The
Doors: A Lifetime of Listening to Five Mean Years
By Greil Marcus
PublicAffairs
2011, $21.99, pp210
E’ ormai
da circa vent’anni che chi scrive (ma abbiamo ottime ragioni per credere
che la nostra sia tutt’altro che una posizione isolata) e "i Doors" (termine
virgolettato che qui indica i tre membri del quartetto originale ancora
in vita insieme ai loro manager, avvocati, discografici e via enumerando)
sembrano impegnati in una curiosa competizione: vedere quante cose di pessimo
gusto dettate da pura avidità monetaria i secondi riescano a fare prima
che il vostro affezionatissimo si ritrovi a trasferire il proprio personale
disgusto per tutto ciò sulla musica incisa dal quartetto The Doors e dai
suoi più stretti collaboratori: sei album di studio e un doppio dal vivo
pubblicati tra il 1967 e il 1971, anno in cui la morte della personalità
di spicco del gruppo (e sua unica ragione di esistenza in termini mediatici
per la maggior parte del suo pubblico, critici inclusi) mise fine alla
storia.
Ci rendiamo
perfettamente conto che mai un ascoltatore maturo dovrebbe permettere che
antipatie personali nei confronti di comportamenti ex post provochino un
cambiamento di percezione tanto radicale da contaminare un oggetto d’arte.
Evidentemente non siamo maturi abbastanza. Ma a nostra (parziale) discolpa
offriamo un (parziale) elenco di "malefatte":
pubblicare
un cofanetto di 4 CD – The Doors Box Set – dove tre CD di rarità si accompagnano
a un CD di "Band Favourites" che qualunque acquirente già possiede
da tempo immemorabile;
pubblicare
un set di CD "digitally remastered" dal suono atroce che vanno
a sostituire i CD originali;
pubblicare
una 40th Anniversary Edition in CD di tutti gli album con dei rimissaggi
di gusto repellente…
…
e contemporaneamente mettere fuori catalogo i CD contenenti il missaggio
originale, con la conseguenza che…
…
per aver i missaggi originali occorre acquistare gli album in vinile, da
poco ristampati;
promettere
la pubblicazione di Live At The Matrix, 1967 – posseduto da tutti sotto
forma di bootleg – in un’edizione finalmente tratta da The Original Master
Tapes (esistenti, e noti), per poi stampare un set tratto da un bootleg
(e solo perché non ci si è messi d’accordo sul prezzo!) negando al contempo
che di bootleg si tratti, per poi confessare a mezza bocca;
ritoccare
la foto di copertina di When You’re Strange, il documentario di Tom DiCillo
(e del CD corrispondente), di modo che lo stomaco di Jim Morrison sia meno
debordante e il suo doppio mento meno evidente;
va
notato che il libro di Marcus faceva in origine parte di un blitz che includeva
la versione 40th Anniversary Edition di L.A. Woman (che voci attendibili
dicevano espandersi nel frattempo da doppio a quadruplo), un DVD-V il cui
titolo annunciato era Mr. Mojo Risin’ – The Story Of L.A. Woman e di nuovo
il Live At The Matrix, 1967, stavolta (!) in una versione tratta dai nastri
originali (ai quali verrebbero aggiunti i nastri "appena ritrovati"
dei leggendari concerti al London Fog dell’anno prima); qualcosa però è andato
storto, lasciando Marcus solo soletto in libreria e trasferendo le uscite
annunciate al 2012 ("The Year of The Doors!"). (E poi c’è una serie
di album in vinile formato "doppio 45 gg.", per la serie "nasce
un coglione al minuto".)
Il
libro di Marcus va ad aggiungersi a una serie di titoli già pubblicati
che non è esagerato dire immensa. Ma se dovessimo indicare quello che ci
pare realmente utile per comprendere la musica del gruppo – cosa ancora
più importante oggi, quando mille scorie si sono sedimentate sul suono
– a ben vedere la scelta non sarebbe troppo ardua:
per
una visione "in tempo reale" ci sono i due pezzi di Paul Williams
apparsi originariamente nel 1967 sulla rivista statunitense Crawdaddy!
