Intervista
a
Jack
Vees
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di Beppe Colli
Dec. 16, 2002
Abbiamo appreso dell’esistenza
di Jack Vees grazie a un articolo – succinto ma decisamente ricco
di informazioni – apparso sulla rivista statunitense Bass Player (è
il numero datato aprile 2000). La nostra curiosità divenne
massima leggendo di un nuovo album (già uscito!) per… solo
basso! In realtà The Restaurant Behind The Pier fu pubblicato
solo alcuni mesi dopo, e non deluse le nostre aspettative. Dopo averlo
elogiato in sede di recensione, decidemmo che un’intervista destinata
ad approfondire l’album – e il retroterra di Vees, che si intuiva
poliedrico e decisamente stimolante – era senz’altro da realizzare.
Con molta gentilezza Vees ci inviò un suo precedente album
(Surf Music Again) da noi mai ascoltato, per poi rispondere in modo
esauriente alle nostre domande. Si era oramai prossimi alle festività
natalizie quando l’intervista fu ultimata. Ma proprio in quei giorni
si interrompeva la nostra collaborazione con la testata sulla quale
l’intervista era destinata ad apparire. Il testo rimase nel cassetto
per qualche mese, per poi comparire su un sito italiano – ahimè
– dalla breve vita.
L’allineamento
delle stelle appare ora decisamente più propizio: quale migliore
occasione? Vees ha accettato di buon grado di aggiornare il racconto,
cosa che avviene sotto forma di "Poscritto 2002".
La prima cosa che
salta agli occhi scorrendo le note di copertina di The
Restaurant Behind The Pier è il fatto che Jack Vees ha utilizzato
soltanto un basso elettrico a quattro corde. Il che potrebbe forse
ingenerare perplessità nel potenziale ascoltatore: se è
infatti vero che il processo di emancipazione dai ruoli più
convenzionali e l’evolversi dei linguaggi musicali e della ricerca
timbrica ci hanno ormai abituato a considerare le performance in solo
di percussioni e sassofoni come paritarie rispetto a quelle dei più
usuali pianoforti e chitarre, strumenti ritenuti in passato inerentemente
più "completi" e "orchestrali", è
anche vero che non sono pochi coloro i quali tuttora reputano un disco
di solo basso elettrico una sicura fonte di noia per carente varietà
timbrica e scarsa ampiezza dei territori esplorabili. The Restaurant
Behind The Pier potrebbe far loro cambiare opinione: per la ricerca
sullo strumento, che spesso è difficilmente riconoscibile grazie
a trattamenti semplici ma ingegnosi e all’uso di tecniche esecutive
poco ortodosse, e per la bellezza e la varietà delle composizioni.
La
cover strumentale di Manic Depression posta coraggiosamente in apertura
colpisce innanzitutto per la grinta, la scioltezza e il senso di scoperta
timbrica che tanto la accomunano alla versione originale incisa da
Jimi Hendrix su Are You Experienced? – una performance della quale
Vees cita minuti ma decisivi dettagli, a partire da alcuni passaggi
batteristici di Mitch Mitchell. Parimenti riuscite risultano le altre
composizioni riprese: la I Want You (She’s So Heavy) dell’ancora Beatle
John Lennon, che suona estremamente fedele e curiosamente aliena allo
stesso tempo, e quella As You Said che con l’ausilio di violoncelli
e chitarre acustiche prefigurava il cammino solista di Jack Bruce
all’indomani dello scioglimento dei Cream. Affinità elettive,
dichiarazioni d’amore e di stima, riconoscimenti di un debito formativo?
Il
quadro diventa ancora più ricco e interessante con l’ascolto
delle composizioni originali di Vees: laddove The Restaurant Behind
The Pier rimanda idealmente a quei timbri di "percussioni &
koto" che non suoneranno estranei agli estimatori del chitarrista
e liutaio Hans Reichel, John Henry pigia decisamente sul pedale della
distorsione, Monsieur Piñata testimonia di un ingegnoso lavoro
di studio e la lunghissima Surf Music II esplora la dimensione degli
armonici del basso prodotti mediante tecniche largamente "non
convenzionali" all’interno di una cornice compositiva di grande
bellezza e non poco rigore.
