Intervista a
Hugh Hopper
(2007)
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di Beppe Colli
Feb. 3, 2007
Originariamente pubblicato nel 1977, Hopper Tunity Box può
essere considerato per molti versi una vetta sia per il suo compositore/principale
strumentista che per il (ahem) "genere" di musica del quale grosso
modo si può dire faccia parte ("Canterbury style" è un’etichetta
senza senso, ma la diremmo di gran lunga preferibile a "Prog", "Jazz-Rock",
o "Rock-Jazz"). Composizioni eccellenti, arrangiamenti creativi,
momenti strumentali di grande bellezza da parte di Hugh Hopper e di musicisti
quali Elton Dean, Gary Windo, Dave Stewart e Mike Travis, Hopper Tunity Box
è appena stato ristampato su CD in una versione rimasterizzata dai nastri
originali (la prima versione su CD era stata rimasterizzata partendo dall’album
in vinile, con risultati decisamente mediocri).
Abbiamo pensato di proporre a Hugh Hopper di fare un’intervista
a proposito dell’album e delle circostanze che lo hanno preceduto. Hopper
ha gentilmente accettato, e l’intervista, condotta via e-mail, ha avuto luogo
la scorsa settimana.
Pubblicato nel 1973, l’album
intitolato 1984 è stato il tuo primo lavoro da solista dopo la tua uscita
dai Soft Machine. Quattro anni dopo, Hopper Tunity Box è stato il tuo
secondo album da titolare: sei rimasto soddisfatto di come è venuto,
e dell’interesse che ha suscitato in termini commerciali, sia sulla stampa
che tra i fan dei Soft Machine?
Sì, per molto
tempo è stato il mio album preferito fra quelli su cui ho suonato (dopo
Rock Bottom). Ho fatto molto lavoro di preparazione – composizione,
arrangiamento, provare le parti che avrei dovuto sovraincidere con basso,
chitarra e strumenti a fiato. Per quanto riguarda il riscontro commerciale,
quando Hopper Tunity Box è stato pubblicato i Soft Machine erano un gruppo
quasi dimenticato – solo alcuni fan (per la maggior parte in Europa)
provavano ancora interesse a seguire quello che gli ex-membri facevano.
Io sono stato fortunato, dato che giornalisti come Steve Lake al Melody
Maker erano ancora interessati, e quindi ho avuto delle buone recensioni.
Sfortunatamente la Compendium, l’etichetta norvegese che a quel tempo ha
pubblicato il disco, era un’impresa alquanto dilettantesca che di lì a
poco è fallita, quindi non c’è stata alcuna vera promozione, né un seguito
commerciale.
Dopo 1984 hai iniziato a collaborare
con Stomu Yamash’ta, che a quel tempo era già una piccola celebrità,
seppure a un livello più basso rispetto al periodo del suo lavoro successivo,
Go. Hai suonato sull’album Freedom Is Frightening, e hai anche suonato
dal vivo come parte del suo gruppo di allora, East Wind. Vuoi parlarmi
di quell’esperienza?
Beh,
ho ammirato l’energia di Stomu quando ho visto i suoi primi pezzi teatrali
a Londra con il Red Buddha e così via, ma a dire il vero lavorare con lui
è stato decisamente al di sotto delle mie aspettative – dopo quei
lavori quello che realmente voleva diventare era una rock star (e se avesse
avuto la giusta cornice musicale probabilmente ci sarebbe riuscito). Ho
trovato quella musica non sufficientemente creativa per i miei gusti. Mi
sembrava un gruppo di accompagnamento funk, in special modo sui dischi
successivi. Era quello che voleva, ma per me la cosa non era soddisfacente,
così me ne andai. Però è stato grazie al suonare con Stomu che ho incontrato
Gary Boyle e Nigel Morris, così quello è stato un bonus.
La tua collaborazione successiva
è stata con il gruppo degli Isotope. Sei andato in tour con loro, e hai
anche registrato un album, Illusion. Parlami di questo periodo.