(Rock Is Dead: A Discussion Of A Doors Song e la bella intervista con il
produttore del gruppo intitolata Rothchild Speaks) e oggi contenuti nella
raccolta Outlaw Blues;
c’è
un volume (di qualche tempo fa) di Chuck Crisafulli, Moonlight Drive: The
Stories Behind Every Doors’ Song (ne esisteva anche una traduzione italiana),
che senza darsi troppe arie abbina con successo analisi e descrizione –
e che sorpresa ritrovare Arthur Barrow, già bassista zappiano, intento
a tessere le lodi delle progressioni armoniche di quei brani del periodo
di mezzo che solitamente riscuotono così poche simpatie (se non ricordiamo
male è proprio Barrow a suonare – non accreditato – quell’assolo di organo
tanto doorsiano che appare in If Only She Woulda, sull’album di Frank Zappa
You Are What You Is);
una
buona prospettiva "interna" è quella offerta dal batterista John
Densmore nel noto volume intitolato Riders On The Storm;
ci
sono poi le interviste al chitarrista Robbie Krieger e al tastierista Ray
Manzarek apparse in vari anni su mensili statunitensi quali Guitar Player
e Keyboard;
bellissimo
testo, l’intervista al tecnico del suono Bruce Botnick – che fa parte della
nota serie Classic Tracks e che ha per oggetto principale l’album Strange
Days – originariamente pubblicata sul mensile Sound On Sound in data December
2003 è oggi agevolmente consultabile in Rete (una vetta tra molte, il modo
in cui fu realizzato il suono dell’assolo di chitarra di When The Music’s
Over, per chi scrive uno dei più belli di tutta la storia del rock).
Dobbiamo
ammettere che venire a sapere che Greil Marcus si apprestava a pubblicare
un libro sui Doors ha destato in noi più d’una perplessità. Il perché è
presto detto: non c’è alcun dubbio che Marcus sia un ottimo critico. Ma
che tipo di critico sia non sempre è chiaro, e che non sia quello che chiameremmo "un
critico musicale" – nel senso di "un critico che ha a che fare
con la musica" – ci sembra indubitabile. "Un critico che ha a
che fare con degli oggetti culturali che in qualche maniera risultano apparentati
con la musica in una delle sue molteplici accezioni" ci sembra la
definizione più calzante. Resta poi ovviamente da vedere quanto il suo
lavoro sia utile a capire la "musica".
Diremmo
che il libro più noto di Greil Marcus sia ancora quel Mystery Train: Images
Of America In Rock ‘n’ Roll Music, pubblicato per la prima volta nel 1975
e più volte ristampato. E prima di riflettere adeguatamente su quelle "Images
Of America" quali "oggetti culturali" privilegiati ci parve
che il lavoro di Marcus non ci fosse di molto aiuto per la comprensione,
per fare solo un esempio, della musica di Randy Newman, uno dei protagonisti
di quel libro. Almeno, non quanto ci fu d’aiuto l’intervista di Bob Doerschuk
– storia di copertina del mensile statunitense Keyboard in data February
1989 – nell’illuminare il suo concetto di ritmo e il suo legame con la
tradizione pianistica di New Orleans.
Non
è che qui si intenda dire che gli strumenti di analisi di Marcus non sono
di per sé validi. E’ che questo procedere – diciamo, di tipo
"letterario" – fa correre a chi lo utilizza il serio rischio di
giungere a risultati che risultano suggestivi alla lettura ma poco fertili
come risultati. (In mani poco oneste l’esito certo è una cialtroneria a colori.)
Una
differenza di approccio che ci indusse a dare solo una scorsa veloce a
Lipstick Traces: A Secret History Of The 20th Century (1989) e a Invisible
Republic (1997, poi ristampato come The Old, Weird America: The World Of
Bob Dylan’s Basement Tapes). Mentre una sostanziale indifferenza nei confronti
dei soggetti trattati, prima ancora che degli "oggetti" prodotti,
ci indusse a tenerci lontani dai volumi dedicati a Elvis Presley, Bob Dylan
e Van Morrison.