Il
retroterra di Jack Vees si intuisce perciò complesso e frutto
di molti stimoli, cosa confermata dall’ascolto del suo precedente
lavoro, Surf Music Again (CRI 1996), che passa dal piano computerizzato
di Piano Trio (Hulk Smash!) al solo basso di Surf Music Again al sequencer
e violoncello di Rocket Baby, dove a tratti fa capolino l’ombra di
Robert Fripp. La pagina più suggestiva è però
SPNFL, che utilizza frammenti della celeberrima versione dal vivo
fatta dai Cream del classico di Willie Dixon inclusa su Wheels Of
Fire.
Su
The Restaurant Behind The Pier hai rifatto tre note canzoni di artisti
famosissimi: Manic Depression di Jimi Hendrix da Are You Experienced?,
I Want You (She’s So Heavy), un classico di John Lennon da Abbey Road
dei Beatles e As You Said, una composizione di Jack Bruce dall’album
di studio di Wheels Of Fire dei Cream. Quali sono i motivi che ti
hanno indotto a scegliere proprio queste canzoni di questi artisti?
Beh,
ho sempre provato interesse per tutti e tre i brani in quanto composizioni.
Per me non sono soltanto delle canzoni. Ciascuno dei tre prende la
struttura tipica di un brano di musica pop e vi apporta delle variazioni
interessanti. I Want You (She’s So Heavy) sembra quasi mantenere una
normale struttura strofe/ritornello, ma poi il ritornello si tramuta
in questa cosa enorme e del tutto diversa, un ostinato che sovverte
completamente l’idea di una struttura strofe/ritornello. Per ciò
che riguarda il brano di Jack Bruce, anche lui si prende delle libertà
con quello che potremmo chiamare "l’inciso" o la sezione
"B" del brano (e che in ogni caso non è davvero un
inciso). Quella lenta linea melodica ascendente comincia ogni volta
da un’altezza differente e ogni volta che si ripresenta riparte da
una nota più bassa per poi finire su una nota alta, il che
credo renda l’ascesa ancora più "drammatica". Per
ciò che riguarda Hendrix, beh anche lui trova un modo per "interrompere"
i suoi ritornelli – non con un inciso ma con quella linea cromatica
che li arresta.
Inoltre
tutti e tre i brani mi consentono di usare il basso in modi che esplorano
aspetti diversi dello strumento invece di ricorrere a un modo di suonare
troppo ginnico e orientato ai riff.
Non
ho sottomano una copia di Abbey Road ma mi pare proprio di ricordare
che in quella canzone ci fosse una parte di "rumore bianco"
prodotto da un Moog modulare che hai mantenuto nella tua versione:
come sei riuscito a imitare quel suono? Immagino sia tutt’altro che
facile…
Invece
devo ammettere che è stato molto semplice! Mi sono limitato
a sfregare le corde (tutte e quattro) con le unghie e ad aprire e
chiudere lentamente un pedale wha wha. Al tempo di questa registrazione
avevo solo un normale wha wha per chitarra elettrica e così
ho dovuto usare una strana equalizzazione per fare uscire il "vento".
Adesso ho un pedale per basso e quindi non ho più tanto bisogno
di ricorrere ai controlli di tono. Per quanto riguarda l’aggiungere
i diversi strati al pezzo – la linea di basso, la melodia, gli arpeggi
– uso soprattutto un Digital Echoplex. Ho anche un JamMan che adopero
di tanto in tanto.
Ho
notato che hai scelto di rifare quella che credo sia l’unica canzone
di Jack Bruce nei Cream nella quale non c’è il basso: è
stata una coincidenza?
Beh,
innanzitutto direi che la cosa ha a che fare con il motivo per cui
ho scelto di rifare proprio questi tre brani.
C’è
anche da dire che quand’ero studente ho suonato per alcuni anni il
violoncello. Non l’ho mai suonato a un livello veramente serio ma
ho imparato la parte di violoncello di As You Said. Al momento di
scegliere il materiale per questo CD ho ricordato che ero solito suonarne
la melodia, poi ho pensato che se avessi riaccordato il basso avrei
potuto aggiungere anche le altre parti.
