Mike Keneally
Scambot 2

(Exowax)

Che quest’album non ci abbia conquistato già ai primi ascolti non è il solo motivo per cui la nostra recensione giunge così in ritardo. Un processo lungo e pieno di ripensamenti, comunque, che ha visto anche la partecipazione straordinaria del cantante dei Rolling Stones, Mick Jagger!

Un mucchio di sorprese, a partire dal momento in cui il postino ci consegna la nostra copia dell’edizione "limited edition" che porta il numero 821 su una tiratura di 2.000 – e qui, pur in un’epoca di crescente disaffezione nei riguardi della "fisicità", avremmo scommesso che l’ormai lunga militanza nel gruppo di Joe Satriani che consente a Keneally di sbarcare il lunario avrebbe propiziato una tiratura almeno pari a quella di Scambot 1 (la nostra copia di quella "limited edition" portando il numero 601 su una tiratura di 3.000).

Il rarefarsi della produzione solista kenealliana è qualcosa che abbiamo osservato con crescente preoccupazione, con la (molto applaudita) collaborazione con l’ex XTC Andy Partridge in Wing Beat Fantastic (2012) e quel "Mike Keneally supplement" che è You Must Be This Tall (2013) quali soli album di studio dopo il primo episodio di Scambot (2009).

Dobbiamo confessare che ogniqualvolta Keneally si imbarca in qualche nuova collaborazione "per il pane" ci pare di sentire le voci di Flo & Eddie che cantano "Do you have any idea?// What that can do to a man?".

Mike Keneally è un grosso talento (parliamo al presente) che ha avuto la grande disgrazia di nascere in un periodo commercialmente sbagliato. Ci è facile immaginare un Keneally degli anni settanta "artista di culto su base di massa" al pari di un Todd Rundgren – ricordiamo qualcuno della casa discografica dire di Rundgren "quando arriva il momento in cui non riesci a vendere neppure centomila copie…". Altri tempi, appunto.

E "what that can do to a man" è mostrargli in diretta, minuto per minuto, quanto di grana grossa ha da essere la "musica difficile" per potersi guadagnare un discreto consenso: "Wing Beat Bombastic"?

Com’è nella natura delle cose, l’ascoltatore non è "nudo", ma portatore di lunghe serie di aspettazioni che nel caso di Scambot 2 risultano particolarmente ineludibili. La prima serie riguarda aspetti che potremmo definire "soggettivi" perché parte del gusto (ma a differenza di quanto sostenuto dagli ingenui e dai marchettari, delle questioni di gusto si può razionalmente argomentare). E qui Scambot 2 è esposto a scomodi paragoni, dato che a parere di chi scrive Scambot 1 è uno dei migliori album mai realizzati da Keneally, uno di quei lavori che siamo pronti a tirar fuori quale "esempio luminoso" ogniqualvolta viene detto che "non c’è più musica come quella di una volta".

C’è anche una serie di aspettazioni oggettive che riguardano l’assetto sonoro dell’annunciata trilogia come contraddistinto da "una diminuzione della densità" nel progredire della serie, asserzione che è stata ribadita anche dopo la pubblicazione dell’album.

Si dà il caso che Scambot 1 sia un lavoro che rasenta la trasparenza. Poche volte ci è stata data l’opportunità di ascoltare un album tanto complesso suonare così lieve, con uno sviluppo in larghezza che veniva superato da una dimensione verticale – al di sopra dei tweeter, al di sopra del legno delle casse – che dev’essere costata tanto sforzo ma che ci ha regalato grande gioia. Il recente ascolto fatto per ragioni di comparazione usando un lettore CD non in nostro possesso al tempo dell’uscita dell’album ce ne ha confermato in pieno il carattere "verticale", regalando al contempo un po’ di "growl" aggiuntivo al contrabbasso di Bryan Beller sul brano conclusivo.

Il lettore potrà facilmente immaginare lo sconcerto da noi provato nell’ascolto di In The Trees, il lungo brano posto in apertura di Scambot 2. Qualcosa che suona come un "metal angolare" (se Death Metal, Meth Metal, Math Metal o che altro non sapremmo dire) con voci in stile "Porco Maligno" e ritmica tonante. E anche dopo numerosi ascolti, rimane l’impressione di ascoltare non un brano di Keneally in stile metal (cosa di cui il passato offre numerosi esempi) ma un brano metal altrui dove Keneally è ospite (il che è grave). In aggiunta, una compressione (o qualcosa del genere) che rende tutti i suoni "piccoli", per un risultato finale davvero strano: come vedere ruggire un leone che è grande quanto un topo.

