Sound Man
By Glyn Johns
Blue
Rider Press 2014, $27.95, ppxvii-315
"Un’occasione
sprecata" o "un libro pieno zeppo di informazioni che si legge tutto
d’un fiato"? Il lettore sarà forse stupito – ma mai quanto noi –
nell’apprendere che a proposito di questa autobiografia di Glyn Johns, fresca
di stampa, è possibile esprimere ambedue i giudizi. Non partendo dallo stesso
punto di vista, ovviamente, come sarà chiaro alla fine del discorso.
"Un’occasione
sprecata" è esattamente quello che abbiamo pensato durante la nostra prima
lettura, effettuata alla luce dei nostri interessi e conoscenze; le nostre
aspettazioni hanno avuto ovviamente il loro peso, ma – diremmo – in misura
decisamente contenuta. Durante la seconda lettura, effettuata avendo in mente
interessi e conoscenze di quello che immaginiamo essere il lettore
"tipico" al quale intendiamo comunicare il contenuto di Sound Man,
abbiamo invece pensato che i meriti del volume non erano pochi.
I meriti
di Glyn Johns – produttore e tecnico del suono accolto nel 2012 nella Rock and
Roll Hall Of Fame – sono ovviamente enormi. Lo strillo di copertina recita
infatti: "A life recording hits with the Rolling Stones, the Who, Led
Zeppelin, the Eagles, Eric Clapton, the Faces…". Mentre il
retrocopertina ospita dichiarazioni di Paul McCartney, Eric Clapton, Pete
Townshend, Chris Blackwell (il fondatore della Island Records) e Bill Wyman.
Non è
azzardato dire che Glyn Johns ha vissuto da protagonista una buona parte della
storia del "rock" che conta, aggiungendo un tocco
"trasparente" (Johns non è il tipo di produttore la cui
"impronta" risulta evidente a occhio nudo) ma decisivo a una bella
fetta di capolavori e di album "minori" (qui un buon esempio è il
secondo lavoro dei Family, Family Entertainment). Mentre il missaggio di Combat
Rock dei Clash dice, se non di "affinità elettive", quanto meno di
una versatilità in grado di produrre ottimi risultati.
Eravamo
curiosi di leggere questo volume, con la segreta speranza che il narratore
procedesse a svelare aspetti segreti del processo di realizzazione di tanti
album da noi posseduti e certosinamente indagati nel corso degli anni. La
nostra fiducia non era, tecnicamente parlando, mal riposta: Glyn Johns è stato
sempre uomo "sobrio", quindi di memoria affidabile. Il nostro segreto
timore era di non venire a sapere più di quanto non fosse già noto per il
tramite di alcune interviste (ne ricordiamo una molto bella sul mensile
statunitense Musician) e del capitolo del volume di Stuart Grundy e John Tobler
intitolato The Record Producers (BBC Books, 1982). Ed era solo logico
attendersi dei commenti sul modo corrente di "fare musica" – per
semplificare: Pro-Tools, plug-in, "mixing-in-the-box" e 1.200
"virtual tracks" – da parte di uno dei campioni del "rock"
inteso come "musica d’insieme eseguita in tempo reale".
Lo
confessiamo: il primo capitolo che abbiamo letto è stato quello dedicato
all’incisione dell’album d’esordio dei Led Zeppelin. Come il lettore certamente
ricorderà, è dall’anno zero di quell’incisione che il merito del suono e delle
soluzioni tecniche che hanno reso famoso quel lavoro viene variamente
attribuito. Qui lo smilzo capitolo a esso dedicato è di un asettico che non può
non richiamare alla mente il lavoro di tre strati di avvocati, che – bilancino
alla mano – hanno attenzionato il tutto. A Glyn Johns resta "My technique
for recording stereo drums" (pp117-118, con foto a p119).
Non
vorremmo essere troppo cattivi dicendo che per chi scrive l’unica vera
rivelazione del libro è stata venire a sapere come Glyn Johns ha smesso di
fumare: durante le sedute d’incisione di The Who By Numbers, in risposta a un
Keith Moon che – accusato di amare troppo la bottiglia – gli rimproverava una
"doppia morale". Ma è un discorso che riprenderemo tra breve.
