Intervista
a
Mike
Keneally (2006)
—————-
di
Beppe Colli
May
26, 2006
Dato
che al giorno d’oggi il paesaggio musicale è fin troppo vario e frammentato,
non possiamo certo definire Mike Keneally come "quello da cui tutti gli
altri prendono le mosse". E dato che la freccia del progresso è
stata piegata in mille modi, non possiamo davvero dire che è "quello
che mostra la strada". Così dovremo accontentarci di dire che
"ha fatto dei dischi eccellenti", cosa che per chi scrive è
sufficiente.
Mike
Keneally ha scritto, suonato, registrato e cantato tanta buona musica. E sebbene
i risultati siano stati vari (per chi scrive un punto a suo favore) e non
tutto quello che ha pubblicato abbia destato in chi scrive la stessa quantità
di entusiasmo (il che in un certo senso è una cosa che non può
destare sorpresa, giusto?), dobbiamo dire che – in un modo o nell’altro –
i suoi album non hanno mai mancato di stimolare la nostra attenzione.
Lo
avevamo intervistato una prima volta nel 1999, e c’erano stati degli argomenti
che pensavamo meritassero un’ulteriore discussione; così quando nel
2001 ci trovammo a vederlo dal vivo a Gröningen, in Olanda, sperammo,
ma non fu possibile. Lo stesso accadde lo scorso febbraio, quando – come parte
della formazione dello Absolute Ensemble – Keneally suonò nella città
in cui abitiamo.
(Tempo
di un piccolo aneddoto: a un certo punto del concerto, venne il momento in
cui il chitarrista della formazione doveva fare un assolo. Il tipo si alzò
e cominciò a suonare, senza però accorgersi che il volume del
suo amplificatore era settato in modo perfettamente adatto a una parte di
accompagnamento, ma davvero troppo basso per un "mordente assolo".
Keneally se ne accorse, e camminò più velocemente possibile
in direzione dell’amplificatore in questione, girando poi la manopola del
volume generosamente verso destra in modo che il chitarrista potesse godere
della sua fetta di attenzione. Un gentiluomo, no?)
Prima
del concerto fu possibile fare una piccola chiacchierata amichevole, e fummo
d’accordo nel fare l’intervista via e-mail. Decidemmo di aspettare un po’,
dato che di lì a poco Keneally era di nuovo in Olanda, e poi negli
Stati Uniti, occupato come sempre (e non sapevamo tutto!). Le prime domande
sono partite il 9 maggio, e l’intervista è poi proseguita per circa
dieci giorni. Il risultato finale ci pare degno di essere letto.
Frank Zappa è stato ovviamente una delle tue principali
influenze formative. Sei andato in tour con lui nel 1988, in quello
che si sarebbe poi rivelato il suo ultimo tour in assoluto. Hai avuto
una parte tutt’altro che secondaria nel progetto-omaggio denominato
Zappa’s Universe. Hai dedicato una puntata della rubrica che tenevi
regolarmente su Guitar Player (come si chiamava, The Murk?) alla sua
morte. Presumo che nel tempo trascorso da allora le tue opinioni, i
tuoi sentimenti e il tuo atteggiamento nei suoi confronti – e nei confronti
del suo lavoro – possano essere cambiati, anche in misura considerevole.
Cosa pensi, oggi, di lui e del suo lavoro?
Oggi nella sua musica sento molte cose che non avevo mai sentito
quando ero un ragazzo, e tutto mi dà piacere. Lavorava sodo,
è stato unico, importante e ha fatto esattamente quello che doveva
fare su questa terra – il che è di straordinaria ispirazione.
Amo i suoni che sentiva nella sua testa e lo amo molto come persona.
Con me fu molto gentile e generoso, e io ero molto vulnerabile, dato
che lo idolatravo moltissimo – lui capì cosa voleva dire per
me essere nel suo mondo, mi trattò con grande rispetto e tirò fuori da
me cose che se non fosse stato per lui sarebbero ancora sepolte.
Hai suonato la musica di Zappa all’interno di (almeno!) due cornici
molto diverse tra loro, e mi farebbe molto piacere che mi parlassi di
tutt’e due. Innanzitutto, negli anni novanta hai suonato con la Ed Palermo
Big Band, dal vivo e su disco (ma non riesco proprio a ricordare il
nome del disco!) – in una posizione che mi sembrava quella del "giovanotto".
In modo alquanto diverso, sei stato un "solista di nome in posizione
di spicco" nel progetto dell’Absolute Ensemble denominato ABSOLUTE/ZAPPA®
(che se ben capisco esiste dal… 2004?).
