Intervista a
Sacha Mullin
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di Beppe Colli
Oct.
19, 2017
Se non "album dell’anno", certamente
"sorpresa dell’anno". Come ampiamente argomentato in sede di
recensione, Duplex di Sacha Mullin abita la dimensione melodica in modo
riconoscibile, ma con un numero di bizzarrie e "nodi" melodici e
strutturali da tenere ben desta la nostra attenzione.
Ma chi è questo signore, come ha realizzato l’album, come si
guadagna da vivere, e chi sono queste brave cantanti con le quali divide la
scena?
Tutte cose di cui si è discusso in questa intervista
realizzata la scorsa settimana mediante posta elettronica. La prima domanda non
poteva però non riguardare qualcosa che ci aveva molto incuriosito.
Come prima domanda, vorrei che mi
parlassi di qualcosa che mi ha molto incuriosito: esiste davvero un libro chiamato Nigellissima, ed è vero che a pag. 260 ci sono le
parole "eggs in purgatory"?
Sì! Sarebbe una cosa davvero strana da inventare, così
precisa, non trovi? Però, a ben considerare, credo che sia davvero strano
citare con questa precisione un libro di ricette. Eggs in Purgatory (Uova in
Purgatorio) è una ricetta che si trova in un libro ispirato alla cucina
italiana scritto da Nigella Lawson. Sono uova fatte cuocere in una colorata
salsa di pomodoro. Sono un fan di quello che scrive Nigella, e cucino spesso
seguendo i suoi suggerimenti. Considero quella ricetta un "comfort
food", è un piatto che lei definisce perfetto da mangiare "quando ti
senti uno schifo".
Dive parla di una brutta esperienza che mi è capitata nel
mondo dell’industria musicale, quindi puoi capire che quando ho scritto quella
canzone avevo già cotto un sacco di uova…
Duplex è diviso in due parti – una dal
suono che potremmo dire "elettronico", l’altra decisamente
"acustico" – registrate ad alcuni anni di distanza. Vuoi parlarmi di
queste due "metà", di come sono in relazione, e del perché hai deciso
di pubblicarle sotto lo stesso tetto?
Sono spesso stato combattuto tra il volere un suono ben
curato e il volerne uno piuttosto grezzo, e così ho deciso di vedere se
riuscivo a trovare il momento giusto per farli tutti e due. Voglio dire,
rappresentare contemporaneamente due aspetti di me stesso. E credo che le
canzoni funzionino sotto lo stesso tetto perché le ho scritte tutte in uno stato
mentale simile. Molte di loro parlano di circostanze sfortunate, e cercare di
sopravvivere, forse combattere per un senso di felicità realistico. E tutte
tendono a iniziare basse, per poi gonfiarsi in modo drammatico nel corso di
diverse sezioni, usare molta armonia e contromelodia… La verità è che alcune
canzoni avevano bisogno di essere vestite in modo diverso, così ho dovuto
prestar loro orecchio. Potremmo dire che per me sono vive. La realizzazione
dell’album è stata interrotta alcune volte per un motivo o per l’altro, ma ci
lavoravo sempre, spesso riflettevo o apportavo delle modifiche. Un po’ come
preparare un impasto per il pane e lasciarlo a riposare.
Ho preparato la roba elettronica per prima, soprattutto
perché sapevo che era la parte che ci sarebbe voluto più tempo a realizzare.
Cory Bengtsen mi è stato di grandissimo aiuto con il suo lavoro di
programmazione. Per quanto riguarda il lato più acustico volevo aspettare e
crescere come individuo in modo da essere in grado di suonarle al meglio delle
mie possibilità.
A un certo punto avevo pensato di pubblicare separatamente
le due facciate, ma quando le ho messe una dopo l’altra ho scoperto che
preferivo che le canzoni apparissero come un album. E credo proprio che
funzioni! E’ come se nella seconda parte le canzoni cambiassero pelle. Forse
come se l’album evolvesse in qualcosa di più umano.
L’album ha un gran bel suono, e mi pare
quasi di vedere i dati che viaggiano avanti e indietro. Mi piacerebbe sapere in
che modo hai comunicato a distanza con i musicisti che hanno dato un contributo
alle canzoni, sia da un punto di vista vocale che strumentale: demo o
partiture?
Per qualche motivo mi è venuta in mente un’immagine di quel
vecchio episodio di Magic
School Bus quando
intraprendono un viaggio all’interno di un computer… Beh, ho registrato
diversi demo e ho scritto delle partiture per le loro parti, di solito a mano.
Ho comprato una bella penna e un righello in modo che avessero un bell’aspetto.
A quel punto scrivevo o chiamavo, e descrivevo quello che volevo da un punto di
vista concettuale. A quel punto registravano, ne parlavano con me, e mi
mandavano i file delle loro sedute di registrazione.