Una
domanda a un livello più generale: sul nuovo CD hai usato solo
il basso mentre sul CD precedente, Surf Music Again, hai incluso molte
combinazioni strumentali differenti. Qual è stata la ragione
principale che ti ha indotto a scegliere due approcci tanto diversi?
Più
spesso che no scrivo musica per altri strumentisti ed ensemble (ad
esempio Ensemble Modern, Zeitgeist, EAR Unit, Present Music) ma sono
sempre stato molto attivo anche per quanto riguarda il suonare dal
vivo. Il che non sempre comprende suonare il basso. Suono anche le
tastiere e la chitarra, cosa che ho fatto sul mio precedente CD. Di
solito c’è anche un piccolo gruppo base che viene aggiunto
quando serve.
Per
qualche ragione però nel corso degli ultimi due anni ho iniziato
a mettere insieme questo repertorio di brani per solo basso. Non avevo
un piano definito di fare di questo CD un album per solo basso e anzi
dapprima ho pensato che fosse un’idea alquanto bizzarra per un intero
CD, ma in un certo senso gli dà un focus che altrimenti forse
non avrebbe avuto.
Ho
anche sentito come una sfida compositiva il fatto di distillare la
cosa solo a me stesso e di vedere quale risultato avrei potuto ottenere.
Quando guardo un ensemble vedo un set di possibilità ed è
esattamente così che volevo considerare il mio modo di vedere
il basso: come un set di risorse da combinare in modi diversi invece
di suonare un milione di note al minuto.
Ti spiacerebbe
parlare del pezzo SPNFL, da Surf Music Again? (Credo di sentire alcuni
echi vocali del brano dei Cream, a partire da 3′ 50". Tra parentesi,
ho trovato questa citazione a proposito di Spoonful nella recensione
di Wheels Of Fire dei Cream apparsa sul # 14 di Rolling Stone: "L’unica
critica che posso rivolgere a questo pezzo è che il basso di
Jack Bruce suona troppe note mentre dovrebbe essere la base del suono."
Ho
cominciato usando la tecnica della risonanza del piano che ho adoperato
anche su Monsieur Piñata ma poi ho sottoposto i miei campionamenti
a molti trattamenti diversi. Ho preso all’incirca due dozzine di campionamenti
dalla versione dal vivo di Spoonful dei Cream. Sono tutti molto brevi,
solo di un secondo o due. Con un grosso speaker messo all’interno
di un pianoforte con il pedale di sostenuto abbassato veniva suonato
uno di questi brevi campionamenti, a un volume molto alto. A quel
punto registravo la coda della risonanza. Ed è vero che quando
la voce di Bruce è presente sul frammento campionato puoi sentire
un misterioso fantasma dell’originale. Dopo aver registrato tutti
questi frammenti li ho inseriti in un programma di editing audio (Sound
Designer) e li ho modificati ulteriormente per poi infine assemblarli
in una parte su "nastro" insieme alla quale suono il basso.
Una
delle cose strane di SPNFL è che non mi sarei mai aspettato
che venisse così "scuro". Di solito ho un’idea abbastanza
precisa di dove un brano è diretto mentre ci sto lavorando.
All’inizio credevo che avrei avuto un ambiente dall’atmosfera serena
e "calda", ma molto presto è diventato evidente che
i materiali, i campionamenti in se stessi, possedevano questa qualità
di oscuro presagio. A quel punto ho riletto il testo e ho capito di
cosa parlasse il pezzo originale, così non ho cercato di allontanare
i campionamenti da quell’atmosfera.
Per
quanto riguarda il commento di Rolling Stone ho due risposte, una
a un livello più generale e una più specifica. Quando
chi scrive afferma che "dovrebbe essere la base del suono"
costui sta rinforzando un paradigma gerarchico conservatore. E’ proprio
questo modo di pensare che ha immobilizzato la musica pop/(rock) dentro
una giacca rigida e molto stretta. Non si deve necessariamente essere
esuberanti come Bruce per mostrare come le relazioni in un ensemble
possano avere molte manifestazioni interessanti. Il lavoro di Charlie
Haden nel gruppo di Ornette Coleman è un altro buon esempio.
