Peggy Lee Band
Worlds Apart
(Spool)
E’
stato sulla copertina di un album di René Lussier pubblicato
nel 1995, Le Tour Du Bloc, che abbiamo avuto modo di leggere per la
prima volta i nomi della violoncellista Peggy Lee e del batterista e
percussionista Dylan van der Schyff: i due facevano parte dell’ampia
formazione canadese denominata NOW Orchestra che in quell’occasione
eseguiva le composizioni del chitarrista. Abbiamo poi ritrovato la NOW
Orchestra – e quindi Lee e van der Schyff – intenta a coadiuvare il
trombonista e compositore George Lewis: dapprima su una composizione
che è parte del CD intitolato Endless Shout (2000), poi su un
intero album, il pregevole The Shadowgraph Series (2001). Ma sono state
due incisioni successive – che presentavano un organico ridotto – a
darci il modo di apprezzare pienamente i due: Floating 1…2…3 (2002)
li mostrava in un concerto dal vivo dialogare brillantemente con il
sassofonista e clarinettista Michael Moore; The Flying Deer (2003) vedeva
un van der Schyff in trasferta olandese conversare scioltamente con
Tobias Delius e Wilbert de Joode.
I due musicisti fanno anche parte della Peggy Lee Band, formazione (giunta
oggi al terzo album) impegnata a eseguire le composizioni della violoncellista.
Sounds From The Big House (2002) ci aveva ben impressionato pur senza
entusiasmarci – e siamo abbastanza certi che il fatto che il brano più
lungo e (a parere di chi scrive) meno riuscito aprisse il disco abbia
avuto una non piccola parte nel temperare la nostra reazione. Pur se
l’organico – un sestetto – è di quelli che per comodità
vengono poi immancabilmente classificati alla voce "jazz",
diremmo il background della leader non poco vario (tra le influenze
che ci è parso di scorgere anche il Frith "newyorkese"
e i President); e se il suo timbro in solo ci è parso non ignaro
di Tom Cora, diremmo il brano che dà il titolo all’album un palese
omaggio al Wayne Horvitz – compositore e arrangiatore – di Miracle Mile.
Worlds
Apart vede il sestetto (cui si aggiunge in qualche brano il chitarrista
Ron Samworth) mantenere quella scintillante front-line formata da Jeremy
Berkman (trombone) e Brad Turner (tromba, cornetta e flicorno) che tanta
parte aveva avuto nel successo dell’album precedente. Dylan van der
Schyff è impegnato soprattutto a tenere i tempi ma porta nella
formazione un bel lavoro di coloritura cui non è certamente estraneo
il suo lavoro di improvvisatore (e si ascolti la freschezza delle spazzole
sul rullante all’inizio di A Door). Convince senza entusiasmare il chitarrista
Tony Wilson. Problematico da valutare il lavoro del bassista Andre Lechance,
non molto in evidenza – ma qui il punto sembra essere una certa riluttanza
della leader che, sciolta a impiegare il violoncello come voce solista
insieme ai fiati, sembra quasi temere che il riempire la gamma bassa
dello spettro sonoro possa rendere meno chiare le linee melodiche delle
composizioni.
Anche
stavolta il brano che apre l’album – Worlds Apart, un quasi President/Curlew
con sfoggio chitarristico – è quello che ci ha convinto di meno.
Bello il melodismo del brano successivo, Soft Scrape, con buon lavoro
di Berkman e Turner e un arrangiamento che ci ha a tratti ricordato
la Carla Bley della fine degli anni settanta. Stilisticamente vario
lo svolgersi della lunga Retracing 2. Curioso, quasi frippiano, lo spezzettarsi
melodico di First Spin. Molto belli i brani che portano l’album alla
sua conclusione: Beekeeper’s Club, la lunga A Door e Lookout. Sempre
stimolante il lavoro – solista e contrappuntistico – del trombone di
Berkman; curioso accorgersi che gli assolo di Turner ci riportano alla
mente il Mark Charig più melodico.
Ottimamente
registrato, Worlds Apart suona fresco e piacevole, seppur non terribilmente
innovativo. L’unico appunto che ci sentiremmo di rivolgere è
che, pur molto abile e raffinata come arrangiatrice, la leader non sembra
ancora in grado di scrivere quelle melodie che rendono compositori identificabili
già dalle prime note. Al prossimo disco?
Beppe
Colli
©
Beppe Colli 2005
CloudsandClocks.net
| Feb. 6, 2005