Questo è stato il mio primo esperimento di avere persone che
registrano a distanza, quindi mi ha fatto piacere che tu abbia detto che il
tutto suonava come un gruppo di musicisti che si trovano nella stessa stanza.
Grazie!
Mi piacerebbe sapere di più di due pezzi
che compaiono sull’album: Eureka, che è cantata in giapponese…
Eureka era un pezzo che non ne voleva sapere di essere in
inglese. Ricordo che tutti i testi che ho scritto erano orribili. Prima di
decidermi a usare il giapponese ho provato un po’ di cose. L’ho studiato a
intermittenza da quando ero bambino, e adesso lo studio alla Japan-America Society
a Chicago con Kimiko Nakamura. La mia amica Keiko Yagashita mi ha aiutato a
mettere in ordine delle strofe e mi ha offerto suggerimenti su come cambiare
alcune cose e su modi alternativi di esprimere alcune cose. Scrivere in modo
poetico in un’altra lingua è un’impresa, e volevo che i risultati fossero
eccellenti, non solo passabili. Con quest’obbiettivo in mente, scrivere il
testo mi ha richiesto all’incirca un anno.
Ora che posso esaminare Eureka dall’esterno, devo ammettere
che è una canzone abbastanza strana, non è vero? Da cantare è molto difficile,
la struttura è insolita, e nella produzione c’è un gran numero di strati. Non
riuscirò a sottolineare abbastanza quanto è stato difficile finire questa
canzone. Ma so essere ostinato, e fortunatamente ho scelto di perseverare. E
sono contento, perché credo che in questa canzone ci sia tanta bellezza.
Ricordo che quando eravamo sul punto di finire il missaggio,
Todd Rittmann mi ha fatto ridere, dicendo qualcosa come "Beh, ancora non
ho idea di quale fosse il risultato che volevi ottenere per questa canzone, ma
credo che tu lo abbia raggiunto, qualunque esso fosse."
…e Questions, una cover da un serial
della Disney chiamato So
Weird (da cui
suppongo siano tratti gli spezzoni che aprono e chiudono Dive), di cui non so
assolutamente nulla.
Una piccola e drammatica canzone, eh? E per uno show per
ragazzi degli anni novanta? So
Weird era un serial di fantascienza che aveva come protagonista Mackenzie Phillips. Era una miscela
bizzarra di cose che amavo da bambino: mitologia, mistero, e musica. Mi piaceva
il fatto che non guardasse con superiorità il suo giovane pubblico. Questions
era in un episodio che vedeva la partecipazione di Jewel Staite nella parte di
una sirena, in un triste caffè. Guardandolo ora è un po’ scadente, ma io ero
completamente assorbito da tutto quello che aveva a che fare con la mitologia
greca, e da quella luce morbida che usavano.
Nel corso degli anni quel riff vocale senza parole mi veniva
in testa di tanto in tanto all’improvviso, e quel testo bizzarro, "watch
TV"… Dopo la milionesima volta che è successo ho detto, "OK, OK,
cervello mio, registrerò questa oscura canzone, ora stai zitto!".
A quel tempo frequentavo la persona che aveva scritto la
canzone, Annmarie Cullen. Nella sua scrittura c’è un grande istinto pop, e una
voce piena di passione. In un certo senso, registrare Questions è stato il mio
"grazie" all’influenza e alla gentilezza di Annmarie, oltre che ad
altri elementi vari dell’epoca in cui sono cresciuto. E non solo ad Annmarie è
piaciuto l’arrangiamento, ma ha anche acconsentito a cantarci su insieme a
Emily Bindiger e alla mia ex insegnante di canto Judi Donaghy-Vinar. Sentire
queste armonie "strette" ancorate da pilastri della mia vita è stata
un’esperienza davvero intensa. E Judi è fantastica, e centra in pieno quella
nota alta verso la fine.
Devo aggiungere che Questions è l’unica canzone dell’album
non prodotta da Todd (Rittmann), ma da James Sanger. Ero un fan di un album di
Siobhán Donaghy delle Sugababes che ha prodotto, quindi per me è stato un onore
lavorare con lui. Abita in Francia, quindi abbiamo fatto gran parte della session
via email e Skype. Lavorare in quel modo è stato difficile, ma gli sono grato
per quell’esperienza, in special modo per la pazienza che ha avuto con me!
Ci sono tanti ottimi cantanti che
compaiono sull’album, e vorrei che me li presentassi tutti, ma specialmente
Emily Bindiger, che canta su tutte le canzoni della "facciata due".