Ricordiamo
che Greil Marcus è stato anche apprezzato curatore di celeberrime antologie
quali la collettiva Stranded (1979) e Psychotic Reactions & Carburetor
Dung di Lester Bangs (1987).
Marcus
asserisce di essersi divertito non poco a scrivere questo libro ("This
book was fun to write"), che risulta di lettura decisamente scorrevole.
Letto due volte, solo due piccolissimi errori: Marcus pone l’uscita di
Hello, I Love You nel 1969 (pag. 44) e aggiunge una "i" a "G.
Puglese" (pag. 159), lo pseudonimo scelto da John Sebastian nelle
sue vesti di armonicista ospite in Roadhouse Blues, su Morrison Hotel.
Per anticipare
le conclusioni, il libro ha destato in noi numerose perplessità, per una
serie di questioni cui accenneremo tra un istante. Diremo subito che le
nostre sopracciglia si sono inarcate non poco quando abbiamo letto la frase "(…)
all I remembered from the hundreds of times I played their first album,
from the few times I played the ones after that (…)"
(pag. 43), che senza alcuna possibilità di errore può solo voler dire
"(…) tutto quello che ricordavo dalle centinaia di volte che avevo
ascoltato il loro primo album, dalle poche volte che avevo ascoltato quelli
usciti dopo". Ma allora, come intendere "A Lifetime Of Listening
To Five Mean Years", cioè a dire: "Una vita di ascolto a cinque
anni portentosi"? La lettura ci è parsa confermare la nostra impressione
di Marcus come una di quelle persone che asseriscono che i Doors hanno fatto
solo due buoni album e poco altro (o ancor meno). Un parere perfettamente
legittimo (anche se definire Touch Me e Hello, I Love You come "canzoni
che avrebbero fatto impallidire The Monkees" sembra un po’ troppo),
ma forse non proprio la persona più giusta per scrivere un libro sull’argomento?
Marcus
ha diviso il libro in ventuno capitoli, Prologo ed Epilogo inclusi. Con
due sole eccezioni, tutti hanno quale titolo quello di una canzone del
gruppo. Come chiave di lettura utilizzata per la trattazione Marcus ha
spesso usato le versioni dal vivo dal suono prevedibilmente orrendo contenute
in un cofanetto di registrazioni provenienti da "bootleg legalizzati" intitolato
Boot Yer Butt! The Doors Bootlegs, cofanetto che ha avuto una circolazione
limitata ai fan di più stretta osservanza. Mentre altre volte Marcus tira
in ballo gli inediti contenuti nelle versioni rimissate targate 40th Anniversary
di cui s’è detto.
A volte
il gioco riesce: Soul Kitchen viene ricollegata a Gloria dei Them di Van
Morrison, Light My Fire ci riporta alla famosa esibizione dell’Ed Sullivan
Show del ’67, la versione di The End del 1968 illustra un momento conflittuale
tra cantante e pubblico e il capitolo Light My Fire, 1966/1970 si fa leggere
con piacere. Resta il dubbio di fondo sulla sensatezza dello scegliere
versioni di dubbia resa sonora quali illustrazione di qualcosa.
Come tipico
di Marcus, la trattazione traccia paralleli e similitudini. Il capitolo
su L.A. Woman – con riferimento alla versione di Dallas dell’undici dicembre
del ’70 – tira in ballo Thomas Pynchon e il suo romanzo Inherent Vice,
e Don DeLillo. Mystery Train non può non citare Elvis Presley (ma la parte
su Otis Redding ci è parsa forzata e gratuita). End Of The Night tira in
ballo, diremmo prevedibilmente, Charles Manson e il libro di Ed Sanders,
The Family. Il tutto risulta però decisamente di maniera.
