha accettato di buon
grado di rispondere alle nostre domande. L’intervista è stata
condotta tramite posta elettronica durante la settimana a cavallo fra
la fine di giugno e gli inizi di luglio.
Quale primo argomento della nostra intervista mi
piacerebbe che tu mi parlassi della tua infanzia, della tua adolescenza,
delle tue prime influenze formative per quanto riguarda la musica, di
quello che ti piaceva e che non ti piaceva e così via.
Sono cresciuto nel New Jersey meridionale, in una città
chiamata Ocean City. Una bella città di mare che però
da un punto di vista artistico non era molto sofisticata. Per vedere
i gruppi che amavamo i miei fratelli e io dovevamo andare a Filadelfia.
Neppure ad Atlantic City potevamo vedere i gruppi che ci piacevano,
tra i quali c’erano i Procol Harum, Todd Rundgren e naturalmente Zappa.
Ma sto correndo un po’ troppo. La prima esperienza musicale che
ha avuto per me un valore emotivo di cui ho memoria è il tema
del vecchio show televisivo Perry Mason. Ogni settimana, non appena
spuntava, quella musica mi faceva piangere. Era così potente,
ma allo stesso tempo anche tragica. (In seguito, quando ero diventato
arrangiatore professionista, ho arrangiato quel brano per la mia big
band.)
Questo avveniva pressappoco nel 1959-1960. Sono nato nel 1954.
Nel 1964 spuntarono i Beatles, che cambiarono per sempre la mia vita.
Fu allora che compresi che per me la musica sarebbe stata LA cosa. Parecchi
anni più tardi il mio fratello maggiore, Nick, portò a
casa un album chiamato Freak Out!, dei Mothers of Invention. Mi piacque,
ma non mi fece impazzire. Poi arrivò Absolutely Free, che giudicai
soprattutto divertente, non grande musica.
Tieni presente che a quell’epoca avevo solo dodici anni.
L’album successivo di Zappa, We’re Only In It For The Money, mi piacque
sempre di più, e mi scoprii innamorato di canzoni quali The Idiot
Bastard Son e Mother People. La musica mi passava in testa per tutto
il giorno mentre stavo in classe, alla media. Ovviamente ciò
mi portò a riascoltare i primi due album di Zappa con orecchie
nuove.
Il colossale evento che avrebbe cambiato per sempre la mia vita ebbe
luogo quando vidi i Mothers suonare dal vivo per la prima volta. Fu
pazzesco!! Aprirono il concerto con Uncle Meat (l’album omonimo sarebbe
uscito solo il mese dopo). Non avevo mai sento musica come quella. Avevo
quattordici anni. Ora ne ho cinquantadue, e ricordo ancora quel concerto
come se fosse ieri. E’ stata davvero un’esperienza enorme.
L’influenza di Zappa mi ha spinto a esplorare artisti di musica classica
e di jazz, dato che la sua musica era così eclettica. Alle superiori
suonavo il sassofono, e ho sempre dato per scontato che era lo strumento
che avrei coltivato. Mentre ero alle superiori mi sono innamorato della
musica di Edgar Winter, in special modo un album chiamato Entrance.
(In seguito, dopo essere diventato un arrangiatore professionista, ho
arrangiato tutto quest’album per la mia big band.) Edgar suonava il
sax alto in un modo molto più jazzato e swingante dei tipi dei
Mothers (anche se amavo il loro modo di suonare), e mi piaceva molto.
Ciò mi ha spinto a interessarmi di – e, in seguito, a emulare
– Cannonball Adderly, Phil Woods e naturalmente Charlie Parker.