Molti cantanti sono miei amici del gruppo Cheer-Accident. Mi
piacciono molto, e ho voluto lavorare con loro in un contesto diverso. Evelyn
Davis è la mia gemella in spirito – una persona scherzosa dal cuore d’oro. La
sua voce è stupefacente ed elastica. Amelie Morgan ha una caratteristica
marcata: cristallina, ma a piena gola. E Carmen Armillas è una vera forza della
natura. La sua voce è ricca, piena di sfumature, e calda. Ma anche forte, e
come un guerriero. Proprio come lei.
Parliamo di Emily Bindiger. Super gentile, incredibilmente
acuta, e uno dei musicisti più completi che avrai modo di incontrare. In tutta
onestà lei ha molto a che fare con il mio amore per la musica, quindi per me è
stato importante che lei partecipasse. Può suonare strano, ma ricordo che
volevo essere "la voce senza corpo alla fine del film quando scorrono i
titoli di coda". Ero molto giovane quando ho preso questa decisione, forse
a dieci anni o meno. Leggevo le note di copertina degli album e prestavo molta
attenzione alle persone sullo sfondo, mi chiedevo se avrei mai incontrato
alcune di queste voci senza corpo. Ho continuato a individuare la voce di Emily
nei posti più disparati, per esempio la pubblicità Advil, o Donnie Brasco, o The Baby-Sitters Club. All’età
di dieci o dodici anni ho deciso di osare e scriverle una lettera da fan.
Abbiamo cominciato a scriverci, per poi diventare amici nella realtà. A
ripensarci adesso è un po’ bizzarro. Ora ho ventott’anni!
Emily apprezza molto il mio lavoro, ed è anche qualcuno che
sono felice di avere conosciuto. Duplex è stata la nostra prima
collaborazione. Ho sempre voluto cantare con lei, quindi ho scritto molti
arrangiamenti dell’album avendola in mente. Lei apre e chiude l’album, dato che
tante delle voci su Intro sono sue, e Accept Treasure ha la sua voce che si
dissolve nell’etere. Trovo il suo modo di cantare molto aereo, ma anche
bilanciato. E pieno di verità e empatia, e anche di oscurità nascosta. Nella
sua voce Emily esprime pienamente la condizione umana. Non so se si capisce
quello che voglio dire, spero di sì. Ed è fantastica quando registra le armonie,
così scherzosamente la chiamo la Regina della Sovraincisione. Quando ha finito
di registrare per me, mi ha restituito il favore soprannominandomi "King
Tritone" (il "tritono" è un intervallo di una quarta
aumentata), in ragione di tutte le armonie dissonanti. Ho risposto con
un’immagine del padre di Ariel da The
Little Mermaid, il King
Triton – alla quale lei ha risposto con, "OH MY GOD, SACHA."
Se riesce a sopravvivere ad altri "dad joke",
spero di lavorare ancora con lei. Quanto meno le devo un brunch.
Produzione chiara, bel missaggio, una
masterizzazione molto musicale. A che punto della vicenda entra Todd Rittmann?
Todd è completamente responsabile del modo fantastico in cui
suona tutto. Trasuda magia, non è vero? E’ bravissimo. All’inizio sono andato
da Todd con un mucchio di file caotici delle session della metà elettronica e
di fatto gli ho dato il compito tutt’altro che invidiabile di aiutarmi a
venirne a capo. In passato Todd e io abbiamo lavorato insieme su altre cose,
quindi sapevo che aveva le qualità musicali che cercavo.
Credo che l’unica volta in cui ha espresso preoccupazione è
stato quando ha aperto il file Dive. Ha detto qualcosa come "Vuoi davvero
tutte le 64.000 chitarre?" Al che ho risposto, "Sì, Todd. Proprio
così." Quando abbiamo finito quel set di canzoni abbiamo lavorato sulla
parte acustica da zero, e poi abbiamo completato l’album.
Ha costruito lui lo studio in cui abbiamo lavorato, con
quelle luci caleidoscopiche e i pavimenti in legno. Quando le cose diventavano
difficili ha mantenuto un’atmosfera positiva, ha offerto suggerimenti
importanti, e mi ha molto aiutato a creare la musica. Tutti dovrebbero avere la
possibilità di lavorare con qualcuno come lui. In questo momento è in tour
negli Stati Uniti con il suo gruppo, Dead Rider. Se qualcuno se lo trova a
tiro, non fatevelo scappare!
So che canti con due gruppi,
Cheer-Accident e Lovely Little Girls, che non ho mai ascoltato. Parlamene.
Ognuno a modo suo, sono ambedue gruppi avant-garde. Diciamo
che ci sono capitato dentro. Mi sono trasferito a Chicago nel 2011, ed ero già
amico dell’allora batterista dei Lovely Little Girls, Charlie Werber. A quel
tempo ero in una pausa musicale autoimposta, ma mi ha mandato lo stesso un
email dicendo che cercavano un tastierista, e volevano che facessi un provino.
