Katell
Keineg
At The Mermaid Parade
(Honest Jon’s Records)
Dobbiamo
confessare che c’è una curiosa abitudine (qualcuno, ne siamo certi, la
definirebbe "una piccola mania") che siamo soliti coltivare fin
da quando eravamo teenager: tenere, costantemente aggiornata, una lista
di nomi di artisti che con gentile eufemismo potremmo definire "di
non rilevante peso commerciale"; artisti a noi cari che temiamo di
perdere di vista in ragione di un appeal "decisamente selettivo".
Una piccola, innocua stranezza nata in un tempo in cui le informazioni
erano scarse e tutt’altro che tempestive. Ma oggi, nell’era di Internet
e delle mille fonti in tempo reale?
A causa
di un certo numero di problemi, a partire da marzo, e per qualche mese,
non abbiamo più consultato il nostro piccolo elenco. Con il risultato di
accorgerci, a ottobre, che un nuovo album di Katell Keineg era stato pubblicato…
a marzo. E qui, anche se High July – l’album che aveva preceduto di sei
anni At The Mermaid Parade – aveva costituito un precedente di cui era
impossibile non tenere conto, grande è stato il nostro stupore nel constatare
"il silenzio della Rete": dov’erano le recensioni?
Un’occhiata
all’album ci dice che la Keineg ha confermato la sua scelta di autogestione.
L’etichetta è la Honest Jon’s Records (un nome, quello di Honest Jon’s,
che eravamo soliti collegare a un negozio della Londra "freak" degli
anni settanta; e anche l’indirizzo – Ladbroke Grove, con ricordi di Hawkwind
e di Notting Hill Gate – ci pare quello). CD stampato, diremmo, in Germania.
Incisione ottima (ne diciamo più estesamente tra un momento) effettuata
a New York nello studio denominato The Maid’s Room.
La lista
degli strumentisti conferma la presenza di Dim Gurevich, qui a chitarra,
basso, pianoforte e altro. Decisivo l’apporto batteristico di Ben Perowski,
una sezione ritmica (Brian Geltner, batteria; Matthew Morandi, basso) in
due brani, versatile partecipazione di Ed Pastorini a pianoforte, piano
elettrico Fender Rhodes e altro. La Keineg è ovviamente impegnata alla
chitarra e alla voce. Album prodotto dalla stessa cantautrice con l’aiuto
di Jack McKeever, che ha anche inciso l’album e lo ha missato insieme alla
Keineg.
L’album
è molto bello, contraddistinto da un suono che diremmo senz’altro analogico
e da un approccio vocale che ci è parso privilegiare quell’impatto emotivo
che siamo soliti associare a una dimensione "live". E proprio
il suono dell’album, caldo ma dai timbri e dalle proporzioni strumentali
a volte inusuali, è stato l’elemento che ci ha indotto a procedere a un
bel po’ di ascolti prima di decidere che il gradimento di chi scrive potesse
essere condiviso da chi legge. Enorme presenza vocale (su Thirteen pare
quasi che la Keineg sia lì a cantare nella stanza), con le parti strumentali
a fare da appropriata cornice.
L’unica
pecca (ma è una vecchia storia) è la mancanza dei testi. Cosa che ci fa
davvero dispiacere, dato che quelli della Keineg sono racconti che, per
quel che ci è dato capire, si muovono in una quantità di spazi temporali
che non sempre rendono agevole ricostruire un senso. E c’è anche una lingua
colta (già i titoli ci hanno indotto a cercare due parole: olden e calenture).
Se a tratti (anche in virtù di una ripresa del suono spettacolare) le cose
non sono troppo difficili da capire (Old Friend, I Fell In Love With The
World), è spesso frustrante ritrovarsi a individuare qualche frammento
isolato: "Imported beer for three dollars fifty-eight" (…) "And
the beer is kicking in" (da Summer Loving Song). O quel "Anyway,
what I really meant to say is, ‘Get Over Yourself’, as they say, ‘You need
Americanized Media’"
che spunta nel bel mezzo della "funky-disco" a più voci intitolata
World Of Sex. Curioso paradosso, l’unico brano di cui si capiscono anche
le virgole è una cover: la Thirteen dei Big Star di #1 Record che già Shirley
Manson aveva reinterpretato con i Garbage ai tempi del loro secondo album,
Version 2.0.
Piano
alonato, riverberato, e non poco lennoniano, At The Mermaid Parade offre
due voci su canali separati, bello sviluppo melodico e un inciso inatteso.
Tipico brano in 3/4 in stile "folk francese", St. Martin ha una
bella batteria e un appropriato pianoforte. La breve, e pianistica, Old
Friend fa bel ponte con la già citata Summer Loving Song, ballata circolare
dalla ritmica lieve. Atmosfera che diremmo triste per I Fell In Love With
The World, con suggestiva coda strumentale del pianoforte. Tono ironico,
cantilenante, per la scherzosa The Arsehole Song.
Senz’altro
commovente la cover di Thirteen. Olden Days si sviluppa come una giga,
ben sorretta dal piano elettrico. Dear Ashley sembra una cronaca di viaggi
e vicende, mentre in assenza di testo World Of Sex (un brano dagli eccellenti
momenti vocali in un album che non ne è certo privo) si apre a molte interpretazioni.
La breve e malinconica Dig A Pit porta alla conclusione appropriata di
Calenture, ballata con chitarra acustica, piano, ritmica ed elettrica con
tremolo.
Beppe Colli
© Beppe Colli 2010
CloudsandClocks.net
| Dec. 4, 2010