Non ritengo di essere stato nella posizione del "giovanotto"
nella band di Palermo – c’erano diversi membri più giovani nel
gruppo di Ed. Dato che non sono mai stato un membro della band di Palermo
ritengo di essere stato un suo "ospite speciale" in varie
occasioni. Il mio contributo al suo album fu fatto un po’ in fretta,
e non è qualcosa che ritengo essere di grande spessore, ma i
nostri gruppi hanno condiviso diverse serate al Bottom Line di New York,
serate che per me sono state delle esperienze molto intense. Suonavo
con il mio gruppo ma suonavo anche in qualità di ospite nell’ensemble
di Palermo. Ricordo un’esecuzione di Shove It Right In/Let’s Move To
Cleveland che per me è stata molto commovente, e ho apprezzato
l’opportunità di suonare la musica di Frank con un’autorevolezza
maggiore di quella che ero stato in grado di dimostrare quando facevo
parte della sua band – per certi versi questo è stato un aspetto
importante di ogni evento in cui ho deciso di accostarmi alla musica
di Frank negli anni successivi al tour del 1988. (In un’altra occasione
Ed mi ha sorpreso sguinzagliando arrangiamenti della Big Band di due
canzoni tratte dal mio album Boil That Dust Speck [Frang Tang e There
Have Been Bad Moments] che non mi aveva detto di aver scritto – li ho
sentiti per la prima volta mentre eravamo insieme sul palco, e ci ho
cantato e suonato assieme – molto emozionante!) Per quanto riguarda
Absolute Zappa mi considero ancora uno "special guest", e
dunque direi che per certi versi considero in maniera simile tutti e
due i progetti, ma ovviamente la natura del trattamento della musica
è molto diversa. Mi piacciono sia gli arrangiamenti di Palermo
che i tipi che fanno gli arrangiamenti per l’Absolute Ensemble, quindi
per me inserirmi nella loro prospettiva è stimolante e divertente,
e ritengo che le libertà che vengono prese con la musica in ambedue
i casi siano generalmente cose che Frank avrebbe approvato o che almeno
avrebbe trovato interessanti. Forse la roba rap nello show dell’Absolute
è un’eccezione a tutto ciò – posso immaginare Frank rimanere
perplesso a questo proposito ma forse stimolato dagli aspetti dada.
Nella mia recensione di The Universe Will Provide – l’album che
hai registrato con la Metropole Orkest – ho scritto che ritenevo di
aver trovato tracce di Zappa in parti della tua scrittura e dei tuoi
arrangiamenti, mentre ritenevo che la sua influenza sulla tua produzione
"rock" fosse ormai quasi completamente scomparsa. Qual è
la tua opinione in proposito?
E’ una cosa assolutamente comprensibile se consideriamo che Universe
rappresenta la mia prima scrittura orchestrale in assoluto – non ho
sviluppato la mia voce in quell’ambito nello stesso modo in cui l’ho
sviluppata nella scrittura rock dato che non ne ho scritta altrettanta.
Quando durante il processo di scrittura e di orchestrazione di Universe
immaginavo nella mia mente delle tessiture orchestrali a volte tendevo
naturalmente verso sonorità delle quali mi ero innamorato quando
ascoltavo la musica orchestrale di Frank. Come per tutto il resto, cose
più personali e originali verranno non appena avrò sviluppato
le mie abilità in questo campo per qualche anno ancora.
Mi piacerebbe che mi parlassi di quello che chiamerei il "capitolo
olandese" del tuo lavoro. Ti ho visto suonare a Gröningen
nel 2001, in due sere diverse: nella prima hai eseguito il tuo album
Nonkertompf con una formazione che comprendeva il tuo gruppo e alcuni
(eccellenti!) musicisti olandesi. Vorresti parlarmi di come ha avuto
inizio tutto questo?
Tutta l’attività olandese può essere messa in relazione
con l’entusiasmo e l’energia di Co de Kloet, produttore della stazione
radio 4FM su NPS (l’emittente pubblica nazionale olandese). Era un amico
di Frank e ci incontrammo nel 1988, e lui è stato uno dei primi
a mostrare interesse per la mia musica trasmettendo alcuni miei demo
già agli inizi del 1989 (credo sia stato il primo a trasmettere
la mia musica per radio in Europa). Nel corso degli ultimi anni è
stato quello che ha proposto progetti come il concerto Nonkertompf Live
nel 2001 e la commissione di The Universe Will Provide. E’ interessato
a quello che potrei fare in contesti musicali diversi, e quindi continua
a proporre e a organizzare il finanziamento di molti progetti differenti.