Quando ero al college a Chicago mi esercitavo giorno e notte per suonare come loro. Finito il college mi
sono trasferito a New York per diventare un tenorsassofonista di jazz
(a metà strada del mio percorso universitario sono passato dal
sax alto al tenore a causa dell’enorme influenza di John Coltrane, Mike
Brecker e Dave Leibman). Sebbene non lo avessi mai fatto prima, ho cominciato
a interessarmi di arrangiamento. Il mio amico Dave LaLama è un
grande arrangiatore, così mi ha aiutato moltissimo e ha risposto
a un sacco di domande. Credo che il fattore principale dietro il mio
desiderio di arrangiare sia stato un album di Charles Tolliver chiamato
Impact. Musica incredibile! E inoltre, vidi un ottetto messo insieme
da Woody Shaw al Village Vanguard. Fu quello show che mi fece capire
che avrei potuto avere la capacità di scrivere in quel modo.
Ho passato i quindici anni successivi a scrivere per una big band che
avevo formato. Ho registrato due album contenenti in gran parte materiale
che avevo scritto, influenzato da fonti molto varie, non ultima delle
quali la musica classica,
in particolar modo i lavori di Shostakovitch e Prokofief.
Quando Zappa morì, nel 1993, decisi di dedicare il mio tempo
a rendere omaggio al compositore che mi aveva dato la spinta iniziale.
Abbiamo suonato per nove anni in un locale di New York chiamato Bottom
Line, e in quel periodo abbiamo registrato il nostro primo CD di materiale
di Zappa, pubblicato con il titolo di The Ed Palermo Big Band Plays
The Music Of Frank Zappa (conosciuto anche come Big Band Zappa). Dopo
una pausa di circa un anno abbiamo ripreso in un altro club di New York
chiamato Iridium. In questo periodo di tempo abbiamo registrato il nostro
secondo CD di materiale scritto da Zappa, Take Your Clothes Off When
You Dance.
Ascoltando il primo dei due CD contenenti i tuoi
arrangiamenti di musica scritta da Frank Zappa che hai pubblicato ho
notato che la fine di We Are Not Alone mi ricordava moltissimo la fine
di Aren’t You Glad, la canzone del gruppo statunitense Spirit che chiude
il loro (secondo) album del 1969, The Family That Plays Together. Ovviamente
non è una coincidenza. Forse un omaggio nei confronti di quel
gruppo – e anche al loro arrangiatore di quel periodo, Marty Paich?
Parlamene.
Negli anni sessanta gli Spirit erano uno dei miei gruppi preferiti.
E Aren’t You Glad rimane a oggi una delle mie canzoni preferite di tutti
i tempi. Proprio quando credi che la canzone sia finita senti un lontano
tamburello che dà il ritmo, uno degli Spirit conta 1, 2, 3, 4
e quello che viene dopo è puro godimento. Sopra una progressione
di accordi semplice ma sinistra si aggiunge una parte di ottoni potente
ancorché semplice, e sopra TUTTO QUESTO si piazza quello che
con tutta probabilità è l’assolo di chitarra più
spiritualmente bruciante mai registrato. Randy California, MI MANCHI!!
L’assolo finisce TROPPO presto, ma non prima che Randy suoni delle linee
melodiche che mi fanno saltare fuori dalla sedia OGNI VOLTA che le ascolto!
La mia inclusione di questa parte alla fine di We Are Not Alone è
non tanto un omaggio quanto un tentativo di catturare una frazione di
quello spirito. Mike Keneally, Mike Stern e io ci alterniamo durante
l’assolo di chitarra. (MI CI E’ VOLUTO TANTO CORAGGIO PER OSARE SUONARE
ACCANTO A QUESTI DUE GENI DELLA CHITARRA! PROPRIO TANTO!) E’ una delle
mie parti preferite del mio CD. La amo alla follia.
Alla fine degli anni sessanta avere un’orchestra
che suonava su un disco non era affatto strano. I Beatles, ovviamente.
Burt Bacharach, naturalmente. Il "mellow sound" di gruppi
statunitensi quali The Mamas And The Papas e The Fifth Dimension. Nick
Drake (sebbene a quel tempo fosse praticamente sconosciuto). Gli arrangiamenti
di Charlie Calello per Laura Nyro. Ma anche in un contesto "rock":
ovviamente gli Spirit. I Love. A un certo punto persino i Doors usarono
archi e ottoni, anche se i risultati furono decisamente controversi.