Oppure,
per essere ancora più retro, guarda le interazioni tra le parti
nella musica di Bach, dove l’azione è bilanciata in modo molto
uniforme. (O rivolgiti a un contemporaneo di Bach e ascolta Zelenka,
ma lui era un bassista!)
Negli
anni settanta c’è stato un certo tipo di jazz/fusion che enfatizzava
le "pirotecniche" eseguite a un tempo velocissimo e il suonare
una quantità eccessiva di note. Jaco lo chiamava "dimenare
le dita". Ma questo materiale era semplicemente basato su riff,
solo più veloce e a volte su tempi dispari. Scambiava l’essere
più intricato col credere di essere davvero più complesso.
Nelle migliori improvvisazioni dei Cream c’è un ascoltarsi
reciproco di un livello tanto elevato quanto quello dell’esecuzione.
L’unica
critica che potrei rivolgere al nuovo album concerne l’assenza di
informazioni tecniche, da cui la mia domanda: qual è l’origine
delle risonanze che è possibile ascoltare su Monsieur Piñata?
Nelle
note di copertina di Surf Music Again hai scritto: "Ho accluso
alcune descrizioni generali su come la musica è stata realizzata
perché credo che – dato che la tecnologia permea un numero
sempre maggiore di aspetti delle nostre vite – il pubblico, il compositore
e l’esecutore ne godranno maggiormente sapendo quali mezzi hanno dato
forma al processo." Ora, quale sarebbe la tua risposta se qualcuno
ti dicesse, per esempio: "Perché mi dovrebbe importare?
Ciò che mi interessa è il risultato finale per come
io lo sento."
Beh,
le due domande sono in qualche modo correlate, non credi? Mi piace
molto includere informazioni tecniche quando c’è abbastanza
spazio per farlo. Sono più interessato a come il pezzo suona
e a come un ascoltatore lo percepisce. Ma in effetti una delle differenze
tra una situazione live e un CD è che nell’esecuzione dal vivo
un ascoltatore ha a disposizione anche altri indizi, ad esempio visivi,
sul modo in cui un suono viene prodotto. Se qualcuno vuole limitarsi
ad ascoltare una registrazione senza minimamente interessarsi a come
il suono è diventato quello che è, beh a me sta bene.
Comunque, so anche che ci saranno delle persone che saranno curiose,
così faccio loro sapere alcune cose, quando posso.
Per
ciò che riguarda il CD di solo basso lo spazio del booklet
era minore e quindi abbiamo deciso di inserire meno testo.
Dato
che mi chiedi di Monsieur Piñata: ho messo l’amplificatore
del basso dentro un piano a coda! Il tecnico ha messo due microfoni
sul piano e il loro segnale è stato fatto passare in un compressore.
Il pedale di sostenuto del piano era abbassato. Quando suonavo, il
compressore conteneva il volume del basso a un livello moderato, poi
le quiete risonanze del piano crescevano di volume quando non stavo
suonando. Ho usato questa tecnica che sfrutta la risonanza del piano
su altri pezzi (ad esempio SPNFL).
Mi
parleresti della tua istruzione musicale? So che hai studiato con
alcuni compositori molto noti, ad esempio Morton Subotnick e Louis
Andriessen.
Credo che mi sarebbe facile giocare la carta dell’"intelligente
di strada", ma penso che – specialmente negli Stati Uniti – si
tenda nettamente a sopravvalutare l’idea(le) del "primitivo di
talento". Che è una costruzione di Hollywood. Nel tempo
che ho trascorso a Los Angeles non ho visto molti "primitivi
di talento", ma in giro c’erano sicuramente molti "talenti
primitivi"!
Un
momento, capisco cosa intendi con "primitivo di talento"
ma a cosa ti riferisci esattamente con "talenti primitivi"?
Intendo
quei tipi che nel mondo della musica occupano posti con potere decisionale
ma che non capiscono niente di musica – e nemmeno gliene importa.
OK,
ho capito. (Si
è così tentato di rendere un gioco di parole di Jack
Vees tra le espressioni "noble savages" e "savage nobles".)