Ovviamente gli sono molto grato! E’ anche un grande amico ed è
stata una grande gioia collaborare con lui in tante cose diverse.
So che molto di recente sei tornato in Olanda per eseguire con
la Metropole Orkest una nuova versione di The Universe Will Provide,
con Bryan Beller – e anche con l’aggiunta di altro materiale nuovo?
Mi piacerebbe sapere di più di questa esperienza.
Questa è stata la terza volta che abbiamo lavorato alla partitura
di Universe – la prima volta è stato in occasione della Prima
che si è tenuta nel corso dell’Holland Festival a metà
del 2003, la seconda è stata la registrazione dell’album nel
settembre del 2003. L’album comprendeva cinque movimenti brevi che non
avevano fatto parte della Prima, e la recente esecuzione avvenuta alcune
settimane fa ad Haarlem ha segnato la prima esecuzione dal vivo di questi
cinque movimenti. Ho sentito che come ensemble coeso l’orchestra e io
siamo davvero penetrati nella musica per la prima volta facendo davvero
funzionare il tutto – e io sono molto contento della versione registrata,
ma non è stata una vera "esecuzione" quanto un lavoro
frutto di costruzione; lo show ad Haarlem è stato la realizzazione
di quello che nelle mie intenzioni TUWP doveva essere in quanto brano
destinato all’esecuzione. Come un sogno che si avvera. Il suono sul
palco e in sala è stato incredibilmente buono. Tutto considerato
devo dire che sono stato molto fortunato dato che i miei primi passi
di compositore orchestrale sono stati accolti così simpateticamente
ed eseguiti tanto brillantemente. Avere Bryan Beller quale bassista
è stato un incredibile punto a favore – averlo con me in qualità
di confidente di grande fiducia e familiarità ha reso l’esperienza
molto più piacevole. Anche molto stimolante il "progetto
collaterale" emerso dall’avere un paio di giorni extra per lavorare
con un gruppo più piccolo di musicisti della Metropole – un ensemble
di undici elementi che ho finito per chiamare la "Minipole."
Durante le prove ho scritto due canzoni, che abbiamo registrato insieme
a diverse improvvisazioni. Il risultato di quelle registrazioni è
stato un album di studio di quaranta minuti che è davvero pienamente
meritevole di essere pubblicato, e la Minipole ha fatto anche un set
di apertura di mezz’ora per TUWP ad Haarlem. Anche la registrazione
del concerto di Haarlem è per me un vero tesoro – il set della
Minipole suona molto vitale, e a questo punto preferisco la registrazione
dal vivo di TUWP alla versione dell’album.
Situandoci su un livello più generale: ritengo che il lavoro
che hai fatto in Olanda ti abbia consentito una conoscenza di prima
mano di un tipo diverso di atteggiamento nei riguardi delle arti rispetto
a quella che è attualmente la norma negli Stati Uniti, dove a
partire dalla prima Amministrazione Reagan (repubblicana) (1980-1984)
ci sono stati tagli alquanto pesanti nei riguardi delle arti e dell’istruzione
in generale. Come consideri le possibilità e l’atteggiamento
dell’approccio da "libero mercato" paragonato a quello "basato
su finanziamenti"?
Non sto ricevendo alcuna offerta di lavoro orchestrale negli Stati
Uniti, quindi provo una continua gratitudine per le opportunità
che mi sono state date in Europa. Negli Stati Uniti i musicisti dediti
alla musica sperimentale non hanno altra scelta se non quella di capire
che essi sono costretti a condurre i loro esperimenti in un vero e proprio
vuoto culturale, cosa che ritengo in molti casi imponga sul lavoro una
stanchezza e un certo cinismo. Il lavoro sperimentale in Europa sembra
respirare più liberamente come risultato di un’atmosfera di maggiore
accettazione. Ci sono sempre dei segnali che i finanziamenti in Europa
possano tendere a prosciugarsi, con l’adozione di un modello di allarmante
somiglianza al modello americano, e possiamo solo sperare che le arti
mantengano una condizione decentemente robusta.
Dato che ho menzionato l’Amministrazione repubblicana: sulla homepage
del tuo sito c’è il conteggio delle morti militari americane
in Iraq, e anche il numero dei feriti. Mi vuoi parlare dei motivi di
questo gesto tanto semplice ma così eloquente?