Due i
capitoli lunghi. 20th Century Fox discute Eduardo Paolozzi e il suo collage
I Was a Rich Man’s Plaything (1947), il libro di Kirk Varnedoe intitolato
A Fine Disregard: What Makes Modern Art Modern (1990), e poi Richard Hamilton,
Roy Lichtenstein e l’Internazionale Situazionista, anche se rimane il dubbio
sul perché questi nomi dovrebbero illuminare il senso del brano trattato.
Più agevole, ma a nostro parere non maggiormente produttivo, The Doors
In The So-Called Sixties mette in campo il film di Oliver Stone The Doors,
Ronald Reagan, Margaret Thatcher, Neil Young, i Buffalo Springfield, Kim
Gordon dei Sonic Youth e il film Pump Up The Volume per una trattazione
dei Sessanta le cui ambizioni non ci sono sembrate sostenute da pari lucidità.
Affiorano
qua e là elementi che hanno reso sempre più acuta la nostra sensazione
di un libro scritto senza un perché. Il capitolo su When The Music’s Over
non fa menzione dell’assolo di chitarra. Strange Days non sembra molto
gradita. Su The Unknown Soldier In 1968 leggiamo di una "(…) Hello,
I Love you, che tre anni prima (…) non era quel motivo di imbarazzo che
sarebbe diventata nel 1968" (pagg. 96/97); ma nel ’65 quel pezzo non
era che una versione grezza di All Day And All Of The Night dei Kinks,
senza quella cornice sonora "beatlesiana" ad aggiungere colore
psichedelico e una certa sua grazia. Abbondano frasi che diremmo non molto
sensate quali – nel capitolo su People Are Strange – "Spesso The Doors
perdevano le loro canzoni mentre esse prendevano forma" (pag. 111).
Ricorrono pareri poco lusinghieri:
"Waiting For The Sun (…) e The Soft Parade (…) erano orribili scherzi,
a prescindere da chi fosse l’oggetto della loro beffa" (pag. 149) (dovremmo
dare a Marcus il numero del cellulare di Arthur Barrow…). E anche Morrison
Hotel "(…) una volta oltrepassata la sua scoppiettante apertura non
era che una scipita, vaga piccola danza verso il nulla" (chi era quello di cui
si diceva "sparla bene?").
Chiuso
il libro, permane uno strano senso di incertezza sul perché esso esista.
(Marcus, va da sé, è un critico di nome, non un "marchettaro de noantri"
pronto a scrivere per un assegno.)
Mentre
attendevamo il momento giusto per scrivere questa recensione ci è capitato
di fare una capatina sul solito RockCritics di Scott Woods, dove abbiamo
trovato una (piccola) rassegna stampa a proposito del libro di Marcus.
Diremmo illuminante il passo che segue, tratto da un’intervista di Michaelangelo
Matos per eMusic:
"Beh,
credo che la differenza sia che ho instaurato una relazione più emotiva
con le canzoni di Rod Stewart, o che esse hanno instaurato una relazione
con me. E’ diversa dalla relazione che ho instaurato con la musica dei
Doors. Amo queste musiche in modi diversi. Con Maggie May e soprattutto
con Every Picture Tells A Story, Reason To Believe e tante altre mi si
apre il petto, il cuore mi batte. Tutto è esposto. E’ così che voglio vivere.
Sembra una visione incredibile di una buona vita, una vita di completa
realizzazione. Questo è ciò che sento in Rod Stewart, nelle cose che mi
piacciono di più. Non ci sono dubbi che quello che c’è dentro i Doors è
più freddo. E’ più pensato, più sperimentale da un punto di vista formale
– è diverso. Amo ambedue le cose, ma in modo molto diverso."
A
questo punto diremmo che tutto è chiaro. Ci dichiariamo dunque immediatamente
disposti a prenotare una copia del volume di Greil Marcus su Rod Stewart
(ma sbrigati, Greil – "The future’s uncertain/And the end is always
near").
Beppe
Colli
© Beppe Colli 2011
CloudsandClocks.net
| Nov. 15, 2011