Different Every Time:
The Authorised Biography Of Robert Wyatt
By Marcus O’Dair
Serpent’s
Tail 2014, £20.00, pp460
Un
settantesimo compleanno che ormai bussa alla porta e una vena compositiva che –
mai veramente torrenziale – sembra essersi ancor più asciugata con il passare
degli anni danno a questa biografia di Robert Wyatt ("la sua prima,
scritta con la sua più piena partecipazione", recita – in inglese – il
risvolto di copertina) un carattere forzatamente "definitivo". Il
lettore non ne ricavi una sensazione di tristezza, ché anzi – a dispetto delle
tante vicissitudini che sono state parte importante della vita di questo
musicista – l’impressione generale a libro chiuso è quella di un trionfo sulle
avversità e di un percorso artistico tutt’altro che lineare ma dove begli
episodi in gran numero si affiancano ai capolavori universalmente riconosciuti.
Sentiamo
innanzitutto il bisogno di dire con chiarezza che questa biografia è frutto di
un lavoro svolto con serietà, circostanza tutt’altro che scontata oggi che
Internet e un’arma micidiale quale il "copia & incolla" sono in
grado di produrre degli "instant book" privi di prospettiva e novità.
Nome del tutto nuovo per chi scrive, Marcus O’Dair mostra tramite una prosa
chiara e senza troppi fronzoli la sua abitudine al raccontare, come prova il
suo ricco curriculum.
Quattrocento
pagine di narrazione che scorrono con grande fluidità, lo sguardo continuamente
e allegramente distratto da un’enorme quantità di fotografie e disegni che
arricchiscono e completano lo scorrere degli eventi, e una discografia che pur
"selezionata" sarà in grado di svelare nuovi particolari per anni a
venire. Dando per scontato il ricorso a materiali già noti, il cui utilizzo è
indicato con grande accuratezza in un dettagliato elenco posto in fondo al
volume, quello che qui fa la differenza è il gran numero di interviste – una
settantina – a persone il cui cammino ha incrociato quello del musicista e la
cui testimonianza aggiunge informazioni, spezie e prospettiva alla narrazione
generale.
(Due
buffi errori: la parola "photogaphs" a pag.434 e la lettera
"F" che compare al posto della "H" a pag.444 nell’indice
generale.)
Chi il
destinatario principale di questo volume? Una bella domanda, soprattutto oggi
che l’avversione per la lettura sembra aver raggiunto dimensioni ragguardevoli,
e un punto di non ritorno. E qui la risposta ci sembra da articolare su
coordinate di età (e lo diremmo ovvio) ma anche culturali/geografiche.
Ormai
nascosta, dispersa e sotterranea, esiste una fascia di appassionati di musica
"rock" per i quali la sequenza Soft Machine (con un posto di rispetto
attribuito a Volume Two e Third), The End Of An Ear, Matching Mole, Rock Bottom
ha una logica e un senso di per sé evidente. Si tratta di appassionati da individuare
più in Europa che negli Stati Uniti (dove "rock" vuol dire un’altra
cosa, e dove Wyatt è stato tutt’al più un "cult artist" – cosa che
suona assurdamente strana a un italiano che era ragazzo negli anni settanta), e
più in Europa continentale che nel Regno Unito. Ricordando che su scala
"rock anni settanta" un gruppo come gli Hatfield And The North
rappresentava "l’ala facile", se rimpiccioliamo la fetta di
appassionati di musica "rock" includendo chi amava gli Henry Cow di
Concerts e i News From Babel di Letters Home – album che vedono la
partecipazione di Wyatt – abbiamo sempre un numero ragguardevole di persone.
Ma esiste
tutta un’altra fascia di ascoltatori che – a partire dai singoli incisi da
Wyatt in epoca "new wave" per la Rough Trade – è arrivata alla sua
produzione da strade molto diverse, e che troverà in questa narrazione delle
dimensioni estetiche forse insospettate.
Strano a
dirsi, dato il carattere tutto sommato "di culto" del suo successo,
con il trascorrere degli anni Robert Wyatt è diventato qualcosa come un
"elder statesman", una persona dai multiformi interessi fondati su
una dimensione che diremmo morale prima che politica, ma il cui impegno
politico – sia in senso di classe che su coordinate terzomondiste – si è mosso
lungo categorie condivise da molti fan di musica rock di quell’epoca.
Da quel
che si è fin qui detto sarà chiaro che questa non è una biografia che si limita
alla sola sfera musicale – né lo potrebbe, dato che pochi casi illustrano con
chiarezza paragonabile a quello di Wyatt la commistione tra
"personale" e "politico". E quindi assistiamo
all’intrecciarsi di fatti biografici, collaborazioni musicali, prese di
coscienza in una narrazione decisamente chiara e che – fatto estremamente
importante – non manca di incalzare il protagonista quando questi sembra voler
evitare argomenti per lui poco piacevoli.
Dando per
scontata la dimensione colossale della parte che spetta ad Alfreda Benge,
compagna e collaboratrice di tutta una vita, ci è parso che spunti interessanti
siano stati forniti da Chris Cutler e Brian Eno (a proposito: siamo solo noi a
essere sorpresi dal fatto che la musica della celeberrima O Caroline è detta
essere stata scritta da Dave Sinclair?).
Cosa
manca? Strettamente parlando, diremmo nulla: dall’infanzia alla maturazione,
dalla travagliata esperienza con i Soft Machine (mai all’epoca avremmo potuto
immaginare che i rapporti fossero quelli) alle esperienze pre e post quella
rovinosa caduta che lo rese paraplegico, al suo rapporto stretto e continuativo
con l’alcol (per chi scrive, un’altra sorpresa) il libro fa egregiamente il suo
mestiere.
Chi
scrive avrebbe voluto più "musica", a partire dal rapporto di Wyatt
con i grandi batteristi di jazz: una storia che, per certi versi evidente per
un ascoltatore dagli ampi orizzonti dell’epoca, diventa sempre più opaca, e
sempre meno facilmente ricostruibile, man mano che ci allontaniamo da quei
tempi. E ovviamente non tutti i lettori condivideranno i giudizi di O’Dair
sulla produzione solista degli ultimi anni. Da parte nostra avremmo gradito
qualche informazione in più su alcuni episodi – vedi quel progetto di creare un
polo composto da sala d’incisione/sala conferenze/galleria d’arte intrapreso da
Robert Wyatt, Brian Eno e Phil Manzanera e poi abbandonato per motivi economici
– che a nostro avviso rendono meno monolitico il panorama "pre-punk".
Ma ovviamente questo è il libro di O’Dair, non il nostro.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net | Dec. 10, 2014