Scott Chatfield (che gestisce la pagina) ha trovato quel banner,
che viene aggiornato in modo indipendente da noi (chiunque può
includerlo nella sua pagina), e mi ha proposto di includerlo nella homepage,
e ovviamente io mi sono dichiarato d’accordo. E’ un gesto molto semplice
– e incompleto, dato che include solo le morti statunitensi e non le
morti irachene. Ma ci è parso un gesto importante in un momento
in cui negli Stati Uniti il sostegno alla guerra era molto alto. Ovviamente
adesso le cose sono cambiate radicalmente – il sostegno all’Amministrazione
Bush e alle azioni condotte in Iraq è diminuito drasticamente
in questo Paese. Ovviamente l’occupazione continua e l’Amministrazione
rimane ancora al potere, quindi si spera che queste piccole indicazioni
di protesta mantengano una qualche efficacia.
Proprio sotto il conteggio, nel momento in cui parliamo, hai messo
un link al nuovo album di Neil Young, Living With War. So che sei troppo
giovane per avere avuto un’esperienza diretta dei fermenti connessi
alla guerra del Vietnam ma sono sicuro che conosci almeno alcune delle
canzoni (e dei film) di quell’era. La mia domanda: come vedi il modo
in cui gli artisti americani (in generale: per esempio, non so se conosci
il film Syriana) hanno reagito alla situazione?
Vedo davvero un parallelo nitido con i tardi anni sessanta nel modo
in cui gli artisti hanno reagito ai misfatti militari e sociali americani.
La natura ciclica delle cose è molto chiara. Per me è
incredibilmente incoraggiante che, in quelle che a volte appaiono essere
le ore più oscure, ci siano ancora persone che non cadono sotto
il dominio della follia, che mantengono il senno e fanno dell’arte rilevante
che dice cose che hanno bisogno di esser dette e che mantengono su lo
spirito. Non ho visto Syriana ma nutro molto rispetto per una figura
come quella di George Clooney – qualcuno che potrebbe facilmente sostenere
la carriera facendo leva sul suo aspetto fisico e il suo status di star
ma che sceglie di fare del lavoro più innovativo e meditato.
Ma ho visto il suo film intitolato Good Night and Good Luck, che ha
anche rilevanza per ciò che riguarda l’orribile stato attuale
delle notizie televisive negli Stati Uniti, e mi è piaciuto davvero
molto.
Sopra il conteggio ora c’è un link alla tua pagina su MySpace.
Come vedi le possibilità offerte dalla Rete, sia per quanto concerne
questo aspetto dell’interazione che per cose come RadioKeneally?
Anni addietro avevo una sezione di keneally.com chiamata Mike Types
To You, che era a tutti gli effetti un blog prima che quella parola
fosse inventata… ma per qualche ragione negli ultimi anni ero diventato
meno propenso a parlare in pubblico, e anzi per certi versi assolutamente
riluttante a rivelarmi. Un mio amico ha dato inizio alla pagina Mike
Keneally su MySpace e io non vi ho prestato alcuna attenzione per mesi,
finché non ho compreso che la gente che ci andava riteneva che
io vi fossi personalmente coinvolto, così ho pensato che era
meglio che vi prendessi parte. Uscire un po’ fuori dal mio guscio e
fare il blog e ottenere una risposta immediata dalla gente è
stato un grande piacere. Il contatto tra l’artista e l’ascoltatore è
un aspetto importante del fare musica, sia che ciò avvenga in
una sala da concerto o attraverso molte miglia tramite due computer.
Quando abbiamo iniziato keneally.com nel 1994 ero convinto che questo
modo di connettermi alla mia base di fan fosse una cosa importante e
che valeva la pena di fare e la penso ancora esattamente allo stesso
modo. Per me è un grande piacere che RadioKeneally sia a disposizione
della gente che così può ascoltarla… c’è molta
più musica che ha visto la mia partecipazione nel corso degli
anni di quella che potrei mai trovare il modo di pubblicare in modo
che la gente possa comprarla, e molte registrazioni dal vivo su RadioKeneally
sono di qualità da "documento" e quindi ad ogni modo
probabilmente più adatte allo streaming che all’acquisto. Alcune
sere fa ho ascoltato per un paio d’ore RadioKeneally con Bryan e Rick
del mio gruppo, e siamo stati tutti piacevolmente sorpresi di quanto
l’abbiamo trovata piacevole e interessante.
Se non ti dispiace, vorrei chiederti di alcuni progetti che vedono
o hanno visto la tua partecipazione. Per prima cosa, che cos’è
questo "Scambot"?