C’erano i fiati in gruppi quali i Blood, Sweat And Tears. Tutto ciò
faceva sì che alla radio il panorama musicale fosse decisamente
vario, ed esponeva gli ascoltatori a molti stili diversi. Tu c’eri.
Sto dipingendo un quadro troppo roseo?
Per nulla. Amavo i fiati in certi contesti e li odiavo in altri. Amavo
gli archi e i fiati orchestrali e le percussioni quasi sempre, indipendentemente
dal contesto. Amo persino quell’arrangiamento sdolcinato di Long And
Winding Road. Quell’arrangiamento è DAVVERO datato per quell’epoca,
ma devi ammettere che accresce l’atmosfera drammatica della canzone.
E’ un po’ come quando scrivo un "soli" per sassofoni (è
quel suono scontato da big band quando hai i sassofoni che suonano stretti
passaggi melodici in un’armonia a quattro o a cinque parti). Molte volte,
in special modo quando lo faccio con la musica di Zappa, dev’essere
preso come uno scherzo musicale. Mettere un concetto retro in una cornice
moderna. Che lo faccia come scherzo o no, lo faccio anche perché
adoro il suono che ha. E quindi per me raggiunge due scopi.
Potresti andare indietro a Hang On Sloopy e sentirci un paio di fiati!
Hanno usato i fiati per rimpolpare la musica pop per anni. E che mi
dici di Can’t Take My Eyes Off You dei Four Seasons, che con tutta probabilità
è una delle linee di fiati più memorabili mai scritte?
A quei tempi i Chicago erano uno dei miei gruppi preferiti, ma in seguito
il modo in cui usarono i fiati cominciò a darmi fastidio. Mi
ricordava quegli orribili gruppi che copiavano Maynard Ferguson, per
esempio i Chase. Troppo scontati. Zappa usava i fiati in modo di gran
lunga più fico e originale. A dire la verità, però,
negli ultimi anni mi sono trovato ad apprezzare DAVVERO i brillanti
arrangiamenti dei Chicago. Mi ci è voluto un bel po’, ma ho cambiato
completamente idea. Credo che i gusti musicali possano essere mutevoli.
Credo che la ragione per cui a un certo punto i Chicago cominciarono
a non piacermi fu il fatto che cominciarono a sembrare dei vecchi che
cercavano di essere fichi. Come quando Woody Herman ha cominciato a
fare pezzi dei Chicago come 25 or 6 to 4 o come quando Stan Kenton suonava
Hey Jude. CHE SCHIFO!
Negli anni settanta Elton John ha reso nuovamente
di moda l’uso dell’orchestra, grazie a quegli arrangiamenti di Paul
Buckmaster e, più tardi, di Del Newman. Qualche anno fa sono
rimasto sorpreso nel vedere che Buckmaster era ancora attivo, e vincitore
di un Grammy per il suo arrangiamento di Drops Of Jupiter dei Train.
Ma al giorno d’oggi non capita di sentire troppe parti di archi e ottoni
veri, sono quasi sempre campionate. Vero?
E’ strano che mi citi Paul Buckmaster ed Elton John. Gli arrangiamenti
su quel primo LP sono incredibili! Ho avuto l’intenzione di ritornarci
per analizzarle, ma non ho mai il tempo.
Per rispondere alla tua domanda, è assolutamente vero che oggi
sentiamo più archi campionati. E questo diventa DAVVERO evidente
quando senti i suonatori d’archi bestemmiare e lamentarsi a proposito
dei bei giorni andati. Anche i suonatori di fiati, ma almeno i suonatori
di fiati hanno una migliore prospettiva in proposito. Certo, gli strumenti
veri sono sempre ASSOLUTAMENTE preferibili alla roba campionata, ma
i fiati simulati FANNO DAVVERO SCHIFO! Ricordo che parecchi anni fa
Steve Winwood mi ha davvero spezzato il cuore mettendo un assolo di
sassofono campionato in una delle sue canzoni. Questo è il genio
che ha scritto John Barleycorn, Glad, No Time To Live e un miliardo
di altri classici e sta usando uno schifosissimo suono di sax campionato???