Sì,
nello stesso periodo in cui studiavo per ottenere il diploma post-laurea
suonavo con alcuni tra i gruppi più abrasivi e insoliti di
Los Angeles. Ascolta gli Ugly Janitors Of America, che era un progetto
di John Trubee, o il Free Bass Ensemble, un gruppo composto soltanto
di bassi elettrici (di solito da 12 a 20!).
Ma
quei compositori "seri" mi hanno indotto a fermarmi a riflettere.
Andriessen ha preso l’estetica minimalista e ha abbattuto dei muri
in modo che respirasse.
Subotnick
ha incorporato degli elementi tecnologici in un modo molto organico.
E poi c’era anche Vinko Globokar, che mi ha mostrato tante cose sulla
struttura sottesa e su come incorporare degli elementi visuali/teatrali
in un modo che andasse in profondità ed evitasse il banale.
Sono
contento di avere incontrato tutti questi compositori. Ognuno di loro
mi ha fatto "salire di una marcia" ed esaminare il problema
del fare musica a un livello più alto di quello della semplice
autoespressione.
So
che hai scritto un libro sugli armonici (Book
On Bass Harmonics, Alfred 1981). Vuoi parlarne?
Quando
frequentavo l’università ho suonato in quello che allora veniva
chiamato l’ensemble di "avant garde jazz". L’anno prima
che mi iscrivessi il direttore era stato Cecil Taylor. Sebbene quando
mi iscrissi lui fosse già andato via, il nuovo direttore, Joel
Thome (che adesso è conosciuto per aver diretto alcuni dei
lavori orchestrali di Frank Zappa) fece proseguire il gruppo lungo
le stesse linee. Tutti noi venivamo incoraggiati ad esplorare tutte
le potenzialità dei nostri strumenti. Questo tipo di ensemble
attirava sempre molti percussionisti dalle idee avanzate che suonavano
i loro strumenti in modi decisamente non ortodossi. Alcune di quelle
cose le ho adattate al basso, in altre mi sono semplicemente imbattuto
strada facendo. Quando ho ascoltato il primo album solo di Jaco ho
capito che aveva trovato un modo per prendere alcune di queste tecniche
– in particolare gli armonici – e di utilizzarle all’interno di un
formato tonale più ortodosso. Ho cominciato ad assemblare una
lista di tutte le possibili combinazioni che potevano essere raggiunte
da ogni posizione, insieme a delle annotazioni scritte per me stesso
sui modi migliori di colpire le corde e ad altre indicazioni. Un giorno
il tipo che dirigeva la big band (Manny Albam, che è anche
un noto arrangiatore di jazz) vide le mie note e fece un commento
casuale sul fatto che avevo quasi scritto un libro. Mi suggerì
un paio di editori e il secondo che contattai decise di pubblicarlo.
Ricordo
che ci volle loro un sacco di tempo per stamparlo perché (questo
avveniva nei giorni in cui i testi erano composti fisicamente) continuavano
ad esaurire quei piccoli segni a forma di rombo che denotano gli armonici!
Sfortunatamente, sebbene ci sia ancora qualche copia in giro, se riesci
a trovarla, adesso è fuori catalogo.
Sono
molto curioso di sapere qualcosa a proposito delle tue tecniche "extended",
ad esempio quelle usate in Surf Music II.
Ho
detto prima di aver avuto un sacco di idee guardando i percussionisti.
E anche altri compositori coi quali ho lavorato mi hanno spinto ad
ampliare le mie tecniche esecutive, ad esempio Joel Thome ed Eleanor
Hovda. Sembra che suonare un basso con l’archetto sia tutt’altro che
insolito, ma quando ho provato a farlo con un basso elettrico sulle
prime, ovviamente, il corpo dello strumento mi è stato d’impaccio.
Un giorno ho cominciato a suonarlo con l’archetto messo in alto, vicino
al capotasto, e allora cominciarono a venire fuori tutti questi suoni
acuti. Sono anche affascinato dal far vibrare le corde mediante materiali
di diversa durezza – di tutto, dalla gomma al vetro.
Cosa
diresti a qualcuno che considerasse il tuo nuovo CD come "un
manuale per bassisti che amano i virtuosismi tecnici" – cioè
a dire, privo di un reale valore estetico?