Viene fuori lentamente, a pezzi e bocconi. Ha avuto inizio sotto
forma di schizzi nel mio quaderno d’appunti, poi un paio di pezzi di
musica che ho messo insieme in ProTools, per lo più parecchio
astratti. Molta della musica che ho fatto per esso è basata sul
sintetizzatore Moog. Un paio di settimane fa ho sovrainciso Marco Minnemann
che suonava la batteria su un po’ della musica preesistente e ho anche
registrato con lui un po’ di duetti chitarra-batteria destinati a essere
ulteriormente esaminati/sottoposti a intervento. Sarà un progetto
di lungo periodo, situato nel background di altri progetti che avranno
luogo simultaneamente, e alla fine sarà un album doppio con una
storia – la cosa più vicina a un "concept album" o
a una "rock opera" che io abbia mai fatto. Viene realizzata
senza alcuna considerazione per una struttura di canzone convenzionale,
e uno dei concetti guida che ho riguardo a essa dal punto di vista musicale
è che voglio che molta della musica fluisca in modo scorrevole,
à la Wooden Smoke, ma il materiale musicale è estremamente
intricato e imprevedibile. Poi un passaggio esplosivo, quasi metal,
potrebbe irrompere per un momento attraverso il paesaggio prima di fare
ritorno alle placide astrazioni. La musica che ho registrato finora
mi pare essere davvero unica. Spero che quando sarà finita starà
insieme – è un progetto ambizioso ma non sto imponendo nessuna
scadenza fissa alla sua costruzione.
E’ tempo del capitolo Henry Kaiser. Hai suonato nelle session
per Yo Miles!, poi pubblicate dalla Cuneiform. Come consideri quell’esperienza?
Una grossa esperienza di apprendimento. Importante per me nel senso
che ha avuto luogo durante il periodo di Dancing, che oggi considero
essere stato per me un momento di autostima di dimensioni sproporzionatamente
alte – partecipare al progetto Yo Miles! mi ha portato a collaborare
con dei musicisti supremamente dotati la cui padronanza di espressione
e la cui tecnica sono molto più sviluppate della mia (tra gli
altri, Greg Osby, Tom Coster, Zakir Hussein, Steve Smith, Michael Manring)
e la loro umiltà mi è stata di molta ispirazione. A partire
da quel progetto ho smorzato il mio orgoglio e di pari passo le mie
capacità esecutive sono diventate di gran lunga migliori. Per
me è un po’ difficile ascoltare gli album della serie Yo Miles!
dato che il mio modo di suonare su di essi sembra essere sconnesso e
rudimentale – fortunatamente per la maggior parte del tempo non è
facile dire chi sta suonando cosa!
Se non commetto un errore (hey! che mi dici dei Mistakes?), hai
partecipato a delle altre session con Henry Kaiser, ma ignoro se queste
session abbiano mai visto la luce del giorno…
Beh, ovviamente the Mistakes ha visto la luce del giorno e spero
che la vedrà di nuovo – la speranza è di ripubblicare
l’album un giorno (ne furono stampate solo mille copie) in tandem con
un album dal vivo che Henry ha assemblato da due concerti che i Mistakes
hanno fatto nel 1996, con Buckethead in qualità di "special
guest". Abbiamo anche l’album chiamato Palace of Love, che vede
Henry, me stesso (soprattutto al piano), Michael Manring, Raoul Bjorkenheim
e Alex Cline. Henry e io avremmo dovuto missarlo una settimana fa, alla
fine delle session per l’album di Ayler, ma è venuto fuori che
Henry aveva ricevuto il software sbagliato per il suo banco di missaggio
e non avrebbe potuto proseguire il lavoro sul progetto prima che io
fossi tornato a casa. E così siamo andati a vedere Mission Impossible
III. Una delle ultime cose che ho detto a Henry mentre lasciavo la città
è stata "Dunque, il prossimo album è su Pharoah Sanders?"
e le sue sopracciglia sono andate all’insù.
Ultima esperienza Kaiser: in questo momento sei coinvolto in un
progetto riguardante la musica di Albert Ayler. E’ troppo presto per
dire qualcosa – come è nata e così via?