Segno di questi tempi fottuti!
Hai citato Phil Woods. Com’è noto, è
lui che suona l’assolo di sax alto su Doctor Wu degli Steely Dan, su
Kathy Lied. Negli anni settanta gli Steely Dan erano considerati "influenti
innovatori". Che opinione hai di loro?
Musicisti incredibili. Questi due tipi si bilanciano l’un l’altro perfettamente.
Vedo che molti fan di Zappa sono anche fan degli Steely Dan. Ed è
perché la loro musica è piena di sentimento e interessante.
Mi piacciono particolarmente i primi SD. Specialmente le armonie di
Fagen sulla canzone Pretzel Logic. Adoro quella sequenza di accordi!
E infatti a volte infilo il ritornello di I.G.Y. nel mio show su
Zappa e al pubblico piace sempre molto.
Una volta si arrivava a un bilanciamento strumentale
e poi tutto andava direttamente su nastro. Dopo così tanti anni
di multitraccia (per non parlare dei campionamenti!), quant’è
facile trovare un tecnico che capisce concetti quali "piazzamento
dei microfoni" e "bilanciamento acustico"?
Facilissimo! Ce ne sono dappertutto. E sono bravissimi. E sono tutti
in cerca di lavoro.
A giudicare dal materiale che hai scelto per i tuoi
due CD di arrangiamenti di composizioni di Zappa, direi che hai una
spiccata preferenza per il materiale di un certo periodo. E’ vero? In
caso affermativo, cos’è che a tuo modo di vedere rende questo
materiale diverso dalle cose di periodi successivi?
Per prima cosa, è vero che la gran parte del mio repertorio zappiano
si focalizza sul primo periodo. Questo comprende le molte canzoni che
ho arrangiato che non sono state registrate. Quindi la risposta è
sì, quello è stato il mio periodo preferito della musica
di Frank. Ed è certo che non posso attribuire ciò alla
nostalgia. La musica di quel periodo – Uncle Meat, Burnt Weenie, Hot
Rats, etc. – è davvero molto bella.
L’impulso originale per il mio tributo a Zappa è stato ispirato
solo da quel primo periodo, ma man mano che gli show al Bottom Line
sono proseguiti l’attività di arrangiare dell’altro materiale
di FZ è stata davvero intensa. Così a quel punto ho preso
confidenza con tutte le fasi della sua carriera!
La maggior parte delle persone con cui parlo ritiene che il migliore
gruppo di Zappa sia stato la formazione degli anni settanta con George
Duke, Napoleon, Jean Luc, Ruth Underwood, etc. Sono in buona parte d’accordo
con questo giudizio, anche se tutti i suoi gruppi erano eccezionali.
A mio parere, i primi gruppi (1966-1969) con Bunk, Don, Ian, Jimmy,
Roy, etc., erano più "organici" e quindi avevano un
suono decisamente unico. Ritengo ci sia una qualità speciale
che deriva dal fatto che un gruppo lavora e prova molto insieme e impara
il materiale più con la pratica che leggendo le partiture. Sono
sicuro che tutti i gruppi di Frank ricorrevano in una certa misura alla
pratica, ma ritengo, forse erroneamente, che i primi gruppi vi ricorressero
in misura maggiore. E’ un modo più duro di apprendere il materiale,
ma che alla fine ripaga dello sforzo.
E questo viene da una persona (io) il cui gruppo legge SOLO partiture.
Non ho la pazienza per fare tutto il processo di apprendimento con la
pratica.
Per rispondere alla tua domanda su come la musica di Frank sia cambiata
nel corso degli anni, direi che i suoi desideri musicali cambiavano
da uno stadio all’altro. La musica dei Mothers originali divenne sempre
più complessa come il suo desiderio di ascoltare la musica con
gruppi più ampi. Nel periodo in cui lo vidi io, nel ’69, aveva
tre fiati – Ian, Bunk e il fratello di Bunk, Buzz. E su alcune canzoni
anche Motorhead. Ciò gli permetteva di sperimentare le sue composizioni
più avanzate, ma gli dava anche una sezione fiati con i fiocchi
per quei pezzi in stile anni cinquanta che amava tanto.