Sarei
molto sorpreso se i bassisti fossero molto interessati al mio disco
– e soprattutto se lo fossero per motivi tecnici. Non l’ho mai considerato
un CD "solo per musicisti". Per gran parte del disco si
potrebbe anche non capire di stare ascoltando un album di solo basso.
In realtà sono molto più interessato a esplorare la
tavolozza del potenziale timbrico (il che può includere la
bellezza estetica) e a creare dei pezzi che abbiano una qualche solida
base formale (o estetica) piuttosto che a impressionare qualcuno con
l’abilità tecnica. Si tratta soprattutto di dedicare un po’
più di immaginazione di quella che viene normalmente riservata
a uno strumento che ha invece moltissime altre possibilità
– sia per ciò che riguarda le sue proprietà acustiche
che la sua funzione.
Ti
citerò alcuni bassisti elettrici; mi piacerebbe conoscere la
tua opinione su di loro (e ti invito ad aggiungere altri nomi che
non ho citato e che tu consideri importanti): Jack Bruce, Hugh Hopper,
Jack Casady, John Entwistle, Jaco Pastorius, Colin Hodgkinson, Paul
McCartney.
Beh,
ho già parlato tanto di Jack Bruce, ma voglio ribadire che
è importante tanto come compositore che come bassista. La stessa
cosa vale anche per Mingus e Jaco. Se non hai mai ascoltato Harmony
Row procuratelo immediatamente! Ci incontrammo a un festival nel periodo
in cui lui suonava con Carla Bley mentre io suonavo su un pezzo di
Stockhausen. E’ un grande musicista che merita riconoscimenti in misura
incomparabilmente maggiore.
Ho
incontrato Jaco alcune volte e una sera gli ho perfino prestato il
mio amplificatore. Ci incontrammo per la prima volta credo nel ’77,
quand’ero ancora studente. Lo aspettai nella neve dopo un concerto
per parlargli del mio libro sugli armonici del basso al quale stavo
lavorando e in generale anche per stabilire un contatto. Questo accadeva
nel New Jersey. Alcuni anni più tardi, probabilmente nell’81,
vivevo a Los Angeles. La mia ragazza faceva la cameriera da Dante’s,
un club dove si suonava del jazz. Mi chiamò e mi disse che
Jaco era lì e voleva suonare col gruppo ma non aveva un amplificatore.
Devo dire che anche se suonava ancora a un livello molto alto era
evidente che aveva dei problemi ad essere all’altezza degli altri.
Ciò detto, facemmo ugualmente una bella conversazione, concentrata
e articolata, su alcuni argomenti specifici. Avevo con me la bozza
definitiva del mio libro sugli armonici ed esaminammo insieme alcuni
dettagli. Poi mi chiese se volevo ascoltare alcuni missaggi provvisori
(dell’album Word Of Mouth) nella sua macchina. Naturalmente dissi
di sì. Si mise il basso sulle spalle e ci incamminammo lungo
la strada. Era inverno e d’inverno a Los Angeles piove e quella sera
la pioggia veniva giù molto forte. Camminammo per circa tre
isolati e finalmente arrivammo alla sua macchina a noleggio. Aprì
il cofano e ci buttò dentro il basso. Entrammo in macchina
e ascoltammo Three Views Of A Secret e parte di John And Mary. Che
posso dire? In quella musica c’erano molte cose brillanti assieme
a cose meno riuscite, ma non vedremo mai un altro come lui.
Ho
trovato strano/interessante il fatto che tu abbia citato Entwistle.
Evidentemente qualcosa della mia gioventù sregolata dev’essere
ancora visibile! Ovviamente il suo suono squillante e metallico ha
anticipato quello di tanti altri musicisti. Sono sicuro che nel mio
tipico ruolo di gruppo il mio suono ideale poggia sul triumvirato
Bruce/Entwistle/Pastorius. Mi piace poter far ruotare le mie dita
per passare dal calore al gelido e cristallino metallo di tutti questi
tipi.