Gary Boyle aveva già il suo gruppo,
Isotope, mentre lavorava con Stomu. Gary ha deciso di andarsene per dedicare
più tempo agli Isotope, e non appena nel gruppo ci fu un avvicendamento
di personale mi invitò a unirmi a loro. Cosa che feci, dato che mi ero
già annoiato di stare nel gruppo di Stomu; inoltre ero in ottimi rapporti
di amicizia con Gary e anche con Nigel Morris, il batterista degli Isotope.
Come Isotope abbiamo fatto un sacco di concerti, facendo parecchi tour
in UK e in Europa, e una volta anche negli Stati Uniti. Il gruppo aveva
un buon appoggio logistico e finanziario da parte della Gull Records e
dalle edizioni musicali British Lion, così per un paio d’anni fummo molto
occupati e ragionevolmente ben pagati. Eravamo anche un gruppo di gourmet – quando
andavamo a suonare facevamo deviazioni in direzione dei nostri ristoranti
preferiti! Ma in seguito diventai meno interessato alla direzione che la
musica stava prendendo, così decisi ancora una volta di andarmene.
Quello della Monster Band è
un capitolo non molto conosciuto della tua storia. Non ho le idee chiare
a proposito dei tuoi pezzi che compaiono sia sull’album della Monster
Band che su Illusion: cos’è venuto prima?
Stavo
componendo questi pezzi al momento in cui stavo per lasciare i Soft Machine
nel 1973. Ho registrato dei provini a casa con delle attrezzature davvero
semplici. Alcune di queste registrazioni furono usate su Monster Band,
e in seguito, quando mi unii agli Isotope, suonammo dal vivo alcuni di
questi pezzi e li registrammo per Illusion.
Hopper Tunity Box: mi spiegheresti
il senso del titolo?
E’ una battuta, un gioco di parole.
Hopper Tunity = opportunity. Negli anni sessanta in UK c’era un terribile
show televisivo chiamato Opportunity Knocks, uno "spettacolo per talenti"
dove dei dilettanti avevano la possibilità di essere visti su un’emittente
nazionale e di vincere dei premi, quindi Hopper Tunity Box suona come quella
frase (la frase era un modo di dire comune già prima dello show televisivo,
e il senso è che è apparsa una possibilità, una chance ha bussato alla porta).
Hopper Tunity Box può anche significare una scatola (box) piena di pezzi (tunes) di Hopper, e questo è il motivo per cui ho chiesto a Dave
Ace, che ha realizzato la copertina originale, di dare alla copertina l’aspetto
di una scatola.
Nelle note di copertina che
hai scritto per la nuova edizione di Hopper Tunity Box parli dei contributi
di tutti gli strumentisti con una sola eccezione: Richard Brunton. C’è
qualche motivo particolare?
No, chiedo scusa a Richard! Era
una chitarra ritmica davvero gustosa. Suonava con Gary Windo e gli ho chiesto
di suonare su un paio di pezzi dell’album dopo averlo visto con il gruppo
di Gary.
Quando è uscito l’album mi
è sembrato di sentire dei climi da musica classica decisamente evidenti
sia nel tema del brano omonimo (la parte suonata sui flauti) che nella
seconda parte di Gnat Prong (la lunga coda). Mi piacerebbe sapere di
più in proposito.
E’ tutto parte delle mie influenze.
Non ho pianificato in modo deliberato di avere sezioni "classiche" o
"jazz" o "rock" nella musica – ho solo composto
nel modo in cui sentivo che la musica richiedesse.
Mi piacerebbe chiederti qualcosa
su alcuni dei musicisti che hanno suonato sull’album in modo così brillante.
Cominciamo da Gary Windo, che ovviamente aveva già suonato su 1984.
Ah, Gary! Era totalmente pazzo.
Pieno di energia, cosa che poteva essere meravigliosa ma a volte alquanto
fastidiosa. Era come un ragazzo – veniva a casa mia, prendeva una
chitarra, faceva uscire una nota, posava la chitarra nel primo posto che
capitava, poi si dedicava a qualche altro oggetto, e contemporaneamente
parlava per tutto il tempo alla massima velocità. La prima volta che l’ho
visto suonare è stato a Londra con il gruppo di Keith Tippett, i Centipede.