Ho rifiutato. Ne hanno trovato uno, e allora mi ha detto, "OK, ora hanno
bisogno di qualcuno che faccia i cori". Dopo un po’ di tira e molla ho
ceduto e si è rivelata una delle esperienze più soddisfacenti e musicalmente complesse
della mia vita. La musica è pazzesca, come una funk band da Urano. Gregory
Jacobsen, il cantante, ha una grande presenza scenica. E’ anche un eccellente
pittore. Con loro ho fatto due tour e due album su Skin Graft, e sono fiero di
quel lavoro. Ho deciso di lasciare il gruppo la scorsa estate, ma sono ancora
in contatto con tutti loro. Separazione amichevole, il cammino si era concluso.
Lovely Little Girls era in un certo senso un gruppo derivato
da Cheer-Accident, dato che alcuni membri vengono da lì. A causa di questo
collegamento ho conosciuto il loro chitarrista, Jeff Libersher, che mi ha
chiesto di cantare su un demo. Quella registrazione è poi diventata una canzone
dei Cheer-Ax, I’m Just Afraid, e tutto d’un colpo mi esibivo con loro. Hanno un
grande catalogo. Ne ho fatto parte per qualcosa come tre anni. Oggi sono un
collettivo variabile, quindi se dovesse capitare l’occasione mi piacerebbe
esibirmi nuovamente con loro. Quest’anno abbiamo pubblicato un album, Putting Off Death, per la Cuneiform.
"Sbarcare il lunario".
Svolgimento.
Insegno privatamente voce e pianoforte, e di tanto in tanto
faccio una master class. Essere un insegnante è uno scambio ricco. Imparo molto
sulle persone, dato che i miei studenti sono tutti di età, retroterra e abilità
molto variabili. Il solo fatto di sentire com’è la giornata di qualcuno è –
strano a dirsi – uno degli aspetti maggiormente soddisfacenti di questo lavoro.
Di tanto in tanto lavoro con una società di PR e consulenze focalizzata sulla
musica classica chiamata Peter McDowell Arts Consulting. Ha molto migliorato la
mia abilità al computer, e mi ha aiutato a stabilire contatti per molti
artisti. Ora sono anche decisamente bravo a mandare pacchetti internazionali.
Sono davvero curioso di conoscere il tuo
background. Hai studiato musica, ecc.?
Ho frequentato il Perpich Center For Arts Education, un
liceo artistico, dove ho soprattutto studiato musica. Poi sono andato al
McNally Smith College of Music, e ho conseguito un Bachelors of Music in
Contemporary Vocal Performance. Anche la mia famiglia è versata nella musica,
quindi ho assorbito molto per il fatto di farne parte.
Vorrei che tu mi parlassi di quelle che
consideri le tue influenze principali, sia dal punto di vista vocale che
strumentale.
Credo di dovere davvero molto al fatto di avere ascoltato e
cantato insieme a Geike Arnaert. La sua voce è ingannevolmente sofisticata, con
tanto stile e cambiamenti di intonazione. E’ incredibile ascoltare la sua
progressione da un sospiro delicato a una "torch singer"
sinistra. Che altro… Crescendo, ero affascinato da the Mamas & the
Papas, cosa alla quale è probabilmente dovuta la presenza di tutte le voci
nella mia musica. Chi mi conosce sa che Joni Mitchell e Kate Bush sono
incorporate in me. Sono musiciste diverse in molti modi, ma ambedue sono senza
paura e ricche da un punto di vista armonico. Tutt’e due affrontano quello che
hanno intorno e lo sfidano in modo interessante, sia nei suoni che nei testi.
Da loro ho imparato a essere coraggioso.
Oh, e Lisa Fischer. Devo averla vista cinque volte
quando mi preparavo a registrare la seconda facciata di Duplex, cercando di assorbire quello
spirito. Lisa trasuda musica. Lei ha adottato questa cosa a due microfoni
che le ho rubato quando mi esibisco, uno "asciutto", uno immerso nel
riverbero.
Per me agli inizi Yoko Kanno è stato un’ispirazione per
quanto riguarda produrre toni caldi al sintetizzatore, e per il mio
apprezzamento della dissonanza intenzionale. Ritengo che Bill Evans e Ryuichi
Sakamoto abbiano molto a che fare con il modo in cui formo gli accordi al
piano. Amo l’essere riflessivo di ambedue. Direi che Laura Nyro fa parte delle
mie influenze al piano. Non credo che il mio suono somigli al suo, ma
impazzisco per il suo stile ritmico.
La prossima mossa?
Continuare a fare promozione, suonare quest’album con la mia
live band (Mike Baldwin, Matt Precin, Gabe Riccio). Inoltre sto preparando il
materiale per un altro lavoro da titolare, che spero di iniziare a registrare
quest’inverno. Fammi gli auguri!
© Beppe Colli 2017
CloudsandClocks.net | Oct. 19,
2017