La cosa ha avuto inizio con me che compravo il recente box delle registrazioni
complete della ESP-Disk – a proposito, un’edizione italiana – e mi accorgevo
che alcune delle linee di Ayler mi ricordavano molto certe cose del
fraseggio di Buckethead. Non avevo il numero di Bucket così ho
chiamato Henry per chiedergli se sapeva se Buck avesse mai ascoltato
Ayler. Pensava di no. Ho suggerito che noi tre avremmo dovuto registrare
alcuni pezzi di Ayler ma nessuno di noi due aveva un numero recente
al quale contattare Buckethead, così ho detto, beh, forse dovremmo
farlo tu e io. Per qualche giorno non ci ho pensato, finché
non mi ha richiamato Henry dicendo che aveva già messo insieme
un gruppo di musicisti e aveva già delle idee a proposito di
quali canzoni suonare. Voleva suonare molte delle canzoni cantate tratte
dai dischi più tardi di Ayler – "quelli che non piacciono
a nessuno", ha detto. A quel punto ho capito che Henry si era completamente
impadronito della cosa e così ho messo la direzione della faccenda
nelle sue mani. Il sassofonista che era stato la prima scelta di Henry
ha deciso di abbandonare il progetto perché sentiva che il materiale
che avevamo scelto si prendeva gioco della Cristianità e della
devozione di Ayler a Gesù, ma a parere mio e di Henry questo
non è affatto vero – il risultato non porta tracce di facile
sarcasmo o di critica, per come la vedo io. Vinny Golia è venuto
a suonare il sassofono, il che è stato un’incredibile benedizione
per il progetto. I musicisti che partecipano sono Henry, io, Joe Morris
alla chitarra e al contrabbasso, Damon Smith al contrabbasso, Weasel
Walter alla batteria, Vinny Golia ai sassofoni e Aurora Josephson alla
voce. Le canzoni che abbiamo registrato sono New Grass/Message From
Albert, Japan/Universal Indians, Music is the Healing Force in the Universe,
A Man is Like A Tree, Oh! Love of Life, Thank God For Women, Heart Love,
New Generation/New Ghosts. Abbiamo usato un’ampia varietà di
approcci al materiale, alcuni molto riverenti e altri più giocosi
– per esempio New Generation inizia sembrando Beefheart e improvvisamente
muta e sembrano i Sonic Youth. Abbiamo registrato le piste di base per
tutto l’album in un giorno, abbiamo passato il giorno successivo a fare
delle sovraincisioni e degli editaggi e ci siamo trovati con ottantuno
minuti di musica. Dopo, Henry era assolutamente deliziato e ha detto
che questo è uno dei pochi album che ha fatto in cui non vedeva
l’ora di ascoltarlo una volta finito. E’ stata un’esplosione di attività
che è stata molto focalizzata, e ritengo sia stata un’esperienza
felice per tutti quelli che vi hanno preso parte. Sono molto grato del
fatto che la mia telefonata casuale a Henry a proposito di Ayler e Buckethead
abbia prodotto dei risultati tanto tangibili!
Devo ammettere che vedere la gran quantità di "Progetti
Omaggio" che sono stati pubblicati su CD e/o suonati dal vivo negli
ultimi vent’anni mi lascia molto perplesso. A mio parere, anche i migliori
di loro sono estremamente carenti di sorprese. Voglio dire, quando ascolti
gli album originali – di Miles Davis, Captain Beefheart, Charles Mingus,
Frank Zappa e così via – puoi sentire un linguaggio nel suo farsi,
completo di tutti i rischi, false partenze, errori, strade senza uscita
e così via che ogni "Omaggio" si sforza di evitare.
Nel caso di Yo Miles! (e lo cito precisamente perché a mio parere
è uno dei migliori) puoi sentire qualcosa che scorre ancora meglio
dell’originale ma che è assolutamente privo di ogni senso del
pericolo. Ora, noi non viviamo più in una "cultura orale",
i CD originali sono in buona parte reperibili con facilità…
dunque?
Non posso parlare delle motivazioni di chiunque concepisca/prenda
parte a un "tribute project" – probabilmente ci sono tante
motivazioni quanti partecipanti. Certamente molti dei tribute project
che vedo nei negozi esistono in primo luogo per fare affari nel nome
dell’"omaggiato", e puoi vedere che lì non c’è
alcun senso profondo di necessità. Un sacco di tipi che hanno
a che fare con il business della musica non sono necessariamente attirati
dal pericolo, anzi esso fa loro paura, come talvolta il pericolo fa
per sua natura. Ho provato un rapporto speciale con, e un desiderio
di rendere omaggio a, ognuno degli artisti a proposito dei quali sono
stato coinvolto in un tribute project – Gentle Giant, Miles Davis, Yes,
Genesis, Frank Zappa, Albert Ayler ecc. sono tutti artisti che hanno
avuto su di me un qualche tipo di impatto significativo. Così
è stato un brivido di natura personale quello che ho provato
nel suonare la mia versione della loro musica. E la speranza è
che ciò porterà a un fare musica ispirato, il che forse
non è sempre quello che poi succede, ma ci provi.