In seguito girò con un gruppo DAVVERO più grosso, The
Grand Wazoo, e più avanti The Petit Wazoo, nessuno dei quali,
sfortunatamente, ho mai visto dal vivo. Però c’è chi mi
ha dato dei nastri di questi spettacoli. Roba molto interessante. Massima
ironia, il mio Zappa preferito non è il materiale Grand Wazoo,
anche se lo amo quasi tutto. E la mia band lo suona TUTTO.
Negli anni sessanta Zappa era non solo un innovatore
in senso musicale, ma anche un noto rappresentante della "controcultura".
A tuo modo di vedere, i "baby boomer" erano più ricettivi
nei riguardi di (chiamiamoli così) esperimenti in musica, commenti
sociali e così via, di quanto non siano i loro corrispettivi
di oggi? Voglio dire, un artista come Zappa oggi non verrebbe neppure
messo sotto contratto, giusto?
Probabilmente no, ma tieni presente che Frank sarebbe una persona leggermente
diversa se iniziasse oggi. Sarebbe lo stesso genio, ma ognuno di noi
è il prodotto dei tempi in cui si trova a vivere, così
forse un giovane Frank Zappa nel 2006 escogiterebbe un modo per rendere
la sua musica rilevante per
i tempi e quindi vendibile ad almeno un minimo di seguito. Tieni presente
che negli anni sessanta lui cercava sempre di trovare il modo di vendere
la sua musica a un pubblico più ampio. Anche prima che si formassero
i Mothers lui produceva surf music, doo-wop, novelty songs e tutti i
tipi di roba.
Ma se intendi dire che uno Zappa di sessant’anni oggi non riuscirebbe
a trovare un contratto, allora hai SICURAMENTE ragione.
Per rispondere alla tua prima domanda, gli anni sessanta sono stati
un tempo incredibilmente creativo per la musica. Sono d’accordo con
la dichiarazione di Zappa (che ho letto in alcune interviste – non ho
mai incontrato Frank) che più che essere avvedute da un punto
di vista artistico a quel tempo le etichette non avevano nessuna idea
a proposito di quello che poteva e non poteva vendere. Era tutto così
nuovo che loro provavano con qualsiasi cosa per vedere se attecchiva.
Ma a mio parere era il PUBBLICO che era più avveduto, e meno
impaziente con gli artisti che non si limitavano a suonare le canzoni
con le quali il pubblico era già familiare. Sono d’accordo con
Zappa anche sul fatto che gli addetti della divisione A+R (Artist
& Repertoire) delle etichette hanno rovinato tutto eliminando lo
spirito creativo e ricompensando i gruppi e gli artisti che copiano.
Ci sono molti che si fanno beffe degli anni sessanta perché alcune
delle tendenze di quel periodo erano stupide e imbarazzanti, ma sono
stati un periodo MOLTO più fortemente creativo di quello che
è venuto dopo.
In precedenza, durante questa conversazione, hai
fatto riferimento a due album di materiale per lo più originale
che hai registrato e pubblicato. Vorresti dirmi qualcosa di più
in proposito? (Tra parentesi: questi album – e il primo CD zappiano
– si trovano ancora?)
Ho registrato il mio primo LP per big band nel 1982. Il gruppo aveva
suonato per un paio di anni in un nightclub di NY posseduto in parte
da Mike e Randy Brecker chiamato Seventh Avenue South. Mio padre mi
prestò i soldi, sebbene di solito investa il suo danaro oculatamente.
Abbiamo suonato là per tre anni, finché il club non ci
rimpiazzò con Gil Evans. E in effetti, QUELLO fu un investimento
oculato.
Questo LP, chiamato semplicemente Ed Palermo, è stata la mia
prima produzione. Avevo ventott’anni. Ora lo vendo sotto forma di CD
e lo chiamo Papier Mache, che è il nome della prima canzone dell’album.
