Intervista
a
Ian
MacDonald
—————-
di Beppe
Colli
Aug.
5, 2003
In un’epoca
in cui le preferenze di gusto soggettive costituiscono la dimensione
più comune del discorso critico la lunga Introduzione e la Nota
alla Cronologia che appaiono su Revolution
In The Head – The Beatles’ Records And The Sixties, l’acclamato volume
di Ian MacDonald (originariamente pubblicato nel 1994, rivisto nel 1997),
rappresentano un riuscito tentativo – coraggioso e fin troppo raro –
di esaminare alcuni trend che diventano evidenti solo ponendosi in una
dimensione macro.
Se è
vero che ci sono molti motivi per i quali il recente The People’s Music
– la nuova collezione di recensioni, articoli e profili di Ian MacDonald
– è volume la cui lettura può essere senz’altro consigliata,
l’eccellente saggio che dà il titolo alla raccolta è forse
il pezzo intellettualmente più stimolante – e in più sensi
la chiave per gli altri scritti del libro.
Ovviamente
non è difficile immaginare che qualcuno salterà dalla
sedia dopo aver letto la seguente frase: "Un
aspetto di questo volume che è innegabile è la sua prospettiva
che la migliore "popular music" realizzata nel periodo preso
in considerazione fu fatta durante gli anni sessanta, quando il rock
era al suo apice sia come forma d’arte nuova, ancora mezza inventata,
sia come ricettacolo di impulsi sociali ribelli." (la citazione
è tratta da pag. viii dell’Introduzione). E così abbiamo
pensato di fare quattro chiacchiere con l’autore.
Nonostante
fosse estremamente occupato, Ian MacDonald ha gentilmente accettato
di rispondere alle nostre domande, inviate la scorsa settimana tramite
e-mail.
A
pagina 193 del tuo libro scrivi che all’incirca a partire dal 1963 "La
musica divenne più popolare – proprio come nel corso degli anni
novanta lo divenne meno, cedendo il passo ad altre forme di intrattenimento."
Vorrei rivolgerti due domande in proposito.
Innanzitutto,
mi sembra che al momento la tendenza dei giornali musicali sia quella
di aumentare in modo sensibile la quantità di dischi recensiti
in ogni numero (con la logica conseguenza che il sistema numerico di
valutazione diventa ancora più diffuso che in passato). A mio
parere questo, che si vuole un rimedio, non fa che rendere le cose peggiori.
Qual è la tua opinione in proposito?
Nell’industria
editoriale è opinione largamente condivisa che un maggior numero
di recensioni equivalga a una copertura migliore. Una delle riviste
per le quali lavoro ha recentemente diminuito la lunghezza media delle
recensioni allo scopo di farcene entrare di più. Ovviamente questo
vuol dire che la qualità del commento ne soffre. E quindi, sì,
sono d’accordo che questo non fa che peggiorare le cose.
Secondo.
Tu scrivi di "Giornali musicali che, durante gli anni novanta,
si trovarono a dare disperatamente la caccia ai lettori…" (pag.
193). Ho questa citazione di Jim DeRogatis (dalla recensione della nuova
raccolta di scritti di Lester Bangs): "Se la maggior parte del
rock ‘n’ roll è effimera – oggi c’è, domani no – cos’è
che questo ci dice a proposito dello scrivere di rock?" Qual è
la tua opinione in proposito per quanto riguarda la stampa – e le sempre
più comuni "guide per consumatori" (comunque travestite)
che si trovano su Internet?
Non
ho visto nessuna "consumer guide" su Internet, quindi non
posso fare alcun commento in proposito. Per quanto riguarda la questione
se la maggior parte del rock’n’roll sia effimera, e quindi se la maggior
parte degli scritti che lo riguardano condivida questa caratteristica,
direi che è auto-evidente. Molto poco in questa industria dura
a lungo, specialmente di questi tempi. Se la scrittura che lo riguarda
è destinata a sopravvivere dipenderà dalla qualità
di quelli che ne scrivono – anche se ovviamente è d’aiuto se
la musica di cui si scrive è degna di essere discussa.
Devo
dire che in un’epoca di post-modernismo e di relativismo crescente leggere
quello che scrivi (a pag. 196): "(…) e qualcosa che è
ancora tabù ammettere: un declino della qualità della
popular music in quanto tale." (…) "Questo fatto (…) è
stato respinto anche da molti giovani che scrivono su ciò che
resta dalla stampa musicale per una versione meno cinica dello stesso
motivo: il desiderio di evitare di dover ammettere che la pop music
del loro tempo è di qualità inferiore a quella di periodi
precedenti." è alquanto scioccante. Qual è la tua
opinione di quelli che negano questo fatto con veemenza e che, nonostante
abbiano più di sessant’anni – ad esempio Robert Christgau – tessono
le lodi di gente come Eminem e Pink?