Di recente ho visto il DVD-V del famoso concerto
gratuito tenuto dai Blind Faith a Londra, ad Hyde Park, nel giugno del
1969. A quel tempo sapevamo davvero poco dei musicisti, e la scarsità
di fonti stampa faceva sì che nella maggior parte dei casi dovevamo
trovare il "senso" di un lavoro da soli o parlandone con gli
amici – si trattasse di Dylan, dei Beatles o di Frank Zappa o, più
tardi, di Todd Rundgren, dei King Crimson o dei Gentle Giant. E avevamo
molto tempo per farlo, dato che le nuove uscite non erano camionate
e una giornata tipica non era così piena di stimoli che competevano
per avere la tua attenzione. Oggi siamo tutti continuamente assaliti
da "eventi", e il trend prevalente è quello di destinare
un ammontare limitato di tempo a ciascuno, dedicandosi al maggior numero
possibile di essi contemporaneamente. Frattanto, il tipico mensile musicale
della metà degli anni settanta recensiva in un anno tanti titoli
quanti ne recensisce oggi in un mese. Quindi: che ne sarà della
"musica difficile"?
Non sparirà mai, perché ogni movimento in una direzione
estrema quale l’allontanarsi da ciò che è valido verificatosi
nella popular music e il modo in cui la televisione e internet hanno
rosicchiato i tempi di attenzione che la gente è disposta a prestare
deve sempre causare una reazione in senso inverso, e chi ha in testa
dei suoni diversi o ha delle idee diverse su come la vita dovrebbe essere
vissuta e l’arte essere goduta cresceranno rigogliosi sia per un fatto
di sfida che di ispirazione. Così i creatori creeranno sempre.
Il pubblico per il loro lavoro probabilmente continuerà a languire
all’incirca allo stesso livello in cui è sempre stato se parliamo
di musica difficile, e non tutti gli artisti troveranno un sostegno
continuo per i loro progetti e forse dovranno trovarsi degli altri lavori,
proprio com’è sempre stato. E i campi della popular music continueranno
a sintetizzare e commercializzare alcuni aspetti della musica sperimentale, e di tanto in tanto un innovatore stuzzicherà
il pubblico tanto che gli/le sarà consentito l’ingresso in un
ambito commerciale più rarefatto… proprio come è successo
con Björk, i
Radiohead, Aphex Twin ecc. ecc. e indietro fino ai Beatles e a Gershwin
– di tanto in tanto qualcosa di veramente buono avrà successo
nel mainstream.
Il tuo nuovo CD, di prossima
uscita, è un album dal vivo per "quartetto rock". Come
sai, non l’ho ancora ascoltato, ma avendo letto la lista dei titoli
vedo che coprono un sacco di stili. Mi vuoi parlare del nuovo album
– e della relazione tra la tua musica e questa specifica strumentazione?
(E anche di questi specifici musicisti, naturalmente.)
Il tour della Mike Keneally
Band dell’anno scorso è stato la prima volta in cui questi quattro
musicisti (io, Bryan Beller, Rick Musallam e Joe Travers) hanno fatto
un tour insieme come gruppo. Bryan, Joe e io abbiamo girato come parte
del gruppo Z nei primi anni novanta, ma Joe non era mai stato in tour
suonando i miei pezzi. Dato che è da anni che ci conosciamo tutti
quanti e abbiamo amato suonare insieme ogniqualvolta abbiamo potuto,
eravamo molto eccitati all’idea di avere l’opportunità di andare
in tour insieme. Joe è un musicista meravigliosamente propulsivo
e creativo (al momento è in tour con il gruppo chiamato Zappa
Plays Zappa) e io sapevo che avremmo potuto ricavare un buon album dal
tour. In realtà il 90% dell’album è stato registrato a
un concerto al Baked Potato a North Hollywood un mese dopo che il tour
era finito, che è un buon momento per un gruppo – stagionati
dal tour, ma rinfrancati dopo un po’ di tempo di riposo e vogliosi di
risalire in groppa al cavallo e suonare al meglio il materiale. Dato
che Joe ha suonato su alcuni dei primi album come Boil That Dust Speck
e Sluggo! ero contento di rivisitare un po’ del vecchio materiale che
non era stato suonato tanto durante gli ultimi anni. Ovviamente le versioni
degli album originali di un sacco di materiale su Guitar Therapy erano
molto più stratificate e con molto lavoro di studio, e anche
se la strumentazione sul palco non è altrettanto rigogliosa sono
sempre felice di denudare il materiale fino a qualche cosa che sia più
vicina alla sua essenza. A ogni modo, questo particolare quartetto fa
più che abbastanza rumore. Questo è un album molto focalizzato
sulla chitarra, in un modo in cui nessuno degli altri album è
stato; in un certo senso un saluto in direzione dei fan che mi hanno
sentito nominare per la prima volta per il mio lavoro nei tour G3 fatti
con il gruppo di Steve Vai. C’è una significativa separazione
stereo tra la mia chitarra e quella di Rick, e gli ascoltatori saranno
chiaramente in grado di mettere a fuoco l’apporto strumentale di ciascuno
– i contributi di Rick sono sempre ben eseguiti, pieni di sentimento
e appropriati. Beller, naturalmente, è stato il mio braccio destro
per anni, e continua a rispondere telepaticamente a ogni mio improvviso
gesto musicale. E Travers è un’arma musicale significativa su
quest’album, e porta esplosioni di energia e una costante musicalità
oltre a un senso dell’humour musicale malizioso.