Va detto che l’album ha avuto buone recensioni – anche se leggere frasi quali "Scambot 2 dimostra che Keneally è molto di più di un semplice shredder" dimostra se non che le copie omaggio vengono mandate a cani e porci quanto meno che non tutti si impegnano a fare i compiti – e come il lettore vedrà anche il nostro parere non è affatto sfavorevole.

Ma sono pensieri che ci hanno reso il sonno disturbato. Una di quelle notti abbiamo visto Mick Jagger seduto sulla sedia ai piedi del letto che ci diceva: "E’ facile dire ‘Non sono bravi com’erano’. Forse sono i tuoi occhi a essersi stancati, non noi."

Certamente il parere di Mick Jagger non è da prendere sottogamba. Abbiamo deglutito e ci siamo messi al lavoro.

Non sappiamo cosa sia successo nel periodo successivo alle pubblicazione di Scambot 1, ma della promessa diminuzione di densità non c’è quasi traccia. (Da dichiarazioni che non mettiamo tra virgolette perché andiamo a memoria apprendevamo di un Volume 3 in direzione Ambient, forse con l’orchestra – qui immaginavamo un CD "gassoso".) C’è in realtà un brusco – ma benvenuto – cambio di marcia con il brano #11, Constructed, ed è ben vero che in quel che si trova tra il Metal d’apertura e il Rock-Metal a tinte hendrixiane del brano #10, Roll, la "densità" è altamente variabile. Ma dobbiamo dire che a paragone della gigantesca tela trasparente di Scambot 1 rimane una sensazione di "piccolo e denso" che non aiuta la musica.

L’ascoltatore non tragga da ciò l’impressione di un album monocromatico. E’ vero il contrario, con stili, strumentazioni, missaggi, volumi, altamente variabili.

Qualche parola sui musicisti coinvolti. Troviamo vecchie conoscenze: Bryan Beller, Joe Travers, Rick Musallam, Evan Francis, Doug Lunn; un ottimo batterista ascoltato in concerto: Gregg Bendian; tre nomi nuovi che risultano decisivi per il risultato finale: Ben Thomas, Pete Griffin e Kris Myers.

Abbiamo conosciuto Myers quale batterista degli Umphrey McGee di Similar Skin, unico album del gruppo che abbiamo avuto modo di ascoltare: qui fa un’impressione migliore, cosa non difficile data la natura essenzialmente amorfa della musica lì contenuta. Un’occhiata in Rete ci dice che Thomas e Griffin provengono dalla formazione denominata Zappa Plays Zappa, quindi la buona levatura tecnica è assodata. Sfortunatamente Griffin condivide la propensione di Myers a fare il polipo nella vasca da bagno. Si confronti il modo in cui Beller "guida" il groove su Race The Stars o l’autorevolezza e l’intonazione del suo apporto misurato – perfettamente percettibile nonostante si trovi a essere un colore scuro posto su uno sfondo scuro – su Roll.

Thomas ci è parso l’elemento più difficile da mandar giù. Se nei momenti in cui eravamo di buon umore abbiamo pensato – vedi a 8′ 40" del brano "metal" – che somigliava un po’ a Ike Willis, molto più spesso ci siamo ritrovati a pensare al cantante degli Staind. Detto in soldoni, Thomas ha una voce anonima da cantante rock americano come ce ne sono mille. Il problema è che una voce come quella è in grado di far sembrare "qualunque" ogni brano, pericolo che viene corso anche qui. Mentre Keneally – ottimo e versatile cantante, tra l’altro; ed è solo la sua grandezza strumentale che fa correre il rischio di sottovalutarne la voce – ha un timbro "inglese" (ovviamente non nel senso di Lemmy) che ben si sposa a voci di simile tipologia, come dimostrato su Wing Beat Fantastic.

Abbiamo proceduto a dare una base fattuale alle nostre valutazioni. Aspetti negativi: suono "piccolo", ritmica a volte tonante, un cantante aggiunto controproducente. Diamo una scorsa ai pezzi.

In The Trees è il "metal angolare" di cui s’è detto. Denso, con strani suoni filtrati, voci gutturali, ritmica di ottima levatura tecnica. A 5′ 47" parte un episodio "swing" che è puro Keneally. Buffo "boogie" a partire da 8′ 40".

Roots Twist, con ritmica Beller-Travers, ha un andamento pigro mid-tempo, con bell’impiego di chitarre elettriche e acustiche. Quasi un sing-along country. Eccellente assolo di chitarra.

Sam ha un arpeggio di chitarra acustica, basso tonante, un simil-banjo, il tutto suona orecchiabile e comunicativo. Anche qui un bell’assolo di chitarra, con contromelodia.