Ho
letto molto poco di Christgau e mi sono accorto che non mi trovavo d’accordo
con la maggior parte di quello che scrive, anche se il fatto era dovuto
principalmente a una questione di gusti diversi. Quelli che negano con
veemenza il fatto che la pop music è decisamente peggiorata ignorano,
a mio parere, le diverse misure obiettive alla luce delle quali la musica
può essere giudicata e che ho discusso nella Nota alla Cronologia
su Revolution In The Head. Questa è una loro prerogativa ma è
un fatto che non mi rende molto fiducioso a proposito della loro capacità
di distinguere la musica buona da quella cattiva. Sia il jazz che la
musica classica hanno subito un drastico declino qualitativo nel corso
degli ultimi trent’anni e ci sarebbero pochi commentatori in questi
campi che a questo proposito non si dichiarerebbero d’accordo. E quindi,
perché non nel campo pop/rock?
Scrivi:
"Oggi le orecchie sono meno sensibili di quanto non fossero in
passato. Questo è in parte una conseguenza della transizione
sociale (…) da una cultura auditiva a una cultura visiva". (pag.
207) "Gli standard sono peggiorati (…)" (pag. 209). Questo
mi ha ricordato alcune cose dette da Chris Cutler in un saggio scritto
per il ReR Quarterly, quando ha paragonato questo al fatto che una volta
la gente era in grado di valutare la qualità – per esempio, distinguere
una sedia fatta bene da una fatta con sciatteria (cito a memoria). Ma
questo è un tipo di ragionamento che molto spesso viene definito
"elitario" – proprio come il tuo atteggiamento nei confronti
del sequencing. Ti spiacerebbe parlarne?
Beh,
il sequencing è un procedimento tecnico dalle ovvie controindicazioni,
che descrivo nel mio libro. Per quanto riguarda il saper distinguere
ciò che è fatto bene da ciò che è fatto
in modo scadente, sono d’accordo con Chris Cutler. Sono molto colpito
da quanti tra i nuovi gruppi che vediamo celebrati di questi tempi non
sono in grado di costruire un pezzo di musica coerente, per non parlare
del fatto di saper scrivere una canzone decente. Questo è dovuto,
a mio parere, in gran parte al fatto che per imparare il mestiere la
gente copia quello che trova immediatamente a portata di mano e nel
corso delle generazioni gli standard di musicalità sono degenerati
anno dopo anno. Ovviamente molti gruppi moderni CREDONO di stare lavorando
negli stessi modi dei loro predecessori dei decenni precedenti, ma si
sbagliano completamente.
Di
recente Gina Arnold scrivendo a proposito dell’atteggiamento prevalente
nei riguardi del nuovo CD di Liz Phair ha scritto che esso "Mette
in rilievo l’incapacità della critica rock di superare
il paradigma lo-fi/highbrow, secondo il quale la buona musica ha un
brutto suono, e viceversa." Ritieni che questo fenomeno esista
davvero?
Ho
ascoltato un sacco di prodotti lo-fi che a mio modo di vedere hanno
ricevuto alte lodi del tutto immeritate solo perché la loro relativa
semplicità e rozzezza li fa suonare in qualche modo "autentici".
Se questo, come Gina Arnold suggerisce, ha condotto a un paradigma del
tipo che lei delinea, posso certamente crederci.
Alcune
delle tue analisi sulla società moderna (a pag. 208 usi l’espressione
"l’individualizzazione della società") mi hanno ricordato
il sociologo Zygmunt Bauman. Conosci il suo lavoro? Ci sono dei sociologi
il cui lavoro reputi ti abbia ispirato?
No,
non ho letto sociologia. Le mie idee per quanto riguarda questi aspetti
sono strettamente mie.
C’è
un punto (a pag. 207) nel quale usi l’espressione "Così
scadente da diventare buono". Questo mi ha immediatamente ricordato
una scena del film Ghost World. Parlando del fenomeno "ironia/nostalgia":
hai visto questo film? Se sì, che ne hai pensato?
Mi
dispiace, ma non ho visto questo film.
C’è
qualcosa che vorresti aggiungere?
Solo
che non dovremmo sorprenderci del fatto che un fenomeno, quale la pop
music, è declinato nel tempo. Tutto considerato è un genere
musicale molto semplice e le sue possibilità sono necessariamente
limitate. E’ più sorprendete che continuino a esserci, in casi
isolati, brani di musica pop/rock che sono all’altezza degli standard
di giudizio delle epoche passate, anche se non si classificano certo
"ai primi posti" se consideriamo le cose nel loro complesso.
E’ inevitabile che la gente continuerà a godersi la musica nel
futuro prevedibile, nonostante il suo declino oggettivo. Se non si possiede
nulla di eccellente al quale paragonare qualcosa di valore inferiore
non ci si potrà accorgere di essere stati defraudati. Così
stando le cose, la musica pop/rock continuerà in un certo qual
modo a prosperare e nuove generazioni di ascoltatori continueranno a
trarne godimento. E’ solo un peccato che quello che viene ascoltato
adesso sia di uno standard così basso qualora paragonato a quello
degli anni Sessanta e Settanta.
©
Beppe Colli 2003
CloudsandClocks.net
| Aug. 5, 2003