Un bel po’ di batteristi
hanno suonato sui tuoi CD/nei tuoi gruppi. Dato che da un po’ di tempo
considero la batteria lo strumento che occupa il primo posto nella classifica
delle "specie in via di estinzione", in segno di omaggio nei
confronti della batteria e dei batteristi mi piacerebbe che tu mi parlassi
del tuo rapporto musicale con alcuni tra i musicisti con cui hai suonato,
sia nei tuoi gruppi che nelle tue varie collaborazioni.
Suonare con Chad Wackerman tanto
presto nella mia carriera è stato straordinario; l’opportunità
di fare musica con un tale musicista di levatura mondiale durante i
primissimi giorni della mia relazione con i batteristi è stato
di grande influenza e fin dall’inizio mi ha fatto gustare il fatto di
avere batteristi dotati di tecnica prodigiosa e idee a volontà
tanto da cercare di trovarli. (Nel dicembre del 2005 Chad è stato
ospite della mia band al Baked Potato e ha completamente sbalordito
tutti – Steve Vai era allo show e ha detto che è imperativo che
io continui a fare del lavoro con Chad nel gruppo. In un certo senso
è uno strumentista più sottile di molti – un sacco dei
suoi gesti non si annunciano ad alto volume – ma è qualcuno con
cui suonare è molto eccitante e stimolante e che fa sì
che io consideri il fare gli assolo in un modo più impressionistico.)
Toss Panos è stato il primo batterista dei Beer For Dolphins
e per certi versi quello dall’ombra più lunga – la sua tecnica
è sbalorditiva, il suo groove è incredibilmente circolare
ed elastico, le sue idee sono sempre stupefacenti e lui è in
grado di portare un "big rock" quando gli serve – lo descrivo
sempre come un incrocio ideale fra Tony Williams e John Bonham. Di Joe
Travers parlo più su, ma voglio sottolineare il senso di divertimento
che fornisce agli show (cosa che spero sia evidente su Guitar Therapy)
e la sensazione speciale di averlo nel gruppo, data la circostanza che
lui e Beller erano ambedue studenti al Berklee college of music quindici
anni fa e che io ho avuto un ruolo centrale nel fatto che lui e Bryan
entrassero nel mondo di Zappa attraverso la band di Dweezil, c’è
un sacco di storia e di amore tra di noi. Jason Smith era il batterista
dei BFD tra il 1998 e gli inizi del 2001 e ha suonato sull’album Dancing
– è un musicista complesso dai molti talenti (difatti ha appena
pubblicato il suo primo album con le sue composizioni jazz, con un trio
con Gary Husband alle tastiere e Dave Carpenter al basso, ed è
superbo) e ha dato un contributo incredibilmente forte al gruppo in
un momento in cui io stavo facendo un sacco di sperimentazione, di crescita
e anche di solo agitarmi convulsamente – Jason stava crescendo allo
stesso ritmo e ha suonato delle parti di batteria incredibili mentre
lo faceva. Un grande musicista. Nick D’Virgilio porta un orecchio da
produttore nel suo suonare la batteria e un forte senso di come completare
il suono di una rock band – anche un bel groove fluido che eccita le
folle e con il quale suonare è un grande piacere, e la bella
voce con cui canta. Nella mia band ognuno di loro è stato brillante
e generoso con il suo talento – sono estremamente grato a tutti loro.
©
Beppe Colli 2006
CloudsandClocks.net
| May 26, 2006