Per
ciò che riguarda Jack Casady, mi piaceva il suo modo di suonare
ma non gli ho prestato veramente molta attenzione finché lui
e Kaukonen non andarono a formare gli Hot Tuna. Hugh Hopper l’ho conosciuto
molto tempo dopo, ma mi piace quello che fa.
Riguardo
a McCartney, hmm… E’ difficile da dire. Avrebbe quasi bisogno di
un altro articolo tutto per sé. In un certo senso, come Bruce,
dava a un pezzo esattamente ciò di cui aveva bisogno. Nei suoi
momenti migliori sapeva come rendere "mosse" le fondamenta,
non per mettersi in mostra, ma al fine di rendere tutto il brano più
interessante.
Se
davvero vuoi conoscere una mia "passione inconfessabile"
a proposito di bassisti dovresti ascoltare Lee Dorman. Suonava negli
Iron Butterfly. Dimentica In A Gadda Da Vida! Qualunque altra cosa
sulla quale ha suonato ha questo meraviglioso feeling barocco. E’
molto sottovalutato.
Ma
in definitiva direi di ascoltare Mingus, LaFaro, Blanton, Haden ed
Eric Dolphy. Non ha molto a che vedere con lo strumento utilizzato
ma con il modo in cui questi musicisti sapevano come mantenere un
equilibrio di natura compositiva all’interno dei gruppi in cui suonavano.
Poscritto
2002
Molto del
mio tempo e della mie energie sono stati impiegati nella costruzione
dei nuovi studi del Center for Studies in Music Technology all’Università
di Yale. Ci trasferiremo lì tra qualche mese. Tutto l’edificio
sarà dotato delle più recenti apparecchiature digitali.
Il prossimo anno ci sarà un gran concerto inaugurale, del quale
ti dirò a suo tempo.
In
questo momento sto lavorando a una composizione per flauto ed electronics
che sarà eseguita per la prima volta nel marzo del prossimo
anno durante un workshop internazionale di flauto. Ma ancor prima
sarò presente come compositore al New Music New Haven. Ciò
avverrà il 6 febbraio, e credo che verranno eseguite due mie
composizioni – una per oboe ed electronics, l’altra per ensemble di
campane.
Al
momento sono impegnato più come compositore che come esecutore.
Però ho avuto l’opportunità di partecipare a un progetto
interessante, sia in veste di strumentista che di arrangiatore. Da
molto tempo – in verità da quando ero ragazzino – sono un grosso
fan della musica dei Procol Harum. Erano uno dei gruppi del primo
concerto rock al quale sono andato in vita mia, e sono rimasto molto
favorevolmente impressionato. Il tipo che si occupa del loro sito
ha conosciuto il mio lavoro un paio di anni fa. Si dà il caso
che anche Ben Verdery sia un fan accanito dei Procol Harum. A ogni
modo, c’è in preparazione un album dedicato ai Procol Harum,
e artisti da tutto il mondo parteciperanno con versioni dei loro brani
favoriti dei Procol. Ben e io speravamo di realizzare un duo di basso
e chitarra ma i nostri rispettivi impegni non ce l’avrebbero consentito,
così la persona responsabile del progetto mi ha chiesto se
avrei potuto realizzare uno dei miei arrangiamenti per bassi sovraincisi.
Così ho riascoltato il loro repertorio e ho deciso di rifare
Repent Walpurgis, la canzone che chiude il loro primo album. Dal punto
di vista musicale è stata una sfida, in special modo tradurre
il meraviglioso apporto batteristico di BJ Wilson in un thumping e
bumping sul basso. Ma volevo anche vedere se sarei stato in grado
di registrare, missare e produrre il tutto sul mio laptop. Uso un
MacIntosh G4 titanium con masterizzatore incorporato. Direi che è
venuto bene. Per i fissati di cose tecniche – ho usato Digital Performer
con il loro box 828, e ho usato anche dei plug-in "Waves".
Ti
terrò informato su nuovi e divertenti progetti – ad esempio,
sto lavorando a un’opera basata su The Mezzanine di Nicholson Baker,
ma ci sarà bisogno di tempo e soldi per farla decollare!
© Beppe Colli
2000 – 2002
CloudsandClocks.net | Dec. 16, 2002