Esaminiamo
lestamente il capitolo "errori". Sconcertante leggere nella pagina
del copyright che "Sezioni di ‘Stones European Tour, Spring 1957′ erano
precedentemente apparse in Stu": nel 1957 gli Stones portavano ancora i
calzoni corti. Nella "Selected Discography" curata da Andrew Alburn
l’album di Howlin’ Wolf intitolato The London Sessions viene indicato come
pubblicato nel 1974, ma l’album fu registrato nel 1970 e pubblicato nel 1971.
C’è un bel "Paricipants" sotto la foto che appare a p258. Mentre il
tecnico di fiducia di Joni Mitchell, Henry Lewy, a p198 diventa
"Lewey".
La narrazione
ha inizio con la classica frequentazione del coro della parrocchia, cui fanno
seguito un basso autocostruito, una chitarra, e a diciassette anni, nel 1959,
la fondazione di una "cover band". Dopo il classico innamoramento per
lo "skiffle" di Lonnie Donegan e la frequentazione di libri e dischi
ricchi di folk e blues, in modo del tutto fortuito c’è l’assunzione in qualità
di "assistant engineer" negli studi londinesi IBC di Portland Place,
"without a doubt the finest independent recording studio in Europe at the
time".
Session
d’incisione domenicali facilitano la frequentazione di nomi quali Jimmy Page,
Cyril Davies, Nicky Hopkins, Ian Stewart (il pianista dei Rolling Stones che
diverrà grande amico di Glyn Johns) e Jeff Beck. Se l’incontro con Andrew Oldham,
produttore degli Stones, propizierà il lavoro di Johns per l’etichetta
Immediate, quello con il produttore Shel Talmy sarà l’inizio di una lunga
collaborazione con The Who e The Kinks. E’ a questo punto che Glyn Johns
diventa il primo tecnico "freelance".
Passano
sotto gli occhi gli studi Pye di Marble Arch e i famosissimi Olympic,
personaggi quali Don Arden e Chris Blackwell, e i Basing Street Studios, dove
Glyn Johns missa Get Yer Ya-Ya’s Out! degli Stones e Songs For Beginners di
Graham Nash.
Il marzo
del ’68 vede il primo album realizzato da Glyn Johns in qualità di produttore:
Children Of The Future della Steve Miller Band (seguiranno Sailor e Brave New
World). C’è l’avventura Beatles, con le session del 1969 ai Twickenham Film
Studios, e poi, in Savile Row, il famoso "concerto sul tetto" e Let
It Be.
Altri
nomi: David Anderle, Jim Gordon, Rita Coolidge, Leon Russell, Joe Cocker.
L’album degli Stones Let It Bleed. Le London Sessions di Howlin’ Wolf, un
capitolo toccante. Poi Humble Pie, Boz Scaggs, gli Who di Lifehouse e Who’s
Next. Neil Young con Jack Nitzsche e la London Symphony Orchestra a incidere i
due capitoli orchestrali di Harvest, A Man Needs A Maid e There’s A World. Gli
Stones al Marquee Club. Quadrophenia. L’avventura dolceamara con gli Eagles. Il
capitolo Small Faces/Faces. E poi il primo abbozzo di Black And Blue con gli
Stones, la collaborazione con Joan Armatrading, l’Eric Clapton di Slowhand,
l’esperienza dei concerti ARMS del 1983.
Un breve
capitolo dedicato alla sovraincisione e all’importanza di suonare insieme
(p169), alcune note non molto entusiaste sugli anni ottanta e novanta, e – a
dispetto di un ritorno sulle scene tutt’altro che sgradevole – la
consapevolezza che un ciclo si è chiuso.
Cerchiamo
di chiudere il discorso in modo non ambiguo. Crediamo fermamente che chi è
interessato a una narrazione di prima mano decisamente affidabile a proposito
di una bella fetta di musica rock – principalmente, anche se non
esclusivamente, quella del decennio 1965-1975 – troverà qui una bella lettura.
Giocoforza chiedersi però se il libro sarebbe stato diverso se a scriverlo
fosse stato un membro dell’entourage dei gruppi, dei management, o un
giornalista con accesso privilegiato di un settimanale londinese ad alta
tiratura come il Melody Maker. La risposta è no. E quindi questo libro – che
non potrebbe esistere se Glyn Johns non fosse stato il tecnico e il produttore
che è stato – non beneficia quasi in alcun modo dello "specifico
professionale" di Glyn Johns. Cosa che lo rende sia "un’occasione
sprecata" che "un libro pieno zeppo di informazioni che si legge
tutto d’un fiato".
Beppe Colli
©
Beppe Colli 2014
CloudsandClocks.net
| Dec. 16, 2014