Ci suonano Randy Brecker, David Sanborn, e il mio preferito, Edgar Winter,
che sul brano che dà il titolo all’album fa un assolo di organo
e di scat che ancora oggi mi dà i brividi. E sullo stesso brano
fa un ottimo assolo di sax.
E’ tutto materiale originale, fatta eccezione per un paio di cose che
ho scritto insieme ad altra gente.
Pubblicare un album sulla propria "etichetta" è una
cosa che sfinisce e ho giurato che non l’avrei fatto mai più.
Ci vollero cinque anni prima che una casa discografica mostrasse un
interesse a pubblicare il mio album successivo, Ping Pong, che prende
il nome da un brano di Wayne Shorter. Questo fu per un’etichetta scadente
chiamata Pro-Arte. Le note di copertina erano piene di errori di battitura
e di grammatica. Però la musica era buona. Molto diversa da quella
del primo album. Meno complessa e più swingante.
Questi CD sono disponibili scrivendo direttamente a me. Se qualcuno
ne vuole comprare uno o più può scrivere direttamente
a me a [email protected].
E mi sono rimaste ancora alcune copie del mio primo CD zappiano, per
il quale valgono le stesse condizioni.
Hai fatto un sacco di concerti durante i quali hai
suonato i tuoi arrangiamenti del materiale zappiano. Mi parleresti di
alcuni momenti/esperienze particolari? (Mi piacerebbe anche sapere qualcosa
a proposito dei tuoi concerti con Mike Keneally – in una recente intervista
che ho fatto con lui mi ha parlato di alcuni momenti davvero particolari…)
Sì, è vero, abbiamo suonato un sacco
di show! Ci sono stati molti – e diversi – ospiti: Ike Willis, Napoleon
Murphy Brock, Mike Keneally, David Tronzo, il grande chitarrista slide,
l’ex chitarrista di Captain Beefheart Gary Lucas e altri ancora.
Sempre belle esperienze. Di tanto in tanto includo dei pezzi non scritti
da Zappa, e così è stato grandioso sentire Keneally fare
un assolo sul mio arrangiamento di Bitch’s Crystal di Emerson, Lake
and Palmer e Ike Willis cantare Rainy Day e If 6 Was 9 di Jimi Hendrix.
E Keneally suonare Diamond Dust di Jeff Beck!
Ricevo ancora e-mail da parte di gente che ha visto gli show nei quali
ha suonato Keneally. Mike porta con sé un’energia che è
stupefacente. Non è solo il fatto che è un musicista tanto
brillante, è il fatto che ama tanto la musica. Una volta Gil
Evans mi ha detto che gli strumentisti davvero eccellenti hanno quell’amore
e quella passione per il suonare.
Con Keneally, potevo dirgli velocemente prima del set che cosa avremmo
fatto, qualcosa a proposito del suo ruolo in esso, e si partiva da lì.
Suonare dal vivo mi piace solo se ha quella qualità organica.
Il gruppo è sempre a posto con le prove, ovviamente, ma butto
dentro un sacco di "bastoni tra le ruote" per mantenere le
cose fresche. (Nota per gli italiani: spero di non stare usando troppe
espressioni americane, come per esempio "monkey wrench".)
(Nota per Ed: Non preoccuparti, Ed, a Clouds and Clocks usiamo solo
i migliori traduttori.)
So che Mike non è rimasto contento della sua performance sul
mio primo Zappa CD, ma credimi, in quell’occasione ha suonato in modo
incredibile. Lui è molto critico nei riguardi di se stesso. La
maggior parte dei geni lo è.
Il tuo nuovo CD è uscito, le recensioni stanno
arrivando… Qualche progetto a proposito di tour? Altri tipi di lavoro
mentre sei sulla strada che ti porta alla celebrità?
Non esattamente. E’ ancora estremamente difficile trovare dei promoter
che paghino per mandare in giro una band di queste dimensioni. Abbiamo
un concerto a Detroit (è un festival di jazz) lunedì 4
settembre, e un paio di cose in agosto a New York e nel Jersey, ma per
il momento è tutto.
© Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net |
July 12, 2006