Clipper presenta la ritmica Lunn-Bendian e la voce ospite di Jesse Keneally. Bella melodia vocale, inserto trasmissione radio, aria c&w con banjo. Dopo una cesura, un’aria chitarristica "ambient", poi una melodia vocale quasi da circo. Voce femminile, torna l’aria c&w. Tanta musica in soli 4′ 36".

Forget About It – solo 46" – riporta alla mente il Frank Zappa di Uncle Meat offrendo al contempo una maggiore dinamica e fungendo da "momento riposante". Mike Keneally alle tastiere, Evan Francis a sassofoni e flauto, Marco Minnemann alla batteria.

Pretzels, di nuovo con la ritmica Lunn-Bendian, esplora la dimensione vocale e ritmica dei Gentle Giant per quello che è uno dei momenti più riusciti della prima parte dell’album. Piano, tastiere, una simil-marimba, tantissime voci. Notevole lo sfondo vocale all’assolo di chitarra, con evidenti inserti alla Gary Green per quello che è comunque un assolo di Mike Keneally. Ottima ritmica. Un momento chitarristico "alla Tal Farlow" riporta al tema. Chiusa.

Buzz presenta un intreccio nodoso che è puro Keneally nel suo modo "europeo". Buona ritmica Griffin-Myers, densità angolare, sezioni cangianti, assolo di chitarra prima "di gola" poi limpido. Basso effettato con plug-in? Effetto di "phasing" vintage sulla batteria.

Race The Stars è il tipo di pezzo che in altri tempi avrebbe corso il rischio di andare in classifica. Trascinante, si ascolta con vero piacere. Cosa strana, Keneally ha attribuito un "feel" fogertiano – nel senso di John Fogerty dei Creedence Clearwater Revival – alla voce aggiunta di Kris Myers, il che abbiamo trovato assurdo: se Fogerty avesse davvero avuto una voce di quel tipo sarebbe rimasto fermo a Lodi! Forse Keneally ha tentanto di distrarci con la storia di Fogerty per non farci notare il carattere alla Steely Dan che affiora in molte componenti del brano, dall’assolo di chitarra – che diremmo un misto di (in ordine alfabetico) Walter Becker, Dennis Dias e Dean Parks – alla chiusa vocale, che ci è parsa parente del coro di Gaucho.

0 è un breve quadro "astratto" per piano, chitarra e tastiere, con Keneally in solitudine.

Roll è il metal su base hendrixiana di cui s’è detto. Se da un lato ci à piaciuto non poco, anche per un incedere chitarristico che sembra voler combinare i caratteri di Are You Experienced? e Filthy Habits, dall’altro soffre per dei grugniti che gli danno un sapore di (involontaria) parodia. Un po’ di misura non avrebbe guastato.

Constructed è il punto in cui l’album decolla. Un ¾ c&w con batteria, contrabbasso, chitarra, pianoforte, con Jesse Keneally alle voci aggiunte, bella interpretazione vocale di Keneally (con Order, Recorder e Borders pronunciate con accento americano) e bell’assolo di chitarra. Non male la ritmica Griffin-Myers (ma se è lecito sognare un viaggio nel tempo, avremmo scelto la coppia Roger Hawkins-Tommy Cogbill).

Freezer Burn è un’altra vetta dell’album, con la ritmica Griffin-Myers e Ben Thomas a trombe e tromboni. Apre una bella melodia per chitarra, poi una cesura porta a un’atmosfera lirica fortemente imparentata a Wooden Smoke, con pianoforte e chitarra acustica a procedere in parallelo. Chiusura con lap steel, per certi versi floydiana.

Scores Of People ha una prima parte da sing-along vicino al fuoco e una seconda – con il pianoforte, le percussioni e il glockenspiel di Gregg Bendian – che è un’altra vetta dell’album.

Cold Hands Gnat è la versione di Cold Hands cantata da un moscerino. Ottimi sassofoni di Evan Francis, chitarra acustica e pianoforte di Keneally, bella coda ritmata.

Proceed è un’altra vetta. Ritmica Beller-Travers – entusiasmante il suono del legno nell’attacco – a sostenere una melodia semplice e ciclica, con il flauto di legno a fare capolino (echi di Donovan?).

La versione deluxe di Scambot 2 aggiunge Inkling, diciannove brani per una durata da LP. Tre lunghi brani decisamente vari e fortemente chitarristici – Cram (che sfortunatamente dimentica di citare l’apporto della Les Paul di Rick Musallam sul canale destro), The Scorpions e Tom – susciteranno giustificati entusiasmi, ma da parte nostra siamo tornati con frequenza crescente all’ascolto di tutti quei brani di breve durata che offrono tante sorprese, buon esempio essendo il duo pianoforte-clarinetto intitolato Uncompressed Rag posto in chiusura.

Beppe Colli


© Beppe Colli 2017

CloudsandClocks.net | Jan. 30, 2017