Era già un grande concerto, ma quando Gary si è fatto avanti per fare un
assolo di sax tenore ha sollevato il tetto di quel posto. Meraviglioso.
Dave Stewart lo conoscevo già
dai tempi degli Egg, e poi, ovviamente, con gli Hatfield And The North.
Mi piacerebbe sapere qualcosa su quello che ha fatto sull’album, soprattutto
quelle parti di oscillatore sul brano che dà il titolo all’album (di
chi è stata l’idea?).
L’idea è stata di Dave. E’ venuto
portandosi dietro un organo Hammond, un Pianet e un piccolo oscillatore,
una semplicissima scatola di legno con una manopola rotonda che ruotavi
per produrre questi vecchi suoni lamentosi analogici da radio. Dave è stato
molto coscienzioso su questo disco – gli avevo mandato le parti scritte
per la musica e lui ci aveva davvero lavorato sopra. Ha prodotto esattamente
quello che avevo sperato quando gli avevo chiesto di suonare sul disco – assolo,
accompagnamenti, arrangiamenti scritti. L’ultima parte di Gnat Prong, per
esempio, non avrebbe quel suono potente che ha senza l’organo Hammond di
Dave.
Elton Dean suona due fantastici
assolo di saxello: su The Lonely Sea And The Sky, e su Spanish Knee. Parlami di lui.
Beh, Elton era davvero il solo
sassofonista che volevo per l’album, a parte Gary Windo. Allora era all’apice
del periodo in cui suonava in modo lirico e melodico (sebbene personalmente
amasse suonare free). Dopo che aveva lasciato i Soft Machine c’è stato
un periodo di un paio d’anni in cui non siamo stati in contatto, ma nel
1974 si è unito a me per quei pochi concerti che ho fatto in Francia come
Monster Band e questo fatto ci ha felicemente portato ha lavorare insieme
in molte circostanze diverse fino alla sua morte nel 2006. Il suo apporto
strumentale su Hopper Tunity Box è quanto di meglio è possibile in una
situazione melodica/armonica.
Hopper Tunity Box fu pubblicato
dalla Compendium, un’etichetta norvegese. Pura curiosità personale: è
stato perché nessuna etichetta UK ha espresso interesse alla cosa, o…
In primo luogo l’ho offerto alla
Gull, la casa discografica per cui incidevano gli Isotope. Ci mettevano
molto tempo a decidere e nel frattempo, mentre stavo a suonando e registrando
in Norvegia con la formazione Hopper, Dean, Tippett e Gallivan, la Compendium
disse di essere davvero interessata a pubblicare il disco, e così firmai
con loro. Fu a quel punto, ovviamente, che la Gull si fece sentire per
dire che sì, sarebbero stati disposti! Troppo tardi – sfortunatamente avevo
già firmato il contratto della Compendium.
Mi piacerebbe che tu mettessi
a confronto il clima (musicale) del tempo in cui l’album venne pubblicato
(intendo dire: il pubblico e la stampa) e la situazione attuale.
Su un piano commerciale non
è tanto diverso. Quello che vende è ancora il prodotto più accessibile,
è quello che il grande pubblico vuole andare a vedere. Ma credo davvero
che negli anni sessanta e settanta fosse più facile per la musica alternativa
avere la possibilità di fare concerti – c’era una quantità maggiore
di piccoli club, e c’erano anche concerti nelle università per gruppi jazz-rock
come gli Isotope e per il jazz più classico. In tutta Europa la maggior
parte di queste opportunità non esiste più. Ovviamente oggi io vado in
giro soprattutto come
"ex-Soft Machine", così per me non è propriamente la stessa cosa.
Per dei musicisti giovani che cercano di partire oggi dev’essere molto dura.
Ma mi fa sempre molto piacere vedere gruppi giovani che si mettono insieme
con lo stesso piacere sensuale di percuotere batterie, grattare corde, soffiare
nei sassofoni. Nonostante tutte le possibilità tecnologiche disponibili al
giorno d’oggi, sentono ancora l’urgenza di farlo, di suonare dal vivo, direttamente
davanti alla gente.
© Beppe Colli 2007
CloudsandClocks.net | Feb.
3, 2007